La prima volta sul relitto del M/T "Nasim II"

 

 

 

 

Questa nave ha avuto una lunga storia ed ha cambiato spesso nome durante i suoi 17 anni di vita. Costruito nei cantieri Brooke Ltd. Marine di Lowestoft in Inghilterra, questo cargo di 870 tonnellate fu varato nel 1959 con il nome di  Llyn. Inizialmente è stato destinato al carico di materiale generico, soprattutto di natura ortofrutticola che trasportava sulle rotte britanniche Southampton-Weymouth in direzione delle isole della Manica.

Nel 1965 subì la prima revisione e il nome fu cambiato in Sealink.

Nel 1972 fu venduto a una ditta di trasporti marittimi greca che lo ribattezzò con il nome di Valmas. L’anno successivo cambiò il nome in Skiron.
Nel 1975 il cargo fu venduto alla Jupiter ss Co inc. di Panama, che lo ribattezzò Nasim II e lo fece diventare un traghetto.

 

La storia DEL NAUFRAGIO

 

Sera dell’11 febbraio 1976. Acque dell’arcipelago toscano.

 

Alle ore 20:30 il “Nasim II”, un mototraghetto battente bandiera panamense, di 707 tsl., lungo 66,5 metri, salpò dal porto di Livorno diretto ad Alessandria d’Egitto, nel Nord Africa.

Il carico del traghetto era formato da 49 automobili e da 16 rimorchi di camion, che si trovavano in parte nella stiva e in parte sulla coperta della nave.

Superato il canale di Piombino, il “Nasim II” procedeva tranquillamente a circa 12 nodi di velocità, il mare era calmo, c’era pochissimo vento da Scirocco e la visibilità era buona. Poco dopo, in vista del promontorio dell’Argentario, la nave improvvisamente incontrò un muro di pioggia che la avvolse nelle tenebre più profonde.

Fu così che alle ore 04:30 del 12 febbraio la nave, che avrebbe dovuto passare ad Est dell’Isola di Giannutri, andò a cozzare violentemente sugli scogli dell’isola, in un punto imprecisato tra Punta Secca e Punta Scaletta.

L'urto violentissimo provocò uno squarcio nella parte prodiera del traghetto, che iniziò subito ad imbarcare acqua.

Il comandante, nel tentativo disperato di salvare la nave, probabilmente tentò di invertire bruscamente la rotta, cercando di portare il “Nasim II” ad incagliarsi nel basso fondale di Cala Maestra per evitarne l’affondamento. Ma la manovra di virata stretta, accentuata dal forte abbrivio della nave, non riuscì e il traghetto s’inclinò bruscamente sulla sinistra cominciando a perdere in mare il carico d’automobili che si trovavano in coperta, dopodiché affondò rapidamente a poca distanza dalla costa, proprio davanti a Cala Maestra.

Adesso la nave si trova adagiata sul fianco sinistro, su un fondale sabbioso degradante tra i 48 e i 60 metri di profondità, con la coperta rivolta verso il mare aperto e la prua squarciata rivolta in direzione Nord. Il carico di macchine, invece, è disseminato sul fondale dai 33 metri di profondità in giù, fino sotto ad una scarpata che arriva sul fondo sabbioso e verso il largo supera i 60 metri di profondità.

 

L’immersione

 

Quella sul m/t “Nasim II” è considerata un’immersione piuttosto impegnativa, riservata a subacquei con una buona esperienza di immersioni profonde, che sappiano fare un’adeguata pianificazione. La profondità massima è ben oltre i limiti delle cosiddette immersioni “ricreative” (40 metri), ma le difficoltà maggiori sono dovute al fatto che l'immersione si svolge nel blu, senza alcun riferimento, come quello che generalmente è offerto da una parete. Inoltre, nella zona si possono spesso incontrare delle forti correnti, che rendono ancora più difficile l'immersione. Va poi considerato che, data la profondità a cui si trova il relitto, anche un tempo di fondo relativamente breve comporta necessariamente delle soste di decompressione che, se sono fatte nel blu senza una barca d’appoggio munita di trapezio, possono comportare ulteriori difficoltà. In compenso la visibilità nella zona generalmente è molto buona e, in alcune giornate particolari, guardando dalla nave verso l’isola è possibile persino vedere il profilo della costa, che dista un centinaio di metri!

Ci sono due possibilità per pianificare l’immersione: la prima, ovviamente, è quella in caduta libera direttamente sulla verticale della nave, possibilmente calando un pedagno fino alla murata di dritta del relitto, che si trova a circa 45 metri di profondità.

La seconda possibilità invece è quella di ormeggiare la barca davanti a Cala Maestra, su un fondale di una ventina di metri e poi nuotare verso il largo fino ad incontrare la prima macchina, che si trova a poco più di 30 metri di profondità. Dopodiché si supera la scarpata che si apre sotto alla prima carcassa di automobile e si continua a nuotare seguendo la scia delle automobili che sono disseminate sul fondo e arrivano quasi sino a sotto la chiglia della nave.

E’ evidente che questo secondo tipo d’immersione richiede una scorta d’aria adeguata ed una sua attenta gestione, perché il percorso d’andata e ritorno è piuttosto lungo, anche se durante il ritorno si ha il vantaggio di poter smaltire tranquillamente l’azoto accumulato nell’inevitabile “fuori curva”, facendo una lenta risalita controllata ed avendo dei riferimenti verso terra. Inoltre, in questo secondo modo di pianificazione dell’immersione, è possibile effettuare le soste decompressive lungo la costa, magari ridossati agli scogli.

La cronaca e le sensazioni del mio PRIMO tuffo SUL NASIM

 

Mattina del 6 agosto 2004, Porto Santo Stefano – Argentario (GR).

 

Ci imbarchiamo in 13 subacquei sull’enorme gommone "Bad Wave" di Roberto Livigni, al quale si appoggia Paolo Bausani del "Centro Immersioni Costa d’Argento" quando organizza le immersioni al Giglio o a Giannutri. Salendo a bordo, mi accorgo subito che il gruppo è piuttosto “eterogeneo”: ci sono uomini, donne e ragazzini. Alcuni sono O.W.D. appena brevettati, mentre altri sono dei subacquei un poco più esperti, poi ci siamo io e mia moglie Angela… la mia compagna d’immersione.

Arriviamo all’isola di Giannutri verso le 11 del mattino, dopo una breve corsa di 45 minuti con il grande gommone che spinto dai suoi due potenti motori vola letteralmente sulle onde. Ormeggiamo appena al largo di Punta Pennello, nella parte settentrionale dell’isola, subito fuori da Cala Maestra. Il cielo è nuvoloso, il mare quasi calmo e spira un leggero vento da Maestro, che va man mano rinforzando.

Durante il briefing, si decide di dividere il gruppo in due: Paolo con 10 sub più “tranquilli” scenderà lungo l’ancora e si porterà fino alla prima macchina, che è a poco più di 30 metri di profondità ed è in bilico sopra alla scarpata che scende oltre i 45 metri. Invece, la coppia dei "fanatici” o dei "profondisti", ovvero io e mia moglie Angela, si immergerà da sola, supererà la scarpata e scenderà fino a quello che viene scherzosamente chiamato “il parcheggio”, vale a dire il pianoro di sabbia bianca che degrada verso il largo fino a dove è affondato il “Nasim II” e lungo il quale sono disseminate le carcasse della ventina d’automobili che si trovavano sulla coperta del traghetto e che durante il naufragio sono state scaraventate fuori bordo.

Io ed Angela scendiamo in acqua e controlliamo prima la nostra attrezzatura e poi quella del buddy. Sono gesti metodici, ripetuti centinaia di volte, ma devo ammettere, che trovarmi lì con la mia compagna, sapendo di dover affrontare un’immersione piuttosto impegnativa, con appena un mono da 15 litri, pompato a 220 bar, mi dà un certo senso d’ansia... Inoltre, quando Angela è il mio buddy mi prende un ingiustificato leggero stato d’apprensione, dovuto al fatto che in me scatta il senso di responsabilità del marito protettivo... Non posso farci nulla. Angela invece, sorride tranquilla dietro la maschera e questo mi riporta a concentrare i miei pensieri su quello che sto facendo, piuttosto che su stupide paure. Ad ogni modo l’ansia sparisce appena ci scambiamo l’OK e un ultimo sorriso dietro alle maschere prima del tuffo all'indietro dal bordo del gommone.

Gli ultimi istanti prima di un’immersione profonda sono sempre il momento più importante, pieno di tensione e d’emozioni, che si sciolgono appena metto la testa sott’acqua e comincio a respirare. A quel punto la sensazione che provo è completamente diversa, mi prende una grande tranquillità e mi sciolgo letteralmente, fondendomi con l’acqua che mi circonda. Si tratta certamente di uno dei momenti più belli, in cui avverto i battiti del mio cuore e riesco a sentire ogni mio respiro, che cerco di rendere sempre più lento e regolare, fino a che, sospeso nell’acqua, quasi senza peso, sento una bellissima sensazione di tranquillità. Ogni volta è così, ma ogni volta provo nuove e diverse sensazioni.

Inizia così l’immersione. Scompariamo velocemente sotto la superficie  e precipitiamo a 18 metri di profondità in 60 secondi netti (come pianificato). Lasciamo il gruppo di Paolo dietro di noi e cominciamo a nuotare decisi verso il largo, scendendo nella direzione in cui dovremmo incontrare la prima macchina. La visibilità è ottima e, infatti, dopo poche pinneggiate, ecco apparire questa surreale automobile, con il tetto un po' ammaccato, ma perfettamente conservata e con pochissime incrostazioni sulla carrozzeria. Sembra quasi incredibile dopo così tanti anni!

Adesso siamo a -33 metri, dopo 4 minuti di immersione. Facciamo un giro attorno all’automobile e ne gustiamo i particolari. Mi fanno una particolare impressione i sedili di sky color rosso bordeaux, sui quali non si sono formate incrostazioni. Basta smuovere un po’ l’acqua attorno al sedile e il suo colore ritorna a brillare. Pare impossibile che quell’automobile si trovi in quella posizione da una trentina di anni!

Scendiamo ancora un poco e scorgiamo subito un’altra macchina, che si trova in bilico sulla scarpata a 38 metri di profondità. La superiamo e scendiamo fino al pianoro di sabbia bianca sottostante. Siamo nel famoso “parcheggio” e nuotiamo a circa 45 metri di profondità, sopra ad una serie di automobili sparse sul fondo, alcune accatastate le une sulle altre, altre capovolte, altre ancora in assetto... stradale. Sono tutte molto ben conservate e si distinguono i vari particolari: il volante, i sedili in finta pelle, le ruote perfettamente conservate, i fari ancora intatti. Alcune auto hanno il cofano spalancato o divelto e si distingue benissimo il blocco motore, la batteria ed altri particolari meccanici. Sembra di essere in un deposito di uno sfasciacarrozze, nel quale ci sono vari modelli di Fiat e di Peugeot degli anni ’70 e pare che il tempo si sia fermato, qui sotto la superficie del mare. Lo scenario che si vede sott’acqua è surreale ed ha, indubbiamente, un fascino particolare.

Il tempo purtroppo scorre veloce. L’aria che respiro ha assunto quella densità tipica dei meno 50 metri e provo ancora quella strana e particolare sensazione di “masticare” l’aria che mi arriva dall’erogatore. Questa sensazione mi è sempre piaciuta e mi rilasso ancora di più nuotando in quello scenario magico. Si, lo so, si tratta dei primi sintomi di narcosi, che sono ancora più pericolosi in quanto non vengono registrati dal cervello, e che sono preliminari ad uno stato di incosciente euforia. Lo so. So che basterebbe risalire di qualche metro e tutto questo svanirebbe, ma svanirebbe anche il sogno… ed è tutto troppo bello laggiù!!

L’acqua è molto limpida e... si vedono automobili che spuntano da tutte le parti. Siamo al decimo minuto di immersione ed ecco, che davanti a noi si staglia la sagoma inconfondibile della nave.

Dapprima appare un’ombra scura, che incombe davanti a noi, che ormai ci troviamo a 52 metri di profondità. Ma poi la sagoma si fa più nitida e la nave appare in tutta la sua maestosità. Sì, il m/t “Nasim II” è proprio lì davanti a noi e ci attira con il suo richiamo magnetico.

Urlo di gioia dentro alla mia maschera, mentre indico la nave ad Angela con il braccio teso e la lampada puntata verso la sagoma scura. Angela mi vede e, come al solito, mi fa segno di stare calmo... Forse pensa che io sia già in narcosi profonda. Ma come fai a stare calmo davanti ad uno spettacolo simile?! Sapevo che la nave è lunga poco meno di 70 metri, ma vista di fianco sembra davvero enorme! Un’occhiata agli strumenti: solo 100 bar di aria e ho preso già un minuto di deco. Peccato! Vorrei scendere ancora un poco e nuotare lungo il ponte della nave, ma non c’è il tempo. Mi piacerebbe scendere fino alle eliche, ma so che sono a -60 metri... per oggi non se ne parla!

Ho cercato tante volte di descrivere le sensazioni che provo laggiù, immerso in questa dimensione liquida, dove “sento” ogni mio respiro e dove riesco a trovare una parte altrimenti sconosciuta di me, ma ... non è facile. So solo che ogni volta provo una profonda sensazione di pace e di benessere e quasi non vorrei più tornare alla vita terrena. Guardo la grande nave davanti a me e penso: devo ritornarci!

Do appuntamento al “Nasim II”, sapendo che devo assolutamente ritornare qui, che devo organizzare molto meglio l’immersione. Ma intanto devo impadronirmi di qualche altra immagine della nave da serbare per sempre dentro di me. Questo relitto è come una calamita... non riesco proprio a distaccarmene. Ci riesce Angela invece, molto più razionale di me, che mi guarda fisso con aria quasi di rimprovero e mi fa un segno inequivocabile con il pollice rivolto verso l’alto: si risale! Agli ordini mio buddy! Mi sveglio quasi come da un bellissimo sogno e ritorno lucidissimo, concentrato sulla lenta risalita che mi aspetta. Purtroppo è già tempo di andare... Mi stacco dalla visione affascinante e misteriosa della nave con grande dispiacere e mentalmente prometto a me stesso di ritornare in questo luogo magico.

Incominciamo il percorso di ritorno, che durerà 24 minuti sino alla sosta di sicurezza, dopo che avremo smaltito risalendo lentamente i 3 minuti di deco accumulata. Io ed Angela voliamo sospesi sopra al “parcheggio”, guadagnando lentamente quota e ci fermiamo per fare 2 minuti di deep stop sopra alla Peugeot che si trova a 33 metri di profondità.

Saliamo ancora un poco e vediamo il gruppo degli altri sub in lontananza. La visibilità è davvero incredibile! Ci ricongiungiamo ai subacquei rimasti in prossimità della parete lungo la costa, dopo circa mezz’ora dall’inizio dell’immersione e completiamo la nostra deco giocando tra le rocce in acqua bassa, dove troviamo alcune piccole cernie brune nascoste sotto ad un masso. Che spettacolo! Ci mettiamo a giocare con i pesci, mettendoci uno da una parte ed uno dall’altra del masso e spingendoli di qua e di là con il fascio di luce delle nostre torce. Anche la noiosa decompressione a volte può essere divertente.

Paolo incrocia il mio sguardo e mi “domanda” se va tutto bene. Altro che bene! Io gli rispondo con gli occhi che sprizzano felicità e con ampi gesti che, nel linguaggio muto dei sub, significano: dopo ti racconto... E ce ne sarà da raccontare, sia dopo sia nei giorni successivi, quando le immagini di quel primo breve contatto avuto con il “Nasim II” continueranno a scorrere nella mia mente come alla moviola .... Questa è una di quelle immersioni che ti si stampano in modo indelebile nella mente e il suo ricordo non ti lascerà mai, perché il ricordo… è il più bel gioco della fantasia.

Mentre ondeggio a mezz’acqua per smaltire gli ultimi residui dell’azoto accumulato, chiudo gli occhi e rivedo come in un film al rallentatore quello che ho visto laggiù, cinquanta metri più in basso, dove un relitto contiene ancora tutti i suoi misteri da scoprire... Penso alla stiva della nave, nella quale una ventina d’automobili e di rimorchi di camion devono essere crollati gli uni sugli altri mentre la nave affondava e ora giacciono immobili in un gigantesco agglomerato di ferro. Chissà come sarà là dentro? Un brivido mi scorre per un attimo lungo la schiena. E’ impossibile entrare in quel groviglio di cavi e di lamiere. La nave conserverà per sempre il suo segreto, ed è giusto che sia così, in fondo.

Finisco questi miei pensieri mentre nuoto a 3 metri di profondità in direzione del "Bad Wave" ormeggiato un po' più al largo. Angela è già risalita a bordo del gommone perché sentiva freddo. Siamo in agosto, ma lei ha sempre freddo.... Giuro che il prossimo anno le comprerò una muta stagna! Io invece, indugio ancora un poco sott’acqua e mi rendo conto che non riesco a staccarmi da quel luogo magico, che ormai ha lasciato un segno indelebile dentro di me. Sopra, sulla barca, sarà una sensazione diversa, penso, ma lì nell’acqua riesco ancora a sentire un contatto ideale con ciò che ho lasciato là sotto.

Arrivederci “Nasim II” - penso - mentre riemergo sotto il sole tiepido e tolgo l’erogatore dalla bocca. Sono quasi finito in un altro mondo e solo le voci dei compagni che mi chiedono com’è andata mi fanno ritornare in questo mondo. Incontro lo sguardo complice della mia compagna, che sembra dirmi: "si, lo so che ci vuoi ritornare!".

Più tardi, mentre il gommone sfreccia veloce verso l’Argentario, sono ancora con gli occhi chiusi a rivedere il film del mio “Nasim II”.

Ad un tratto sento le grida dei compagni e mi risveglio quasi di colpo. Osservo il blu in lontananza, l’isola di Giannutri che si fa sempre più piccola dietro di noi e poi, più vicino, un branco di delfini festosi che saltano felici sulle onde e tagliano la scia della nostra barca. Penso che non ci potrebbe essere una chiusura migliore di questa mia incredibile giornata e sorrido felice. La mia prima volta sul “Nasim II”.... e chi se la dimentica più?! 

P S Sono tornato altre volte sul relitto del Nasim. L'ho fatto dopo aver conseguito il brevetto Trimix normossico e debbo dire che respirando Trimix da un bel bibombola 12+12 litri con una grande decompressiva da 12 litri attaccata sul fianco mi sono goduto l'immersione molto di più!

Relitto del Nasim II - maggio 2017 - con Angela

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Relitto del Nasim II - maggio 2017 -  Angela

Nella foto a destra io mentre sistemo il pedagno.