In barca a vela nel Tirreno in tempesta

I miei ricordi ancora vivi di una lontana traversata sul cutter “Sagittario” della Marina Militare italiana: da Taranto a Genova con il mare in burrasca.

Sopra: il piano velico del cutter "Sagittario"

e sotto la barca

in navigazione di bolina stretta

 

PREMESSA

Qualcuno forse si domanderà che cosa ci faccia il racconto di una traversata in barca a vela, e per di più molto lontana nel tempo, in un sito Web tutto dedicato alla subacquea. Il fatto è che, come ho già detto, io amo il mare in tutte le sue forme fin da quando sono nato. Il mare è tutta la mia vita, e la mia vita è stata sempre contornata dal mare, sopra e sotto la sua superficie.

Del resto, sono il figlio e il nipote di due Ammiragli della Marina Militare ed anche il mio bisnonno era in Marina… perciò il mare fa parte del mio DNA!

Dal 1995 ho abbracciato la subacquea, mi immergo continuamente con le bombole e amo moltissimo la profondità del mare. Il silenzio e la pace che provo laggiù nel "profondo" sono estremamente diversi dalla furia del mare che ho incontrato tante volte in superficie. Ma il mio primo amore per il mare è legato alla vela, perchè prima di diventare un subacqueo per una ventina d’anni ho navigato in barca a vela, facendo anche moltissime regate.

Ho cominciato ad andare in barca a vela da ragazzino, quando avevo appena dieci anni. A quel tempo vivevo a Venezia (la città in cui sono nato), e abitavo all'interno del Collegio Navale "Francesco Morosini", di cui mio padre era il Comandante in seconda. La mia casa era proprio dietro alla Sezione Velica del collegio, a due passi dalla laguna. Il nostromo che addestrava gli allievi alla navigazione a vela era diventato mio amico e quando gli allievi del collegio erano nelle aule di studio io uscivo in barca assieme a lui con un piccolo Dinghy 12 piedi nelle acque della laguna di Venezia. Altre volte uscivamo con uno Snipe (beccaccino), una barca di 4,70 metri con randa e fiocco. Poi, intorno ai tredici anni, mi sono trasferito con la mia famiglia a La Spezia e ho continuato anche lì ad andare in barca a vela, dapprima con le varie barche della Marina Militare e poi, una volta "affermatomi", anche con alcuni privati possessori di parche.

A La Spezia ho anche cominciato a fare le mie prime regate veliche, correndo su barche sempre più impegnative: dapprima sulle meravigliose Star e sui fortissimi Soling, senza disdegnare però qualche "acrobazia" sui piccoli 470, delle derive piuttosto acrobatiche. In seguito sono passato a regatare su cabinati delle varie Classi I.O.R., fino ad approdare agli One Tonner, quelli che negli anni ’80 erano considerati un po' le "Formula 1" del mare.  Ho cessato di praticare la vela agonistica verso la metà degli anni '80, quando, tornato dopo tanti anni a Venezia ed essermi laureato sono stato quasi completamente assorbito dal mio lavoro e non ho più avuto il tempo necessario per allenarmi costantemente, limitandomi solo a qualche "regata della domenica" con gli amici.

Da allora mi sono rimasti solo tanti bellissimi ricordi legati alla vela, e anche adesso che vado per mare solo per immergermi nel blu non posso mai dimenticare da dove ho cominciato.

La vela mi ha insegnato davvero molto. E' stata una scuola di vita dura e formativa, che mi ha insegnato soprattutto a rispettare sempre il mare. Nel corso degli anni trascorsi veleggiando ho imparato ad amare il vento e il mare, a capirli e a rispettarli. Il mare oggi non mi fa paura. So bene  come deve essere affrontato e lo rispetto sempre... e il mare mi ha sempre ripagato, regalandomi emozioni fantastiche e dei momenti davvero indimenticabili, sia sopra che sotto la sua superficie.

Uno dei miei ricordi di mare più belli risale all’ottobre del 1972... ormai tantissimo tempo fa, ed è rimasto scolpito indelebilmente nella mia mente. Si tratta della traversata autunnale che feci con tempo molto duro, a tempo di record, da Taranto a Genova, con un meraviglioso e famoso cutter di 16 metri della Marina Militare italiana: il "Sagittario".

Questo che segue è il racconto della mia esperienza avventurosa fatta "quella volta che..."

Mare Tirreno - Ottobre/Novembre 1972

Ero partito dal porto di Taranto il 25 ottobre 1972 alle 13:35 con destinazione La Spezia, dove dovevo arrivare al massimo entro una settimana, per poter sistemare la barca e portarla a Genova in tempo per poter essere esposta al "XII° Salone Nautico Internazionale", che apriva i cancelli il 1° dicembre. La Marina Militare aveva deciso di fare il trasferimento della barca via mare perché, oltre ad essere l'acqua il suo elemento naturale, era sicuramente il modo più economico di trasferirla rispetto ad un trasporto in nave o via terra.

La barca da trasferire era il "Sagittario" (numero velico ITA 5569), il cutter in lamellare di mogano di 15,45 metri di lunghezza f.t. disegnato dall’architetto triestino Carlo Sciarrelli e costruito nel famoso cantiere Craglietto di Trieste. Questo yacht, di proprietà della Marina Militare italiana, era quello con il quale il Capitano di Vascello Franco Faggioni aveva partecipato alla "O.S.T.A.R. ’72", quarta edizione della regata transatlantica in solitario, impiegando poco più di 28 giorni di navigazione  per coprire le quasi 4.000 miglia che separano Plymouth in Gran Bretagna da Newport negli Stati Uniti, passando per la rotta delle Azzorre.

La regata del ’72 fu vinta dal fuoriclasse francese Alan Colas su un trimarano di 22 metri, il mitico Pen Duick IV, che impiegò meno di 21 giorni per compiere la traversata su di una rotta molto più a Nord di quella percorsa da Faggioni con il Sagittario.

La barca della M.M. italiana fece un’ottima figura, arrivando settima in tempo reale sui 59 iscritti alla regata e terza tra i monoscafi, oltre che prima tra le quattro barche italiane partecipanti a quella edizione della O.S.T.A.R.. Perciò, visto il risultato prestigioso ottenuto in regata, la Marina decise di esporre la sua barca (ancora in assetto da regata in solitario) al Salone Nautico di Genova, affinché potesse essere ammirata dalle migliaia di visitatori della fiera, appassionati di nautica. Non c’era molto tempo però. La barca, ritornata dagli Stati Uniti imbarcata su un cargo, si trovava in completo disarmo a Taranto e il Salone di Genova apriva i battenti dopo pochi giorni. In fretta e furia Marivela (il comando degli Sport Velici della Marina Militare) decise di allestire un piccolo equipaggio che avrebbe dovuto portare Sagittario a Genova via mare il più in fretta possibile per poterlo esporre al Salone Nautico che stava per cominciare.

Approfittando delle mie "conoscenze", riuscii ad essere inserito nell’equipaggio che avrebbe dovuto trasferire la barca fino a La Spezia, per allestirla in modo da potere poi essere esposta al Salone Nautico di Genova. L’equipaggio era estremamente ridotto per una barca da regata così grande e impegnativa: cinque persone in tutto. Oltre al sottoscritto e al Capitano di Corvetta Ferruccio Romanello (che faceva parte del team dello Sport Velico della Marina Militare, cioè "Marivela"), a bordo c’erano solamente il nostromo Capo Simonelli di Marivela e due marinai nocchieri.  Solo cinque persone per governare un "racer oceanico" di quasi 16 metri! Io, lo ammetto, ero piuttosto emozionato, un po’ per l’occasione unica di navigare su di una nuova barca divenuta così famosa nell’ambiente velico internazionale e un po’ per l’idea di dover navigare in autunno inoltrato per oltre 700 miglia, in mari difficili come lo Ionio e il Tirreno, facendo turni di guardia piuttosto pesanti, dato l’equipaggio ridotto all’osso. Ma la voglia di mare e di avventura fugarono rapidamente i timori di un ragazzo di vent'anni che sognava solamente il mare...

Il Comandante Romanello a quell'epoca viveva a La Spezia come me e, poiché io frequentavo quasi ogni giorno la locale Sezione Velica della Marina, non avevo potuto fare a meno di imbattermi in lui: un velista con i controfiocchi, di quelli nati... con la barra del timone tra le mani!

In breve diventammo amici e cominciai ad uscire in barca a vela con lui sempre più spesso, dapprima con la Star e poi con il Soling. In quegli anni io feci molte regate con Ferruccio e, con l'andar del tempo, oltre ad insegnarmi parecchi "trucchi del mestiere", il Comandante mi prese in simpatia e cominciammo a formare equipaggio fisso sul Soling: lui armato della sua lunga esperienza velica ed io del mio entusiasmo di ventenne innamorato del mare.
Fu così che quando Marivela decise di trasferire il Sagittario a Genova via mare, il Comandante Romanello mi chiese se volevo accompagnarlo... ed io non me lo feci certo ripetere due volte.

Partimmo insieme in treno da La Spezia la sera del 22 ottobre e arrivammo al porto di Taranto la mattina seguente, dopo un viaggio interminabile.
Una volta arrivato alla Sezione Velica della M.M. di Taranto fui subito impegnato in un lavoro frenetico assieme agli altri miei compagni d'avventura. Il nostro compito era di allestire la barca in un paio di giorni e metterla in condizioni di navigare. Il Sagittario, una volta terminata la regata transatlantica in solitario, era stato disarmato ed era stato imbarcato su una nave che l’aveva riportato in Italia dagli Stati Uniti.
La barca era in acqua completamente in disarmo, senza l’albero e, al suo interno si presentava come l'aveva lasciata il Comandante Faggioni alla fine della regata transatlantica. La barca non era neppure attrezzata per la navigazione con un equipaggio intero, infatti l'interno, adattato per la navigazione in solitario, era totalmente spoglio. C’erano soltanto due cuccette e la cucina basculante, mentre tutto il resto dello scafo, svuotato di ogni cosa inutile, era stato trasformato in officina e in una enorme cala vele... insomma una vera e propria macchina da corsa!

Terminati i lavori di adattamento della barca a un equipaggio "completo" se pur ridotto, armato l'albero e imbarcate le provviste e i rifornimenti necessari, partimmo da Taranto la mattina del 25 ottobre con rotta verso Sud. Arrivammo al porto di Messina la mattina del 27, dopo 230 miglia di navigazione quasi tutta a vela e piuttosto tranquilla. Giusto il tempo di rifornirci d’acqua, viveri freschi e nafta per il motore ausiliario e alle 15:45 ripartimmo  da Messina facendo rotta verso Nord, decisi a non fermarci più sino all’arrivo a La Spezia.

Piano velico, piano di coperta e linee d'acqua del "Sagittario"


A bordo del "Sagittario" in una bella giornata di sole

La nostra rotta da Taranto a  Genova, con sosta a La Spezia: circa 780 miglia

"Sagittario" avanza di bolina con velatura ridotta nel Tirreno in tempesta.

Quel pomeriggio il cielo nello stretto di Messina era piuttosto cupo e spirava un vento moderato da N-NE con mare forza 3. Alle 24:00 del 27 ottobre, mentre eravamo al traverso dell’isola di Stromboli, ricevemmo alla radio un avviso di burrasca nel Basso Tirreno, ma la nostra navigazione proseguì tranquilla per tutta la notte.

Alle ore 10:45 del giorno seguente eravamo a circa 60 miglia al traverso di Capo Palinuro con vento da NE sui 20 nodi e mare forza 4 in aumento. Navigammo con andatura al lasco stretto per tutto il giorno e alle ore 20:45 ci trovavamo già 40 miglia al traverso dell’isola di Capri. Il vento era rinforzato fino a 30-35 nodi e il mare aveva raggiunto forza 6. Ci aspettava una notte di navigazione piuttosto dura, con il vento dritto in prua che rinforzava sempre di più e onde di 5-6 metri che spazzavano la coperta della barca inzuppandoci completamente. Avevamo già ridotto la velatura, ma, nonostante navigassimo di bolina con una mano di terzaroli alla randa e il solo fiocco yankee a prua, la nostra velocità era di 8 nodi costanti. Ormai la burrasca forza 7 preannunciata dal Meteomar si stava avvicinando rapidamente.

Verso mezzanotte la burrasca ormai ci aveva colpito in pieno. Avevamo percorso circa 190 miglia da quando avevamo lasciato Messina e ci trovavamo ad una ventina di miglia a SW di Ischia. L'anemometro indicava raffiche di vento fino a 40 nodi, avevamo ridotto ulteriormente la tela prendendo una seconda mano di terzaroli, ma la barca riusciva ancora a bolinare discretamente. Non avevamo grossi problemi con il vento. Quello che ci preoccupava di più era il mare in burrasca. Le onde ripidissime di 7-8 metri di altezza facevano saltare la barca come impazzita. Tutto l’equipaggio era fuori nel pozzetto: c'era bisogno di tutte le braccia a disposizione per governare Sagittario in queste condizioni. Eravamo completamente fradici e intirizziti dal freddo. Le manovre erano diventate molto faticose, anche a causa del freddo pungente e delle cinture di sicurezza con le quali eravamo assicurati alle draglie, che ci limitavano nei movimenti. Sotto coperta poi c'era un vero disastro. Durante un cambio di vela durato un po’ troppo a lungo un’onda si era riversata all’interno dall’osteriggio di prua e aveva allagato il quadrato. A causa dei grossi colpi ricevuti sotto la chiglia della barca alcuni dei paglioli di legno si erano spezzati e galleggiavano sul pavimento allagato. Sagittario, progettato per le lunghe onde dell’Atlantico, stava mostrando i suoi limiti strutturali nell’affrontare le onde corte e ripide del Mediterraneo e, ogni volta che precipitava giù dalla cresta di un'onda, prendeva un colpo tremendo sulla chiglia che ne metteva in crisi la struttura. Toccò proprio a me, che ero il più giovane a bordo e non soffrivo assolutamente il mal di mare, scendere sotto coperta a cercare di riparare i danni. Armato di chiodi e di martello (per fortuna a bordo c'era ancora tutto quello che poteva servire per riparazioni di emergenza), cercai di fissare alcune assi di legno trovate a bordo, per rimettere a posto almeno qualche pagliolo, in modo da poter camminare più agevolmente all’interno della barca ormai completamente allagato. Intanto le pompe di sentina elettriche e manuali, pur essendo azionate ininterrottamente, facevano una gran fatica a smaltire tutta l’acqua entrata all’interno dello scafo. Confesso che con tutta quell'acqua, data la mia poca esperienza di mare in tempesta, credetti che per i colpi subiti si fosse aperta una falla nella chiglia della barca...

Dopo un po’ di tempo, siccome la navigazione era diventata davvero troppo dura, il Comandante Romanello decise di riparare nel porto di Ischia. Anche se avevamo tempi stretti per raggiungere La Spezia, tentare ancora di contrastare quel vento e quel mare sarebbe stato assolutamente da incoscienti. Oltretutto stringevamo poco il vento e, nonostante la fatica al timone, guadagnavamo ben poca strada.

Impiegammo oltre quattro ore a percorrere le poche miglia che ci separavano dall’isola. Facevamo una bolina stretta ed avevamo issata a riva poca tela. A prua avevamo un piccolo yankee da 12 mq,  mentre alla randa da 34 mq avevamo preso solo due mani di terzaroli. In queste condizioni di velatura la barca, pur essendo parecchio sbandata, a tratti riusciva ancora a fare una discreta bolina. Ormai il vento soffiava costantemente sui 40-45 nodi, con raffiche che facevano schizzare verso l’alto la lancetta dell’anemometro. Fu una navigazione davvero molto dura e interminabile.  Scariche di adrenalina mi tenevano concentrato sui compiti assegnatimi.

Arrivammo stremati alla banchina del porto di Ischia alle ore 04:30 del mattino e non mi ricordo neppure di essere andato a dormire, perché verso le nove del mattino mi svegliai con ancora la cerata addosso e i vestiti completamente fradici. Misi la testa fuori dal tambuccio e vidi che sulla banchina c’era una piccola folla di curiosi radunata attorno al Sagittario. La barca da regata, con ancora il numero velico 58 della traversata atlantica dipinto sulle fiancate, era sicuramente un’attrazione, ma il fatto che fosse arrivata in porto di notte con quel tempo da lupi destava sicuramente stupore e ammirazione. Alcuni pescatori che all’alba non erano potuti uscire a causa del mare in burrasca, più tardi ci dissero di aver seguito da terra le nostre peripezie per centrare l’imboccatura del porto sotto vela e poi, una volta ammainata la tela, la difficile manovra per accostare al molo dove adesso eravamo ormeggiati. Quando gli dicemmo che eravamo della Marina Militare e non dei semplici diportisti, capirono che non eravamo stati soltanto "fortunati" quella notte...

Passammo l’intera giornata del 29 ottobre ad Ischia e, approfittando della bella giornata di sole con il vento che andava calando (una situazione tipica del mese d’ottobre in Mediterraneo, dopo una tempesta), stendemmo sulla battagliola ad asciugare tutte le vele, i sacchi a pelo e i nostri vestiti fradici. All’interno della barca non c’era più niente d’asciutto! Ci ricordammo che erano quasi ventiquattrore che non mangiavamo qualcosa di caldo e, alle 10:30 del mattino seduti nel pozzetto ci mangiammo un chilo di penne all’arrabbiata come soltanto il nostromo Simonelli di Marivela sapeva cucinare, mentre alcuni isolani ci portarono del pane fresco e dell’ottimo vino bianco fatto in casa. Che bello l'ambiente di mare! La solidarietà che in questi casi lega tutti i marinai di qualunque mare del mondo venne fuori anche in quell'occasione.

Dopo pranzo scesi a terra e cercai un barbiere. Ne avevo assolutamente bisogno. Il barbiere si stupì non poco vedendomi entrare nel suo negozio piuttosto malconcio e con la faccia incrostata di sale. Gli chiesi solamente di farmi un doppio shampoo e la barba, e lui ci rimase abbastanza male per non avermi potuto tagliare i capelli che a quell’epoca portavo piuttosto lunghi sulle spalle...

Quella sera ci concedemmo una ricca cena di pesce in un localino dell’isola e la mattina seguente, alle ore 08:30 in punto, salpammo da Ischia decisi a coprire le ultime 300 miglia nel più breve tempo possibile. Il mare era calato a forza 3 e il vento sui 15-20 nodi che aveva girato a Maestro ci permise di dare tutta la tela di cui disponevamo: randa, genoa 2 e trinchetta per oltre 90 mq di vela! Finalmente il Sagittario aveva ripreso a volare sull’onda con un bel passo, con punte di 11-12 nodi di bolina. Purtroppo però il vento durò solo fino alla sera del 30 ottobre, quando ci trovammo al traverso di Fiumicino. Fu la classica quiete dopo la tempesta. Una bonaccia tremenda che ci costrinse a proseguire mestamente a motore alla velocità di 5-6 nodi fino a La Spezia, in totale calma di mare e di vento. Poi finalmente arrivammo alla Sezione Velica della M.M. di La Spezia. Erano le 11:05 del 1° novembre. Avevamo percorso 735 miglia in 155 ore di navigazione effettiva. A terra ad aspettarmi c’era l’Ammiraglio Polacchini (mio padre…) che mi disse solo: "Bravo ragazzo!"... due sole parole che per un figlio capellone di vent'anni non erano certamente un complimento da poco!

Ma la mia avventura sul Sagittario non era ancora terminata. Alcuni giorni dopo rimettemmo la barca nel suo assetto originari da "navigazione in solitario" e, dopo averla tirata a lustro, la portammo finalmente a Genova per essere esposta al Salone Internazionale della Nautica. Partimmo la mattina del 19 novembre da La Spezia in una bella giornata di vento fresco e questo ci permise di coprire le 56 miglia fino a Genova in poco meno di 8 ore di navigazione. Poi, una volta sistemata la barca nel porticciolo vicino alla Fiera, io ritornai a casa con il treno.

Ritornai a Genova nel fine settimana del 2 e 3 dicembre e lo passai a bordo del Sagittario che, nel frattempo, era stato tirato in secco e, completamente armato con le vele issate, faceva bella mostra di sè su di un’insellatura subito fuori del padiglione G del Salone Nautico, dove passavano migliaia di visitatori. Era stata allestita una scala e una passerella per i visitatori e sottobordo c'era la fila per salire a bordo e dare un'occhiata all’interno della famosa barca della Marina che aveva partecipato alla regata transatlantica in solitario "O.S.T.A.R. '72". Io ero a bordo della barca e accoglievo orgogliosamente i visitatori per dargli qualche informazione. Molte visitatrici del Salone (alcune davvero carine) salivano a bordo togliendosi le scarpe e mi chiedevano spiegazioni sulla barca e sulla traversata oceanica ed io, come ogni marinaio che si rispetti, gli raccontavo un sacco di balle, come di "quella volta che...".

(Questo racconto è tratto dal mio libro "Da solo nel relitto", Ed. Magenes - Milano 2009)

- ALBUM FOTOGRAFICO - STORIA  -

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Alcune belle immagini dello yacht "Sagittario"della M.M.

Sopra andatura di bolina larga e sotto al lasco sotto spinnaker

 

Sopra e sotto: il "Sagittario", perfettamente restaurato, naviga nel acque del Golfo di Trieste.

Lo yacht della Marina Militare è stato il vincitore della spettacolare regata "Barcolana Classic", svoltasi sabato 10 ottobre 2009 nell'ambito della famosa "Coppa d'Autunno", giunta ormai alla 41° edizione

 

Sotto: alcune immagini del "Sagittario" come l'ho ritrovato riportato al suo antico splendore il 28 novembre 2010, nella Darsena Grande dell'Arsenale della Marina Militare di Venezia, dove oggi è di stanza.

 

Oggi la barca, perfettamente restaurata, serve per l'addestramento velico degli allievi della Scuola Navale Militare "Francesco. Morosini" di Venezia.

 Le linee classiche e armoniose disegnate da Carlo Sciarrelli

SAGITTARIO - ITA 5569

 

Il Sagittario è una delle numerose imbarcazioni classiche in legno che, insieme a "Stella Polare", "Corsaro II", "Artica II" e "Chaplin", fa parte del naviglio dello Sport Velico della Marina Militare italiana.

Sagittario è un cutter bermudiano dal dislocamento ridottissimo, destinato alle regate oceaniche: si tratta di uno scafo da regata di soli 50.5 piedi ad altissime prestazioni.

La Marina Militare italiana lo commissionò all’architetto navale Carlo Sciarrelli per partecipare alla quarta edizione della più famosa regata transatlantica in solitario dell’epoca, la O.S.T.A.R. ( Original Single-Handed Trans-Atlantic Race) del 1972.

La costruzione del "progetto n. 39" di Sciarrelli fu affidata al prestigioso cantiere di Mariano Craglietto di Trieste, che la realizzò a tempi di record in soli 78 giorni e l’11 aprile del 1972 varò questa barca fasciata in lamellare di mogano, lunga 15,45 metri, larga solo 3,68 metri, con un pescaggio di 2,32 metri ,che dislocava appena 8,5 tonnellate: una barca che avrebbe fatto molto parlare di sé negli anni a venire!

La regata per cui fu costruita è stata solo il primo successo nella lunga carriera agonistica del Sagittario che, con al timone l’allora C.F. Franco Faggioni, ottenne il 9° posto in tempo reale su 59 partecipanti (7° in tempo compensato) e il 3° posto nella classe dei monoscafi alla O.S.T.A.R. ‘72, impiegando 28 giorni 23 ore 5 minuti per coprire le circa 4.800 miglia che separano Plymouth in Inghilterra da Newport negli Stati Uniti.

IL SAGITTARIO OGGI

 

Sagittario rimase una barca veloce e competitiva per molti anni e, anche dopo essere stata modificata per consentirle la navigazione con un equipaggio completo, raggiunse ottimi risultati in regata.

Vanno ricordate, tra le altre, le diverse partecipazioni alla "Middle Sea Race", la regata d'altura di circa 600 miglia con partenza dall'isola di Malta, giro completo della Sicilia e ritorno a Malta, che Sagittario vinse nel 1980 e nel 1981.

Da ricordare anche la vittoria della regata "Brindisi-Corfù" del 1994, nella quale stabilì il record di 13 ore 27 minuti e 6 secondi che resistette addirittura fino al 2005.

Dopo vent'anni di navigazione e di regate, nel 1993 la barca fu sottoposta ad un completo restauro nel Cantiere Navale De Cesari di Cervia (RA) e ritornò al suo originario splendore.

In tempi più recenti va ricordata anche la vittoria nelle regate "Over 60" di Napoli nel 2002, con al timone il mitico Ammiraglio "Tino" Straulino, allora ottantottenne.

Attualmente la barca dello Sport Velico Marina Militare è di stanza a Venezia ed è destinata all’addestramento velico degli allievi della Scuola Navale Militare "Francesco Morosini".

Ogni anno Sagittario partecipa a regate dell'A.I.V.E. (associazione delle vele d’epoca) con brillanti risultati.

Nel 2010 ha partecipato alla 41° edizione della "Barcolana Classic" di Trieste e ha vinto nella sua categoria, con un equipaggio interamente formato da allievi del "Morosini". È uno degli scafi che concorre alla "Sciarrelli Cup", regata nata in onore del suo famoso progettista, che si tiene dal 1998 nell'ambito del raduno velico "Città di Trieste" e premia il migliore scafo progettato dall'architetto del mare Carlo Sciarrelli.

Sopra e di fianco alcune fasi del restauro del "Sagittario" presso il Cantiere Navale De Cesari di Cervia.

Tutte le barche disegnate dall'architetto Carlo Sciarrelli, anche in tempi recenti, si sono sempre distinte per le forme classiche e la costruzione generalmente di legno.

Le barche di Sciarrelli sono famose nel mondo per la loro eleganza e la classicità delle linee: hanno bordi liberi bassi, slanci evidenti, insellatura pronunciata, estremità rastremate e poppe spesso caratterizzate dal celebre disegno a cuore (la particolare forma a cuore dello specchio di poppa è divenuta quasi un’icona dei suoi scafi).

Ma l’aspetto meno conosciuto degli yacht di Sciarrelli è che, sotto queste vesti eleganti, talvolta si nascondono carene estremamente performanti, concepite con principi innovativi.

Molti dei progetti di Sciarrelli navigano ancora con successo, sia in crociera sia in regata, e uno di questi è appunto il "Sagittario", il glorioso "progetto n. 39". La sua leggerezza, le appendici sommerse staccate unite alla notevole lunghezza fuori tutto ne fanno ancora oggi un temibile avversario per tutti gli yachts.

Ecco come lo stesso Sciarrelli parla della sua "creatura" nel suo libro "Lo Yacht. Origine ed evoluzione del veliero da diporto", pubblicato da Ed. Mursia nel 1970: “Molta soddisfazione mi ha dato il Sagittario, fatto per la Marina Militare ......Mi è stata ordinata da Marivela all'ultimo momento, pochi mesi prima della partenza... Il Sagittario è la versione più stretta e leggera, gracile, della barca con le forme del bastimento, adatta a viaggiare stando in rotta da sola. Dato il tema mostruoso da cui nasce, attraversare l' Atlantico in regata con una persona sola a bordo, ed avere come avversari anche i poliscafi, mi sono visto costretto a cercare a tutti i costi il leggero per poter invelare poco e mantenere l’attitudine alla velocità... Uno scafo spinto. Costruzione in legno, fasciame incrociato di spruce di 20 mm, sopra una gabbia di correnti longitudinali.....Ho considerato un difetto per una barca nata per la transatlantica in solitario l’attitudine alla planata. Guai se il Sagittario, tutto solo e irrefrenabile, partisse per i diciotto, venti nodi..... con un solo uomo a bordo, provocherebbe una situazione che mi sgomenta solo ad immaginarla... Il risultato all’ OSTAR è stato ottimo… terzo delle barche tradizionali. Davanti gli sono arrivati il il Vendredi Treize ed il British Steel”.

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