La PRIMA VOLTA SUL Banco di Santa Croce

Foto gentilmente concesse da Valter Carrus e Sergio Riccardo

Ricordo ancora la prima volta che scesi sul Banco di Santa Croce, un gruppo di scogli sommersi poco distante da Vico Equense, nel Golfo di Napoli. Sono passati tanti anni, ma fin dalla prima volta rimasi stregato dalle meraviglie di quel paradiso sommerso.

Era una delle mie prime discese nel blu. Sino allora mi ero immerso quasi sempre in parete, avendo un riferimento visivo ben chiaro. Sul Banco invece si trattava di scendere di qualche metro fino a raggiungere una boa sommersa collegata da una grossa cima a uno scoglio a 18 metri di profondità.
Partimmo con la barca da marina di Vico e dopo una breve navigazione raggiungemmo il punto d’immersione di fronte allo stabilimento balneare Bikini. Ormeggiata la barca scendemmo in acqua e ricordo che provai una certa apprensione, perché nei primi 5-6 metri dalla superficie c’era un “tappo” quasi impenetrabile di acqua torbida, che rendeva difficile vedere la cima di discesa. L’afferrai e cominciai a scendere nel nulla.

Una volta superato questo strato torbido la visibilità cominciò a migliorare e scendendo iniziai a vedere i contorni del massiccio scoglio principale della secca che si parava scuro di fronte a me. Arrivato alla fine della cima, sostai per qualche istante sul grande masso al quale era assicurata con una catena e accesi la mia torcia per illuminare la parte di fronte a me. Non c’era granché da vedere su questo lato della secca e rimasi un po’ deluso pensando alle descrizioni fantastiche che avevo sentito di questo posto, tutto ricoperto di gorgonie e coralligeno colorato.

Mi staccai dallo scoglio e mi tuffai giù verso destra per raggiungere la base della parete. Fu appena svoltato a destra che cominciai a vedere i primi rami di gorgonia e di eunicella, sempre più grandi e fitti man mano che scendevo. La luce della mia torcia illuminava la parete di fronte a me e mi restituiva lampi di rosso porpora inframmezzati al giallo, al verde, al violaceo… Tutta la parete era un’immensa tavolozza di colori e dai rami delle gorgonie pendevano decine di grosse uova di gattuccio. Non ne avevo mai viste così tante tutte insieme. Intanto ero avvolto da una nuvola di castagnole nere e di delicati anthias rosa che mi volteggiavano intorno.

Arrivato sul fondo a 37 metri di profondità, vidi la bassa apertura di un tunnel che attraversava tutto lo scoglio. Mi infilai dentro cercando di rimanere abbastanza sollevato dal fondo sabbioso per non alzare sospensione e illuminai il soffitto. Il tunnel non era molto largo, ma la volta era ampia. Rimasi letteralmente abbagliato dal giallo intenso delle margherite di mare che ricoprivano interamente la volta. Al limitare della parete con il fondo vidi brillare gli occhietti rossi di alcuni gamberetti, poco più in là una grossa musdea colpita dal fascio di luce della mia torcia si andò a rintanare. Sulla sabbia qualche triglietta e qualche brotula erano intente a brucare il cibo. Alzando lo sguardo mi accorsi che qualche metro sopra l’uscita del tunnel si apriva una finestra contornata da grossi rami di gorgonia. Oltre la finestra si vedeva l’azzurro intenso del mare. Rimasi qualche istante incantato da quello spettacolo. Il ricordo di quell’apertura contornata da una cornice di gorgonie è ancora impresso nella mia mente.

Uscii fuori dal tunnel e voltai verso sinistra. Continuai a nuotare rimanendo sempre intorno ai 35 metri di profondità. Sopra di me la roccia creava delle piccole volte, interamente ricoperte di bellissime gorgonie. Nuotando in senso antiorario intorno alla base dello scoglio, mi alzai a poco a poco di quota. Poi all’improvviso vidi un’ombra scura muoversi davanti a me. Puntai la torcia e mi accorsi che si trattava di una grossa cernia bruna. Spensi subito la torcia per non spaventarla e poco dopo dagli scogli accatastati sul fondo ne spuntò un’altra e un’altra ancora. Non sembravano per nulla intimorite dalla mia presenza e si lasciarono avvicinare facilmente. Sino ad allora non ero mai riuscito a vedere delle grosse cernie così da vicino. Ne rimasi affascinato.

Ma lo spettacolo quel giorno non era ancora finito. Guardando nel blu vidi alcuni grossi dentici che nuotavano tutti nella stessa direzione. A volte facevano dei guizzi velocissimi. Poi si fermavano di colpo. Era evidente che erano in caccia. Col tempo imparai che le cernie e i dentici sono una presenza costante sul Banco di Santa Croce.

Completato il mio giro, arrivai a una specie di piccola terrazza intorno ai 15 metri di profondità. Sulla destra erano appoggiate le figure di un presepe e sulla sinistra c’era una lunga fenditura che arrivava dalla terrazza fino alla sommità della secca.

Fu lì che mentre mi apprestavo a risalire feci uno degli incontri più emozionanti che mi fossero capitati fino allora. Incastrato all’interno della fenditura, c’era un esemplare di gattuccio lungo circa un metro. Non riuscivo a capire come avesse potuto infilarsi in quello spazio così ristretto. Lo osservai con calma. Il ventre chiaro, il dorso grigio e maculato e gli occhi vivissimi che mi fissavano. Non me ne sarei più andato da lì. Mi avvicinai ancora di più e siccome non indossavo i guanti, lo accarezzai delicatamente sul dorso con due dita. Il pesce rimase immobile, forse terrorizzato dalla mia presenza e dal contatto e ritrassi subito la mano per non spaventarlo ulteriormente. Ricordo ancora la sensazione del contatto delle mie dita sulla sua pelle, ruvida come la carta vetrata.

Purtroppo il tempo era trascorso in fretta – succede sempre quando si è laggiù – ed era arrivato il momento di risalire per smaltire i pochi minuti di deco accumulati. Raggiunsi il cappello della secca a circa 10 metri di profondità e appena superato lo scalino, vidi un grosso branco di salpe intento a brucare la superficie dello scoglio. Illuminate dalla mia torcia lanciavano dei riflessi dorati, mentre continuavano a brucare incuranti della mia presenza.

Indugiai ancora per qualche minuto restando sulla superficie spoglia della roccia a giocare con dei piccoli ghiozzi e dei coloratissimi pesci pappagallo.

Era sufficiente strofinare la roccia con le dita perché questi piccoli pescetti venissero a brucare la sospensione che avevo sollevato e addirittura mi pizzicassero le dita. Ogni tanto dai buchetti della roccia si affacciavano curiosi dei piccoli pesci peperoncino e appena avvicinavo le dita sparivano all’interno.

Sarei rimasto a giocare su quello scoglio per un’ora, ma la riserva d’aria non me lo consentiva; perciò raggiunsi la cima di risalita distante pochi metri e cominciai a salire fermandomi qualche minuto sotto lo strato di acqua torbida per fare la mia decompressione. Superato il “tappo” riemersi in superficie pieno di gioia. Non avevo mai visto tanto pesce e tanti bei colori tutti assieme.

Sono passati tanti anni da quel giorno e, come si suol dire, tanta acqua è passata sotto le mie pinne. Ormai di immersioni sulle secche del Banco di Santa Croce ne ho fatte quasi centocinquanta, sia di giorno che di notte. Ognuna di esse è stata diversa e mi ha regalato qualcosa di particolare da ricordare.

Ho incontrato altri gattucci e li ho anche visti nuotare fuori dalla loro tana, le cernie sono diventate una presenza abituale, ho incontrato gruppi di aquile di mare che “volavano” eleganti nel blu, ho visto molti dentici a caccia tra i banchi di sardine che guizzavano da tutte le parti lanciando lampi d’argento, e poi gronghi e murene infilati nella stessa fessura, eleganti pesci san pietro sulla sabbia a 50 metri, grossi scorfani rossi, tonnetti, palamiti, ricciole, barracuda…

E’ davvero incredibile la ricchezza e la varietà di pesce presente in queste acque, specialmente nei mesi più caldi dell’anno. Qui ogni immersione mi ha regalato emozioni particolari, ma la prima volta che sono sceso sul Banco  è tra i miei ricordi più belli.
Banco di Santa Croce: un luogo magico!

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