Crociera RELITTI DEL NORD E ISOLE BROTHERS

 

 

Mar Rosso - Aprile 2014  

Quante volte ho fatto una crociera subacquea... Per me è in assoluto la maniera più bella di vivere il mare, intensamente, completamente. Finalmente, dopo una lunga attesa arriva il momento dell’imbarco, che è sempre un momento molto particolare. Il più delle volte con molti dei partecipanti ci si conosce e ci s’incontra sulla barca per la prima volta. C’è chi è arrivato prima e chi arriva dopo, a secondo della provenienza del volo charter. Si sale a bordo e ci si presenta. Tanti nomi, tante persone accomunate da un'unica passione: l'immersione. Come ti chiami? Da dove vieni? Marcello, Angela, Federico, Marina, Gero, Lucy, Luca, Franca, Fabio, Luciano, Cosetta, Letizia, Giorgio, Davide, Massimiliano.... tanto ci vorranno almeno un paio di giorni per ricordare i nomi di tutti...  Ci si osserva, ci si studia, si cerca di capire che tipo di subacquei sono quelli che per un’intera settimana condivideranno con te lo spazio relativamente ristretto della barca. Saranno simpatici? Saranno capaci? Diventeremo amici? Intanto i maschietti single (ufficialmente o no) buttano gli occhi sulle femminucce che sono in barca da sole e, inevitabilmente, pensano tra sé e sé "me la darà o non me a darà?"....
Poi arriva il momento della scelta delle cabine: quelle in cui per una settimana lo spazio da condividere con un altro ospite sarà necessariamente molto ridotto, anche se il tempo da trascorrere al loro interno sarà certamente poco. E poi c’è il briefing introduttivo della crociera, fatto dal capo barca. Quel briefing che ho sentito tante volte, con le raccomandazioni di rito: "non sprecare l’acqua", "non gettare la carta igienica dentro il water", " non bere l'acqua del rubinetto, ma solo quella in bottiglia". Il capobarca descrive il programma della giornata, poi ritira i brevetti sub e passaporti che all'indomani mattina dovrà mostrare al controllo, infine illustra il programma del giorno seguente con l'orario della sveglia e della colazione, eccetera...
Finalmente, termina la prima lunga giornata dedicata solamente al viaggio e alla sistemazione e se gli orari di arrivo dei voli charter lo consentono ci si ritrova nella grande sala da pranzo della barca, per la prima cena tutti assieme. Dopocena si fanno ancora quattro chiacchiere spaparanzati sui comodi divani del salone centrale, sorseggiando una bibita o un caffè e infine un pò alla volta  si va nelle cabine a dormire, stanchi, ma felici per quello che ci aspetta. Poi finalmente, il mattino seguente, di buon ora, si parte per una nuova avventura...

L'inizio di una crociera subacquea si svolge più o meno sempre in questo modo, ma poi ogni crociera  riserva nuove avventure, nuove scoperte, emozioni, esperienze... nascono delle amicizie, a volte persino degli amori, e il passare del tempo ne dilata il ricordo rendendolo ancora più bello e facendo sognare quando sarà la prossima volta.

   Il M/Y "GALAXY", più che una barca... una nave da 43 metri!   

Sopra l'itinerario della crociera e a sinistra il M/Y"Galaxy"

Il gruppo di tutti i partecipanti alla crociera di "FEDEROSUB"

Fare una crociera subacquea secondo me è il modo più bello per fare immersioni, è un’esperienza di vita a contatto costante con il mare, sul mare e nel mare. Per un'intera settimana i ritmi delle giornate saranno scanditi dal sorgere e tramontare del sole: ci saranno tre o quattro tuffi ogni giorno, intervallati da colazioni, pranzi e cene e da tante ore di relax sul ponte sole e poi i trasferimenti da un punto all'altro, in cerca di un riparo per trascorrere la notte cullati dalle onde.

Io non sono nuovo alle crociere in Mar Rosso, ne ho fatte parecchie in questi ultimi anni, ma quella del 2014 è stata una crociera particolarmente fortunata, sotto diversi punti di vista. Innanzitutto la barca che c’è capitata è una delle più grandi e lussuose che navighino nel Mar Rosso: il M/Y “Galaxy”, varato appena nel 2009, lungo 42,5 metri e largo 8,6, una vera e propria nave, capace di ospitare 24 persone distribuite in 8 cabine doppie e 4 suite matrimoniali. In secondo luogo il numero dei partecipanti alla crociera: solamente 19, perciò gli 11 membri dell’equipaggio erano in rapporto di 1:2.! Ma, soprattutto è stata notevole la “qualità” e varietà dei partecipanti. Persone provenienti da città diverse, alcune delle quali associate al Circolo Subacqueo Federosub di Bologna che ha organizzato la crociera, altre semplicemente “amiche” grazie alla conoscenza nata su un social network, ma tutte animate dallo stesso amore per il mare e per le immersioni e con tanta voglia di trascorrere una settimana di relax e di allegria. E così è stato. Dopo una settimana trascorsa “sulla stessa barca” si sono creati nuovi rapporti di amicizia, se ne sono cementati di nuovi e, come spesso accade, sono nate anche delle “storie” che solo il tempo potrà dire se una volta tornati a terra saranno destinate a durare oppure no.

Il caso ha voluto che l’età media dei partecipanti a questa crociera fosse vicina ai cinquanta, e questo ha fatto sì che ci si trovasse tutti a proprio agio in compagnia di propri coetanei o quasi. I 19 partecipanti erano sostanzialmente divisi in tre gruppi, formatisi spontaneamente: una decina di subacquei con il brevetto “Advanced” o equivalente, che sono scesi in acqua con l’istruttore Federico e il capobarca Gianluca; un gruppetto di 6-7 subacquei più “tosti” (tutti istruttori o aiuto-istruttori, se non addirittura subacquei “tecnici”), che sono scesi in acqua in piena autonomia divertendosi un mucchio, e una coppia di marito e moglie russi, che si sono tuffati sempre con Inna, la seconda guida della barca, di nazionalità russa e a loro dedicata.

L’essere entrato assieme a mia moglie nel gruppetto dei subacquei “tosti” (o degli “irriducibili” come siamo stati definiti nel giorno di mare molto mosso) ha fatto sì che potessi condurre le nostre immersioni in piena autonomia e libertà per quanto riguarda tempo, profondità e itinerario, e questo, francamente, non è cosa da poco.

Anche l’itinerario della crociera è stato piuttosto insolito. Partiti da Hurgada la domenica mattina (dopo aver fatto il lungo tragitto in pulmino dall’aeroporto di Marsa Alam, durato oltre tre ore), ci siamo diretti dapprima verso Nord nello Stretto di Gubal, dove abbiamo visitato alcuni dei relitti di navi affondate in questa zona. Poi, il martedì sera, dopo aver fatto la terza immersione della giornata ci siamo spostati verso Sud e con una lunga navigazione di una quindicina di ore siamo arrivati alle isole Brothers. Infine, il giovedì pomeriggio abbiamo rimesso la prua verso Nord e abbiamo terminato la nostra lunga crociera il venerdì con due tranquille immersioni nelle acque dei reef antistanti Hurgada, dove siamo sbarcati.                       

Il rosso tramonto egiziano

Fin dal primo momento si è creata tra tutti i partecipanti una speciale alchimia, che ha fatto sì che le ore tra un’immersione e l’altra scorressero veloci tra scherzi e risate. Il clou si è avuto la sera di martedì 8 aprile, quando si è festeggiato il quarantacinquesimo compleanno di Gianluca, il capobarca, e i “ragazzi” si sono scatenati in scherzi e danze sfrenate sul primo ponte scoperto, trasformato in discoteca, con musica a palla, luci colorate e open bar, dal quale sono spuntate come per incanto bottiglie di Vodka e di Tequila. Come ci si sia potuti immergere la mattina seguente senza accusare un mal di testa feroce rimane ancora un mistero… Ricordo ancora le facce tra il divertito e lo stupito dei ragazzi egiziani dell’equipaggio, che hanno visto un gruppo di ultra cinquantenni sfrenati ballare facendo il trenino tutto attorno al primo ponte della barca… Che dire? Sono  solo “ragazzi”!!

Durante questa crociera la qualità e varietà delle immersioni è stata molto buona, alternando immersioni lungo le pareti dei reef a immersioni sui famosi relitti del Nord. E poi le mitiche isole Brothers, un mio obiettivo da parecchio tempo: due scogli sperduti proprio al centro del Mar Rosso, contornati da pareti coloratissime e ricche di vita che sprofondano nel blu.

Il tempo alle Brothers non è stato dei migliori, e questo ha condizionato in parte le nostre immersioni, ma gli “irriducibili”non si sono fatti fermare né dal vento forte che spazzava la superficie, né dalla corrente, né dal mare mosso. Sono mancati gli incontri con i famosi squali martello che sembra popolino queste acque, ma le immersioni ci hanno riservato piacevolissime sorprese, come l’incontro con una manta gigante, uno squalo volpe, tartarughe e delfini e tutto il campionario di coloratissimi e vivaci pesci di barriera che rendono le immersioni in Mar Rosso davvero uniche.

Adesso l’appuntamento è per il prossimo anno, con il desiderio che arrivi presto, per fare assieme un’altra crociera che si spera possa essere altrettanto bella e divertente come questa. Non ci resta che aspettare...!

Sotto alcuni degli allegri momenti della vita a bordo

 

 

DIARIO DI BORDO

 

Gota Abu Ramada

 

A sud dell’isola di Abu Ramada, di fronte a Hurghada, affiora il grande reef circolare semiaffiorante di Gota, del diametro di duecento metri circa. L’isola di Abu Ramada si presenta con un profilo piatto e allungato esposta in direzione nord-sud ed è situata a sud dell’isola di Giftun. Tutto il perimetro del reef è circondato da un fondale di sabbia bianca corallina tutto pianeggiante che raggiunge la profondità di una dozzina di metri. Come la maggior parte dei siti d'immersione che si trovano a nord, anche questo risente dei venti predominanti e molto spesso l’ormeggio è difficoltoso, quindi la barca deve trovare un ridosso dove poter attendere i subacquei.

 

6 aprile 2014
Una volta ormeggiati a sud del reef, ci siamo immersi per fare la nostra chek-dive tuffandoci direttamente dalla barca sul lato sud-ovest di Gota, su un fondale di sabbia corallina di una dozzina di metri. Questo lato del reef è meno rigoglioso, essendo rivolto alla costa e meno esposto alle correnti ricche di plancton, ma ci sono due grosse torri madreporiche del diametro di una quindicina di metri ricche di anfratti. Sulla torre più a nord si trova un piccolo arco chiuso da un affascinante cancello di gorgonia. La parete del reef è abbastanza viva e colorata, caratterizzata da una massiccia presenza di madreporari delle famiglie Faviidae, Poritidae e Pocilloporidae: grandi madrepore cervelliformi che si sviluppano in modo laminare ricoprendo gli scogli. Qui ci sono alcune torri madreporiche distanti una quindicina di metri dal reef, ricche di alcionari e di coralli duri e molli.

Gota è famoso per i banchi stanziali di ombrine, dentici dorati, pesci angelo e farfalla, che hanno fatto la delizia dei fotografi del nostro gruppo. Abbiamo visto anche un bel pesce Napoleone e un grosso pesce balestra (Balistes), poi cernie pappagallo, trigoni maculati (Taenjura lymma), pesci leone (Pterois volitans)  e tutto il campionario della flora e fauna del Mar Rosso: pesci fucilieri, pesci farfalla, pesci pagliaccio, pesci vetro. Essendo un reef molto frequentato dai subacquei le costruzioni madreporiche più delicate sono state in molti casi danneggiate,  tuttavia Gota continua a mantenere, nella zona, il suo primato di fascino tropicale.
Al termine dell’immersione abbiamo provato tutti a fare un lancio del pedagno, manovra che ci potrebbe tornare utile nei giorni seguenti in caso di corrente forte.

 

 

Sha'ab Ali

Attraversando il canale di Gobal in direzione dei relitti del nord si raggiunge l’esteso reef di Sha’ab Ali sul versante del Sinai. Qui la barriera corallina forma una vasta laguna che separa la penisola del Sinai dal canale di Suez. Addentrandosi nella laguna tramite alcuni varchi della barriera si può trovare un ottimo ancoraggio per la notte con il mare assolutamente privo di onde o di increspature. Il vento proveniente dal canale di Suez è comunque quasi sempre teso. E’ proprio su questo reef che ci siamo ancorati e abbiamo fatto due belle immersioni, una al pomeriggio e una notturna.

Dopo il tramonto, continuando a guardare in direzione ovest, le fiaccole delle piattaforme petrolifere rischiarano l'orizzonte aggiungendo un pizzico di magia alle splendide notti stellate del Mar Rosso.

Il fondale sabbioso e pianeggiante di una quindicina metri, è costellato da tutta una serie di piccoli scogli corallini che offrono il riparo notturno alla fauna locale e garantiscono molti incontri interessanti. Qui ci sono stelle marine, ricci matita, paguri che trasportano gli anemoni, granchi, magnose, seppie, e tutti quegli animali che di giorno vivono rigorosamente rintanati per evitare aggressioni da parte dei predatori. E' l'ambiente ideale per effettuare delle splendide macrofotografie, perchè il ritmo vitale degli animali di notte è più rallentato che di giorno e questo permette di avvicinarsi molto di più per le fotografie.

 

6 aprile 2014

L’immersione del pomeriggio a Sha'ab Ali ci ha riservato una grandissima emozione: un incontro subacqueo che difficilmente si scorda, forse anche perchè per molti di noi è stato il primo di quel genere. Verso la metà del nostro tuffo, mentre ritornavamo lentamente verso la nostra barca, siamo stati attratti dai tipici e inconfondibili richiami sonori che emettono i delfini. Fermi, sospesi sopra un fondale sabbioso di una quindicina di metri, ci siamo radunati assieme e all’improvviso dall'azzurro e uniforme orizzonte subacqueo che ci circondava, ecco spuntare velocissimi sette begli esemplari di delfino adulto, accompagnati da quella colonna sonora fatta di particolari squittii.

In un attimo i delfini si sono avvicinati a noi, girando gioiosi nell’acqua, mentre due di essi erano impegnati in una romantica interminabile danza d’amore.

Sul mare, in superficie, avevo visto tante volte nuotare branchi di delfini, e anche sott’acqua ne avevo incontrati diverse volte durante le mie immersioni, ma trovarmene così tanti a pochi metri di distanza che mi giravano intorno in piena libertà mi ha emozionato moltissimo.

Mi è rimasta particolarmente impressa la straordinaria velocità con la quale i delfini si muovevano ondeggiando appena dal basso verso l'alto la loro coda falciata, e l’immagine dei due delfini in amore mi ha rapito completamente. I sette delfini sono rimasti assieme a noi per circa venti minuti, incuranti della nostra presenza, offrendoci uno spettacolo bellissimo, prima di riprendere la loro strada dentro e sull'acqua, lasciandoci negli occhi l'incancellabile immagine della loro silhouette armoniosa.

 

A sinistra in alto il raro pesce diavolo e sotto la fantastica coppia di delfini in amore incontrati a Sha'ab Ali.

 

Stretto di Gobal (7 aprile 2014)

Il tratto di mare compreso tra Hurghada e Sharm el Sheikh, è chiamato Stretto di Gobal, ed essendo situato appena oltre il Golfo di Suez costituisce, a causa dei suoi insidiosi reef, un temuto passaggio obbligato per tutte le navi che discendono il Mar Rosso dal Canale di Suez.

Basta osservare la carta nautica per rendersi conto di come i banchi di corallo presenti in questo braccio di mare hanno da sempre costituito un serio pericolo per tutte le navi provenienti dal Mediterraneo o che cercavano di raggiungerlo. Il maggior numero di relitti di tutto il Mar Rosso egiziano, si trova proprio qui nello Stretto di Gobal, anche se in realtà, non si conosce con precisione il numero di navi e di vascelli affondati in queste acque che hanno da sempre costituito un'importante arteria per il commercio marittimo.
Muti testimoni di tragedie antiche e moderne, i relitti sono oggi una delle principali mete subacquee della zona e queste navi affondate sono pagine di storia "congelate" sul fondo, ancora vive e leggibili da chi, come me, è appassionato di questo tipo di immersioni.

La stragrande maggioranza dei relitti sinora individuati nel Mar Rosso si trova a ridosso delle barriere coralline che per secoli sono state il terrore di marinai e naviganti; si tratta di scafi spesso sommersi da pochi metri d'acqua, che sono facilmente raggiungibili dai subacquei.

L'attività commerciale lungo il Mar Rosso è sempre stata molto intensa, anche prima dell'apertura del Canale di Suez, infatti le merci imbarcate sulle navi che provenivano dall'Oceano Indiano, raggiunta la costa nord del Golfo di Suez, venivano sbarcate per essere trasportate grazie ad interminabili carovane di cammelli fino alle sponde del Mediterraneo, dove venivano nuovamente imbarcate per la loro destinazione finale. Con l'apertura del Canale di Suez, avvenuta nel 1869, il traffico navale aumentò considerevolmente e i maggiori fruitori di questa nuova rotta furono i vascelli della flotta commerciale britannica, in costante collegamento con le colonie del subcontinente indiano. Da allora i porti di Bombay, Calcutta e Madras videro aumentare enormemente le proprie attività, grazie al risparmio di tempo che si poteva ottenere con la nuova rotta. Molti vascelli affondarono navigando in queste acque insidiose e le loro strutture adagiate tra i coralli in breve tempo si sono trasformate, divenendo piene di colori e di vita come i reef circostanti.

 

Relitto del “GHIANNIS D”

 

(27° 34' 31.9008" N, 33° 55' 18.984" E)

 

Costruito in Giappone e originariamente chiamato “Shoyo Maru,” al momento in cui affondò il “Ghiannis D” era di proprietà della compagnia di navigazione greca Dumarc: da qui deriva la lettera “D” dipinta sul fumaiolo, che è visibile ancora oggi. Nell’aprile 1983, mentre navigava verso sud, il “Ghiannis D” urtò violentemente contro il reef di Sha´ab Abu Nuhas e affondò rapidamente con il suo carico di legname.

Il relitto, che si trova accanto alla barriera corallina tra i 4 e i 24 metri di profondità, è visibile completamente da entrambe le estremità grazie alla buona visibilità che c’è in questa zona. Lo scafo è inclinato sul fianco sinistro, ed è spezzato in due parti, ma sia la prua sia la poppa sono ancora integre.

7 aprile 2014

Abbiamo iniziato l’immersione sul relitto del “Ghiannis D” dalla poppa, che è ancora ben conservata, mentre la parte centrale della nave è completamente danneggiata. Sul fondale sabbioso sotto la poppa abbiamo incontrato un grosso pesce coccodrillo. Nella sezione di poppa, abbiamo visitato la sala motori, entrando da un’apertura nella ciminiera: qui si vedono ancora gli strumenti, le tubazioni e i macchinari, tutti molto ben conservati. Siamo quindi entrati nella plancia di comando, dove abbiamo scattato alcune suggestive fotografie, e abbiamo nuotato nei corridoi del cassero di poppa.

Dopo l’esplorazione della poppa, ci siamo diretti verso prora, passando sopra la sezione mediana completamente distrutta, e abbiamo dato un’occhiata da vicino alla prua che si trova tra i 12  e i 18 metri di profondità. Molto belle le catene delle ancore e il grosso argano sulla prua.

Il relitto ormai è stato colonizzato da molte specie di coralli molli, e di conseguenza diverse specie di pesci ne hanno fatto la propria dimora: abbiamo incontrato banchi di Glassfish e di Anthias rosa, ma abbiamo visto anche pesci angelo, pesci scorpione e cernie rosse maculate.

 

 

Marcello all'interno del "Ghiannis D"

 

 

Marcello

 

 

Pesce istrice

 

Angela

Relitto del “CARNATIC”

 

(27° 34' 45.9372" N, 33° 55' 34.356" E)

 

Costruito in Gran Bretagna nel 1862, il “Carnatic” era una nave a vela e vapore che operava sia come nave passeggeri sia come mercantile, sulla rotta tra Suez e Bombay. L’ultimo viaggio del "Carnatic" iniziò da Suez il 12 settembre 1869 con destinazione il porto di Bombay in India, trasportando 210 persone e un carico di balle di cotone, fogli di rame, posta destinata ai soldati inglesi in India, numerose bottiglie contenenti vino e «London soda water» oltre a 40.000 sterline, mai più rinvenute. Nella notte del 13 settembre, quando la nave giunse all’estremità meridionale del Golfo di Suez, a causa di forti correnti si avvicinò pericolosamente ai reef occidentali dello Stretto di Gobal e terminò il suo viaggio contro i taglienti coralli di Abu Nuhas. Dopo l’urto la nave rimase incagliata sulla sommità del reef, ma a nulla valsero i numerosi tentativi dell’equipaggio di riportarla in acqua e rimetterla in condizione di navigare. Il giorno successivo il tempo peggiorò ulteriormente e lo scafo non resistette a lungo alla furia del mare spezzandosi in due tronconi. La zona di poppa affondò subito trascinando con sé una ventina di passeggeri, mentre la prua rimase incastrata sulla sommità del reef per alcuni mesi, sino a quando una forte burrasca non la fece scivolare definitivamente alla base della barriera corallina dove oggi giace.

Oggi il relitto del “Carnatic”, adagiato sulla fiancata sinistra tra i 16 e i 27 metri di profondità, è interamente ricoperto di coralli molli e lo scafo, dopo più di un secolo dall’affondamento, appare molto corroso dal mare, ma grazie alla ricca fauna sessile che riveste totalmente le sue strutture, si mostra ricco di colore e particolarmente interessante dal punto di vista biologico. Nonostante la sezione mediana si sia spezzata, la poppa e la prua sono ancora intatte.

 

7 aprile 2014

Siamo scesi in acqua tuffandoci dal gommone direttamente sulla poppa, e abbiamo potuto ammirare il grande timone, ancora integro, e la poderosa elica a tre pale. Dopo avere esplorato la poppa, abbiamo proseguito verso la zona di prua che ha le strutture principali quasi integre, mentre le assi che rivestivano i ponti sono ormai sparite formando larghe fenditure che permettono ai raggi del sole di filtrare all’interno e creare sorprendenti giochi di luce. Nelle zone più in ombra abbiamo incontrato nuvole di Glassfish particolarmente suggestivi. All’interno delle stive sino a pochi anni fa erano ancora visibili le casse di legno contenenti le bottiglie di vino e quelle ovoidali di Soda Water sulle quali erano impressi i nomi dei porti di destinazione di Bombay e Calcutta. Purtroppo, l’abitudine di molti subacquei di prelevare souvenir dai relitti, ha privato il Carnatic di uno degli aspetti più affascinanti della sua storia e noi abbiamo visto solo qualche coccio di bottiglia rotto. Risalendo verso la superficie abbiamo visto un bel tonnetto che nuotava nel blu ed è rimasto accanto a noi per qualche tempo.

Relitto del "KINGSTON"

 

(27° 46.438’ N – 33° 52.241’ E)


Shag Rock, situato a circa un miglio a sud di Sha’ab Ali e a 6 miglia di distanza dl relitto del “Thistlegorm” è un reef affiorante segnalato da un piccolo faro metallico posto al suo angolo di sud-est. Sul lato nord del reef si trova un relitto allineato secondo un asse sud-nord con la prua incagliata nel reef. La nave fu scoperta agli inizi degli anni ’90 da Shlomo Cohen, che non avendola identificata decise di darle il nome della sua compagna (Sarah Halal), finchè diversi anni dopo venne finalmente identificato il vero nome della nave “Kingston”.

Costruito nel 1871 a Sunderland in Inghilterra dalla Oswald Shipyard Company, il “Kingston” era un cargo a propulsione mista vela e motore, lungo 78 metri, largo 10 metri, con una stazza lorda di 1.449 tonnellate, con un motore a vapore a due cilindri che imprimeva alla nave una velocità di crociera di 11 nodi. Nonostante fosse utilizzata come nave da trasporto di carbone, il “Kingston” veniva adibito anche al trasporto di passeggeri ed era iscritto presso i Lloyds di Londra come “brigantino a vapore con chiglia in acciaio”.

Alle prime luci dell’alba del 20 febbraio 1881 il “Kingston”, proveniente da Londra e diretto ad Aden nello Yemen, mentre si apprestava ad entrare nello stretto di Gobal andò inspiegabilmente a sbattere sulle rocce del reef di Shag Rock, molto probabilmente a causa dei forti venti che spiravano da nord. Per due giorni il capitano e il suo equipaggio lottarono strenuamente per cercare di salvare la nave in modo da rimetterla a galleggiare, ma i loro sforzi furono inutili e il “Kingston”cominciò lentamente ma inesorabilmente ad affondare di poppa. In poco tempo soltanto gli alberi rimasero fuori dall’acqua, mentre tutto il resto dello scafo s’immerse completamente sott’acqua, e questa fu la visione che ebbero i primi soccorritori giunti sul luogo del naufragio.

 

7 aprile 2014

Ci siamo immersi sul relitto del “Kingston” nel pomeriggio, l’ora migliore perchè i raggi del sole filtrano attraverso le strutture della nave. Appena in acqua ci siamo portati alla massima profondità di 15 metri dove si trova la poppa, circondata da una stupenda barriera corallina. Molto suggestivo da vedere il grosso timone, accanto al quale si trova un grosso ramo di gorgonia e l’elica a quattro pale ancora intatta.

Il relitto è appoggiato in assetto di navigazione lungo la parete del reef, ma le sue strutture sono ben conservate solo fino a metà dello scafo. La nave è spezzata in due blocchi, e noi siamo entrati all’interno dalla zona di poppa, dove la luce illumina le stive con i raggi solari che penetrano nello scafo. Il peso del carico di carbone che la nave trasportava al momento del naufragio, mantiene ancora oggi il relitto in assetto, evitando che scivoli ulteriormente per il forte moto ondoso che si scarica violentemente addosso allo scafo ogni giorno e che con il tempo ha corroso gran parte delle sue strutture. Con il passare degli anni sono stati rimossi buona parte degli oblò e tutte le strutture di legno presenti si sono decomposte lasciando al vivo soltanto le ordinate di ferro. Appoggiata sui resti della coperta è ancora presente l’elica di rispetto e i resti della sala macchine con la grande caldaia utilizzata per alimentare il motore a vapore. I resti dell’albero di maestra si trovano appoggiati lungo il reef sul lato destro della nave. Da questo punto in avanti un intersecarsi di strutture metalliche danno soltanto un’idea di com’era il resto della nave. A 4 metri di profondità si trova il secondo albero e diverse parti metalliche ormai concrezionate dal corallo. La zona di prua, ormai completamente distrutta sul reef, ha lasciato soltanto piccoli segni della sua struttura disperdendo enormi pezzi di ferro lungo tutta la barriera. Un’intensissima vita marina e splendidi coralli completamente intatti fanno da cornice a questo relitto, sul quale abbiamo visto pesci chirurgo, pesci coniglio, pesci balestra e pesci scatola. Abbondante è la presenza di alcionacei, acropore e madrepore.

 

 

 

 

Relitto del “THISTLEGORM”

 

(27° 48' 47.2104" N, 33° 55' 14.916" E)

 

Ed eccoci finalmente arrivati sul “Thistlegorm”, il relitto più famoso del Mar Rosso! Si tratta del relitto di una nave mercantile britannica, lunga 128 metri e larga 18, costruita nel 1940 e affondata a circa 31 miglia a nord da Sharm el Sheikh la mattina del 5 ottobre 1941 mentre era ancorata a Sha´ab Alí. La nave fu bombardata dagli aerei della Luftwaffe e colò a picco praticamente intatta, se si esclude la parte poppiera, perché l’esplosione delle munizioni di cui era piena la stiva n. 4 spezzò in due lo scafo che affondò rapidamente.

Il relitto del cargo armato si trova ad una profondità che va dai 15 metri della prua ai 33 metri sotto la poppa, e sia lo scafo sia il suo carico sono ancora in buono stato di conservazione. Il “Thistlegorm” è accessibile all’interno, dove si trova ancora l’intero carico di approvvigionamenti per le truppe britanniche dislocate in Nord Africa, perfettamente riconoscibile nonostante le incrostazioni coralline. Nelle stive ci sono armi, munizioni, mine anti carro, motociclette BSA, autocarri Bedford, sidecar, carri armati leggeri, pezzi di ricambio di aerei e di altri mezzi, pneumatici, stivali di gomma e medicine.

 

 
8 aprile 2014
Il “Galaxy” ha ormeggiato tirando un cavo proprio sulla poppa della nave e per poter visitare bene il relitto abbiamo fatto due immersioni di quasi un’ora ciascuna, la prima verso le 6.30 del mattino e la seconda alle 10. Abbiamo formato vari gruppetti ed io e mia moglie siamo scesi da soli. Questo ci ha permesso di fare due immersioni in tutta calma e di cogliere dei particolari del relitto e del suo affascinante carico che non avevamo mai visto le altre volte che lo avevamo visitato.
 
Nella prima immersione siamo scesi sulla grande elica e sul timone fino a 33 metri di profondità, poi siamo saliti a 25 metri sulla coperta di poppa, portandoci sulla piazzola di tiro dove ci sono una mitragliatrice pesante da 4,7 pollici e un cannoncino antiaereo da 40 mm ancora molto ben conservati. L'area di poppa, invece, devastata dall'esplosione, è un confuso ammasso di materiali vari, a volte difficilmente identificabili. Nella stiva n. 4 colpita dalle bombe tedesche ci sono cavi, casse di munizioni, bombe per gli obici da 105 mm, carrelli per trasportare le munizioni e due carri armati leggeri Bren Carrier MK II rovesciati sul fondo. Dopo aver dato un’occhiata all’ampio squarcio provocato dall’esplosione, ci siamo diretti verso prua, passando sopra la stiva n. 3  che conteneva solo carbone. Siamo entrati nella cabina del capitano e nel suo bagno, nel quale c’è una piccola vasca. Siamo quindi saliti nella plancia di comando completamente spoglia e l’abbiamo attraversata, poi abbiamo raggiunto la prua, dove a 15 metri di profondità c’è il grande argano salpa ancore con le catene ancora ingranate, mentre sul ponte di prua ci sono anche due vagoni porta carbone e due vagoni cisterna ferroviari. Sul lato di dritta c’è una strana struttura: si tratta di un paramine divergente, un marchingegno a forma di siluro presente su molte navi inglesi durante la Seconda Guerra Mondiale, che filato in acqua di poppa alla nave serviva a tagliare i cavi di eventuali mine frenate. Dopo aver fatto la classica foto di rito sul dritto di prua in “stile Titanic” siamo scesi sotto la prua, dove c’è ancora un’ancora tipo Hill nell’occhio di cubia, e poi siamo ritornati verso poppa passando nuovamente per la cabina del comandante.

Nella seconda immersione siamo entrati nelle stive del relitto (la parte più interessante), rimanendo al loro interno per oltre mezz’ora e perlustrandone ogni angolo, compresi quelli più nascosti che le guide di solito non fanno vedere durante le loro frettolose immersioni guidate. La stiva n. 1 è occupata da una grande quantità di interessante materiale. Nel livello superiore ci sono due rimorchi vuoti, motociclette, cavi e materiale elettrico; mentre in quello inferiore ci sono due camion Bedford, generatori da campo, calotte di ricambio per aerei (presumibilmente i caccia Hawker Hurricane), brande da campo, casse di fucili Lee Enfield MK III, lunghi stivali di gomma e casse di medicinali. Nella stiva n. 2 nella parte superiore ci sono ci sono camionette Morris, motociclette BSA W-M20, rimorchi vuoti; mentre nella parte inferiore ci sono autocarri Bedford carichi di moto, moto con sidecar, molti rimorchi vuoti e alcuni altri carichi di moto, e poi ali d’aereo, stivali di gomma, copertoni e fucili sparsi. Una meraviglia, specialmente per i fotografi!

La profondità massima che si raggiunge all'interno delle stive è di circa 26 metri, ma data la lunga permanenza e la ripetitività dell’immersione noi abbiamo accumulato un po’ di deco. Quando mai lo rifaremo un “Thistlegorm” così?!

 

Umm Qamar

 

Dopo una breve navigazione ci siamo spostati a Umm Qamar, una solitaria e piatta isoletta lunga circa 400 metri il cui nome arabo significa “Madre della Luna”. Questo isolotto, di facile identificazione per la presenza di un piccolo faro, costituisce l'estremità emergente di un vasto reef che si estende da nord a sud per diverse centinaia di metri.

 

8 aprile 2014

Il “Galaxy” ha ormeggiato attaccandosi ad una delle boe fisse poste a ridosso del versante meridionale dell’isola e ci siamo immersi tuffandoci direttamente dalla barca. Siamo scesi su un fondale di una quindicina di metri che digrada dolcemente verso il mare aperto, caratterizzato da blocchi madreporici intervallati a chiazze di sabbia corallina. Per un po’ abbiamo lottato contro una fastidiosa corrente contraria, e seguendo la lunga parete orientale in direzione sud, nuotando con la parete a sinistra, abbiamo raggiunto una piccola grotta che si trova a circa 27 metri di profondità, non particolarmente interessante. Poi siamo tornati indietro in favore di corrente fino ad arrivare a un bel giardino di coralli duri e molli, disteso tra i 3 e i 7 metri di profondità. La parete del reef era piena di alcionari e gorgonie di diverse specie, e una moltitudine di pesci vetro fluttuavano armoniosi e compatti illuminati dalle lame di luce che filtravano attraverso la sommità del reef, mentre i piccoli pesci corallini si rifugiavano nelle fenditure del reef. Da segnalare l’incontro con un lungo serpente di mare maculato, un gruppo di dentici di taglia media, due grosse murene verdi, un trigone maculato e un’infinità di pesci ago.

 

Angela & Marcello

Isole Brothers  (9-10 aprile 2014)

 

Big Brother e Small Brother, chiamate in lingua araba “El Akawein”, ovvero i fratelli, sono due piccolissime isole situate al centro del Mar Rosso a circa 68 miglia a sud-est da Hurghada, che costituiscono, assieme a Dedalus, il territorio più ad est appartenente all’Egitto. Le isole Brothers si trovano nel bel mezzo del Mar Rosso, in mezzo al nulla, e sono gli unici punti emersi nel raggio di molte miglia; questo, insieme al fatto che sono state riaperte solo recentemente al turismo dopo parecchi anni di chiusura totale, fa sì che la vita sottomarina qui sia ricchissima e davvero fantastica.

Si dice che attorno alle due isole, che sono Parco Nazionale dal 1996, sia possibile ogni incontro con i grossi pesci, in particolare gli squali, perché la loro posizione esposta alle correnti è un punto di ritrovo per tutta la fauna pelagica che sale dalle profondità: Per questo motivo le immersioni di questa zona sono considerate tra le più belle, non solo del Mar Rosso, ma del mondo intero.

Il fatto di trovarsi in mare aperto e il grande ricircolo di acque ha reso le pareti immerse delle Brothers un’esplosione di colori e di vita davvero uniche. La ricchezza dei coralli, in particolare di quelli molli, eccezionali sia per dimensioni sia per colori, contornati da migliaia di Anthias rosa, danno un fascino unico a questi luoghi, con una natura ancora selvaggia, che dà un’idea di che cosa fosse il Mar Rosso quarant’anni fa, prima dell’esplosione del turismo subacqueo di massa.

Con queste premesse, il nostro gruppo è arrivato alle Brothers pieno di aspettative, pur consapevole del fatto che le condizioni meteomarine avrebbero potuto condizionare le nostre immersioni. La morfologia e l’ubicazione delle due isole, infatti, non offre un grande riparo alle barche ormeggiate, perciò, in caso di vento forte, le immersioni possono risultare impegnative e l’ormeggio può non essere dei più confortevoli per chi ha lo stomaco “debole”… e così purtroppo è stato per alcuni dei miei compagni di crociera durante il secondo giorno di permanenza alle Brothers. In ogni caso, tutti o quasi tutti siamo riusciti a fare 4-5 immersioni nella zona ed anche se è mancato l’incontro con gli squali, le emozioni non sono davvero mancate.

 

 

Small Brother (26° 19' 42.5964" N, 34° 50' 35.304" E)

 

Small Brother si trova a circa un chilometro a sud di Big Brother, e più che un’isola si può definire uno scoglio dalla forma circolare con un diametro di poche decine di metri, contornato da uno spettacolare reef che dopo un primo gradino madreporico a 30 metri, precipita verticale nel blu più profondo. Se in superficie Small Brother non presenta alcun interesse, il mondo sommerso che nasconde è semplicemente fantastico: le sue pareti sono meravigliosamente tappezzate da mastodontiche gorgonie e qui è possibile il passaggio dei grossi pesci pelagici.

Nonostante abbiamo fatto tre immersioni a Small Brother, sia sulla parete di nord-ovest sia su quella di sud-est, spingendoci anche fino a 43 metri di profondità noi non abbiamo incontrato gli squali per i quali queste isole sono famosi. Abbiamo comunque potuto ammirare la splendida foresta di corallo e di gorgonie che adorna la parete nord-ovest dell’isolotto e tutto il campionario di coralligeno del Mar Rosso ancora intatto che ricopre le pareti di quest’isola, con corallo duro e molle di ogni colore e varietà e un’infinità di pesce di barriera.

L’immersione lungo la parete di sud-est dell’isolotto è stata particolarmente affascinante perchè la parete è caratterizzata dalla presenza di una superba foresta di corallo, un vero e proprio «bosco di gorgonie giganti», con decine di filari di gorgonie maestose che si susseguono a partire dai 30 fino ai 40-45 metri di profondità. Abbiamo visto branchi di barracuda, diverse specie di cernie, tantissimi pesci ago, dentici e tonni. La corrente è sempre stata piuttosto forte, ma gestita correttamente ci ha consentito di ritornare sempre ala barca senza particolari difficoltà.

 

Sopra l'isolotto di Small Brother e sotto Angela e Marcello nel blu

 

 

Big Brother (26° 18' 18.3996" N, 34° 51' 39.5712" E)

 

Big Brother, l’isola maggiore, presenta un profilo piatto e allungato; esposta in direzione nord-sud è sovrastata da un imponente faro in pietra costruito dagli inglesi nel 1880. La parte immersa intorno all’isola presenta a nord e a sud due pianori, con quello a sud leggermente più ampio. Le pareti est ed ovest sono perfettamente perpendicolari fino ai 50-60 metri di profondità, per poi digradare, sempre più profonde verso il mare aperto fino a raggiungere circa 1.000 metri di profondità.

La parte emersa dell’isola si presenta come una lingua di sabbia lunga circa 500 metri e larga un centinaio, e ospita un piccolo drappello di soldati egiziani e guardiani del faro.

Nonostante la presenza del faro, diversi relitti giacciono nei fondali che circondano l’isola. Alcuni di essi si trovano a profondità ormai inaccessibili, mentre due sono visitabili: il cargo inglese Numidia e il mercantile egiziano Aida II.

Penalizzati dal vento molto forte e dal mare mosso incontrati nel nostro secondo giorno di permanenza alle Brothers, purtroppo non abbiamo potuto visitare i due relitti essendo troppo esposti e ci siamo dovuti accontentare di un’immersione lungo la parete nord-ovest dell’isola.

Abbiamo però avuto la possibilità di scendere a terra e salire fino sulla sommità del faro sferzata da un vento impetuoso, per godere dell'incredibile vista che si ha solo da lassù.

Il giovedì mattina un gommone ha accompagnato il gruppetto degli “irriducibili” fino verso la punta nord di Big Brother: lì ci siamo tuffati in sette in assetto molto negativo, senza perdere tempo in superficie, e siamo andati subito giù fino a 35 metri di profondità per vincere la corrente. Abbiamo costeggiato la parete più protetta dell'isola e siamo tornati alla nostra barca nuotando lentamente per ammirare questa bellissima e coloratissima parete, interamente ricoperta di corallo duro e molle. Guardando nel blu abbiamo visto una manta gigante, mentre alcuni di noi, più fortunati, hanno incontrato anche uno squalo volpe che rapidamente è schizzato in profondità. Un’immersione che valeva assolutamente la pena di fare: peggio per chi è rimasto in barca!

 

A sinistra il gruppetto degli "irriducibili" sfida le correnti e le onde delle Brothers

Sotto una  manta gigante, uno squalo volpe e alcune vedute del faro e dell'isola di Big Brother

                                  

   

Small Giftun

 

11 aprile 2014

Partiti dalle Brothers nel pomeriggio di giovedì, con una lunga navigazione notturna siamo tornati verso nord e abbiamo raggiunto l'isola di Giftun Seghir, la più piccola delle due isole Giftun. Situata a 8,5 miglia a est dalla costa di Hurgada, Giftun è considerata una delle isole più scenografiche dell’arcipelago di Hurgada. Per raggiungere il punto d’immersione abbiamo costeggia il litorale orientale dell’isola e, oltrepassata una postazione militare, abbiamo raggiunto con i gommoni una piccola insenatura nella quale ci siamo tuffati per terminare l’immersione sul versante di sud-ovest dell’isola, in una zona riparata dove la costa forma un ridosso e sono presenti le boe d’ormeggio. Siamo entrati in acqua alle 7 precise, anche se il momento migliore per fare l’immersione di Giftun Seghir (detta “Gorgonia Reef”) sono le ore centrali del mattino, quando la luce del sole illumina al meglio tutta la parete facendo risaltare al massimo le gorgonie e gli alcionacei che la rivestono.

Una volta entrati in acqua ci si siamo messi a ridosso della parete orientale e abbiamo iniziato la discesa nel blu nuotando con la parete a destra, da nord a sud, lasciandoci trasportare dalla corrente, che ci ha sospinti lungo una splendida parete sorvolando distese di alcionari colorati, corallo nero, corallo a frusta e spettacolari gorgonie che per la loro bellezza hanno dato a questo sito il nome di “Gorgonia Reef”.

Dopo alcuni minuti siamo arrivati a un massiccio sperone corallino rivestito di alcionari che forma un promontorio a 46 metri di profondità. Sulla parte superiore del promontorio sono presenti concentrazioni di gorgonie e alcionari chiari. Superato il promontorio dall’alto, la parete si divide in due tronconi: seguendo quello in direzione sud si va all’esterno per poi perdersi nel blu. Invece seguendo il costone di sud-ovest si arriva su un ampio terrazzo sabbioso tra i 25 e 10 metri di profondità, dove s’innalzano numerose formazioni madreporiche, che è il punto d’ormeggio delle imbarcazioni. Qui abbiamo visto pesci coccodrillo e razze maculate, mentre a ridosso della barriera c’era un consistente branco di triglie coda gialla che fluttuava compatto tra la base del reef e le formazioni coralline sottostanti. Abbiamo incontrato anche una grossa murena grigia, diversi pesci scorpione e un bel pesce palla.

 

 

Erg Abu Ramada

 

11 aprile 2014

Alle dieci e mezza abbiamo fatto la nostra ultima immersione, tuffandoci tutti in gruppo direttamente dalla barca sulle torri di Erg Abu Ramada, che si trovano sul versante sud-est dell’isola omonima, poco a sud dell’isola di Giftun Seghir, distanti circa7 miglia dalla costa di Hurgada.

La “Galaxy” si è ormeggiata attaccandosi ad una delle boe poste a sud della torre maggiore, a poca distanza dal reef, e la nostra immersione si è svolta intorno a tre torri madreporiche principali, che in arabo si chiamano “Erg” (cioè pinnacoli).

Abbiamo attraversato più volte il dedalo di torri coralline alla scoperta dei passaggi tra le pareti madreporiche su un fondale digradante dai 10 ai 18 metri di profondità. Sul lato orientale della prima torre vi sono alcune spaccature nella roccia, avvolte da alcionari. Dopo avere osservato il maggiore dei tre “Erg”, ci siamo diretti sul secondo e poi sul terzo, prestando attenzione nell’osservazione dei pinnacoli in quanto, anche se all’apparenza sono simili, ognuno di loro nasconde caratteristiche diverse. Ci sono piccole grotte dove, nella penombra delle cavità si sviluppano gorgonie e coralli molli e ogni anfratto nasconde al suo interno cernie rosse, murene, branchi di grugnitori e altri esemplari di pesci corallini.

Nuotando dalla base del reef in direzione est, dove il fondale digrada verso profondità superiori ai 30 metri, si trova un ambiente costituito da pareti coralline e plateau sabbiosi dai quali s’innalzano i coralli a frusta, ma noi siamo rimasti in prossimità dell’Erg maggiore, punto d’attracco delle barche, e abbiamo osservato attentamente anche la zona superficiale delle torri ricchissima di vita e di colori. Qui abbiamo potuto ammirare miriadi di Anthias che riempivano di colore ogni anfratto della barriera, mentre in una cavità c’erano due grosse cernie nere e sulla sabbia un bel pesce coccodrillo. Un bel modo del Mar Rosso di darci il suo arrivederci…

 

Sotto, dall'alto a sinistra: cernia maculata, pesce serpente, pesce coccodrillo, murena grigia, pesce Napoleone, trigone maculato, pesce balestra, Marcello sopra e sotto e... i rossi tramonti egiziani.

 

   

    

 

          Fotografie subacquee cortesemente concesse da: Calogero Rinaldo, Sergio Rolla, Federico Gamberini e Michela Mazzanti, che ringrazio.

 

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