CHIARA.... LA MIA SIRENETTA

 

 

Mia figlia Chiara ha una predisposizione naturale per l’acqua. Ama il mare, e non poteva essere diversamente dato che è nata in marzo, sotto il segno dei pesci...

Lei è il mio "pesciolino", anzi… una sirenetta. Nuota da quando aveva appena sei mesi e ha cominciato a frequentare i corsi di nuoto all’età di tre anni. A sei anni ha iniziato a fare nuoto agonistico. Allora nuotava quasi tutti i giorni e andava in palestra una volta la settimana per irrobustire la muscolatura. Faceva ore e ore di allenamento e gareggiava quasi ogni fine settimana.

Il 1999 è stato l’anno delle gare "importanti". Rana e staffetta erano le sue specialità preferite.

Io e mia moglie la accompagnavamo alle varie piscine dove si svolgevano le gare e trascorrevamo ore di attesa a bordo vasca, per vederla vincere le batterie, in attesa della finale. Appena un minuto o poco più di gara e spesso arrivava una medaglia. In quell’anno, dopo la vittoria in vari trofei locali, il mio "pesciolino" ottiene il primo posto nei campionati provinciali, poi vince i regionali ed è ammessa ai campionati nazionali.

Nel giugno del ’99 a Ortona, dopo due giorni di batterie di qualificazione, Chiara si guadagna la finale dei "50 Rana"... un risultato eccezionale, data la concorrenza di decine di atleti provenienti da tutta Italia.

Pronti, attenti, via! Un "pesciolino" di appena undici anni scatta al colpo di pistola e a metà gara è lì a giocarsela con i primi. Virata dei 25 metri: Chiara comincia a guadagnare terreno con una progressione strepitosa. All’arrivo il suo distacco è netto. Io balzo in piedi sugli spalti e urlo di gioia. E’ prima! Dopo sei anni di nuoto la sua prima vittoria "importante"... ma fu anche l’ultima.

L’anno successivo Chiara comincia a dare segni di stanchezza per il nuoto. L’allenamento si fa troppo stressante. L’allenatore la vorrebbe in acqua tutti i giorni e poi vorrebbe che s’irrobustisse ulteriormente in palestra. Lei è certamente un talento naturale, ma il nuoto agonistico non è la sua strada. Quello che soffre maggiormente in vasca è la solitudine. Ore di allenamento, centinaia di vasche da sola con il cronometro... troppo stress per una bimba di appena dodici anni.

Con il passare del tempo il peso di questo stress si fa sentire sempre di più. Emerge il bisogno di mia figlia di stare in mezzo alla gente. Così decide di cominciare praticare uno sport di squadra e sceglie il basket. Il suo allenatore della squadra di nuoto è disperato, soprattutto dopo che nel 2000, quasi senza allenarsi, vince nuovamente i 50 Rana ai campionati regionali della sua categoria. Ma Chiara decide di abbandonare definitivamente il nuoto agonistico. E’ un vero peccato, ma non si può forzare la sua volontà. Lo sport è sacrificio, ma non deve assolutamente dare stress.

    

          Los Angeles, Ottobre 2010                     Sardegna, Agosto 2007

Nel frattempo io e mia moglie "scopriamo" la subacquea e ci addestriamo in piscina per ottenere il nostro primo brevetto. Chiara ogni tanto si tuffa nella vasca con noi e segue i nostri esercizi sul fondo. Scende in apnea fino sul fondo dove ci esercitiamo, arriva nella buca sotto al trampolino a 5 metri di profondità e si attacca ad uno dei nostri erogatori per restare sott’acqua con noi che facciamo gli esercizi subacquei. Il nostro istruttore la guarda ammirato, colpito dalla sua straordinaria acquaticità.

A quel tempo Chiara è al culmine della sua forma fisica, perché si allena costantemente nuotando tre o quattro volte la settimana, perciò il nostro istruttore decide che quella bambina "deve" prendere il brevetto sub.

Così Chiara inizia il corso OWD, quando non ha ancora compiuto dodici anni e la cosa più difficile per lei è la parte teorica: capire le nozioni di fisica e di fisiologia necessarie per conseguire il brevetto è una cosa ardua alla sua età e ancora di più lo è cimentarsi nei calcoli con le tabelle d’immersione. Ma lei s’impegna tantissimo e alla fine supera brillantemente l’esame teorico. In acqua invece, non ha alcun problema: lei è proprio un pesce! Esegue i vari esercizi con estrema naturalezza, tutto le viene istintivo e naturale, senza alcun problema. Guarda l’istruttore eseguire l’esercizio dimostrativo un paio di volte e poi lo ripete con una naturalezza degna di un sommozzatore provetto.

Una volta superato l’esame per il suo brevetto OWD, dall’estate del 2000 Angela ed io abbiamo una nuova fantastica compagna d’immersione: nostra figlia Chiara... la sirenetta.

 

Nelle acque di Mentone, in Francia, nell'estate del 2004

assieme a me e mia moglie.

Grotte di Palinuro, Luglio 2003

In Croazia nell'Agosto del 2005, di ritorno dall'immersione

sul relitto del "Baron Gautch"

Isola d'Elba, estate 2007

Cominciano così le immersioni con la famiglia, dapprima sotto casa lungo la Riviera del Conero, poi alle isole Tremiti dove Chiara scende per la prima volta con noi a 18 metri di profondità e poi in giro per l’Italia e all’estero, durante fantastiche vacanze tutte dedicate al mare e alla subacquea. Iniziamo a frequentare diversi diving center in giro per l’Italia, e in breve cominciamo ad essere conosciuti nella piccola comunità subacquea: non è molto frequente vedere un’intera famiglia di sub!

In acqua adottiamo un sistema d’immersione tutto nostro: Angela e Chiara fanno coppia fissa, mentre io m’immergo stando davanti o dietro di loro, per controllare la situazione. In questo modo noi ci sentiamo assolutamente tranquilli e assieme al nostro "pesciolino" affrontiamo tuffi sempre più belli e impegnativi. E’ assolutamente fantastico vedere gli occhi della nostra piccola brillare davanti ad un grongo uscito dalla tana, o osservarla ammirare incantata i colori sgargianti di piccolissimi nudibranchi, o vederla giocare con un polpo attirato fuori della sua tana.

Con il passare del tempo le nostre immersioni diventano sempre più impegnative e nei nostri tuffi raggiungiamo insieme quote ben al di là dei limiti delle immersioni ricreative, ma Chiara affronta tutto ciò con grande serietà, nonostante la naturalezza che dimostra in ogni sua azione sopra e sotto l’acqua. Quello che all’inizio per lei era solo un gioco sta diventando una vera passione ed io ne sono felice.

Isola d'Elba, Le Formiche della Zanca estate 2007

Tutti gli istruttori e le guide che ci accompagnano nei nostri tuffi restano colpiti dal modo di comportarsi di questa ragazzina poco più che adolescente e, anche se questo deriva da una sua naturale predisposizione per questa disciplina, io ne sono orgoglioso. Vederla immergersi è un vero spettacolo: la sua naturalezza ed eleganza nel muoversi sott’acqua mi stupiscono ogni volta e nello stesso tempo destano la mia ammirazione. Mi emoziono nel vederla nuotare in maniera armoniosa e femminile, in assetto perfetto e con il minimo dispendio di energie. Quando nuota senza il cappuccio della muta, con i lunghi capelli che ondeggiavano sciolti nell’acqua, è... una vera sirena. Vedere la gioia brillare oltre il vetro della maschera nei suoi occhi azzurri come il mare, è davvero emozionante e mi riempie di gioia. Spesso, quando sono in acqua, osservo le mie due donne che nuotano l’una affianco all’altra in perfetta sincronia emettendo solo un lieve filo di bolle e mi sento l’uomo più felice e fortunato del modo. Questa fortuna mi ha permesso per diversi anni di non dover mai rinunciare a un tuffo o a una vacanza per motivi familiari. Sono stati anni bellissimi, densi di emozioni e di ricordi.

Malta, "Blue Hole", Settembre 2008

Malta, Settembre 2008

Malta, "Blue Hole", Settembre 2008

Ci sono un paio di episodi che non potrò mai dimenticare, che danno l’esatta dimensione della straordinaria capacità subacquea naturale di mia figlia.

 

Nell’estate del 2001 ero in vacanza con la mia famiglia in un villaggio vicino a Palinuro e ogni giorno con il gommone andavamo a immergerci nei bellissimi fondali intorno al promontorio. Una mattina partimmo con il gommone carico di bombole e di viveri alla volta di Capo Spartivento, per fare una bella "full-day".

Facemmo la prima immersione lungo la parete sotto la punta, e lì Chiara visse le sue prime emozioni "forti". Prima la discesa fino a quasi 50 metri di profondità e la scoperta di una parete tutta ricoperta di corallo rosso e poi l’incontro con una murena enorme che uscì dalla sua tana proprio mentre Chiara le passava accanto, facendola sobbalzare per la paura. Fu anche la prima volta che Chiara fece una decompressione "impegnativa": 5 minuti trascorsi in assetto perfetto a 3 metri di profondità. Davvero parecchio per una ragazzina poco più che tredicenne!

Dopo una sosta per pranzare e una seconda immersione poco impegnativa nel tunnel che attraversa lo Scoglio del Coniglio, ci portammo nella piccola baia che si trova sul versante meridionale di Punta Iacco. Qui facemmo la nostra terza immersione della giornata, in una piccola grotta vicino alla Grotta delle Corvine.

Angela ed io eravamo assolutamente tranquilli per nostra figlia. Nei tuffi fatti nei giorni precedenti, sia in parete sia in grotta, Chiara aveva dimostrato una tale tranquillità e sicurezza da non farci minimamente preoccupare. Scendemmo fino a 20 metri di profondità e ci infilammo nel vasto ingresso della grotta di forma triangolare. Poi salimmo su per un largo sifone che emerge in una piccola bolla aerea, per ammirare le bellissime concrezioni che ornano la volta della grotta. Di lì ci infilammo in fila indiana in uno stretto cunicolo discendente che, dopo un percorso abbastanza tortuoso, sbuca nel blu a soli 5 metri di profondità. Davvero una bella grotta!

Mentre eravamo all’interno della grotta, dopo essere ridiscesi dalla bolla aerea, Chiara ebbe qualche problema al primo stadio dei suoi erogatori in configurazione octopus. In rapida successione, prima uno e poi l’altro erogatore andarono in erogazione continua. Nonostante lei premesse più volte sul pulsante di spurgo dei due secondi stadi, il flusso d’aria che usciva violentemente dalla bombola non si arrestava. Segnalato il problema ad Angela, Chiara si fermò respirando lateralmente dall’erogatore che le forniva molta più aria del necessario e attese il mio intervento. La sua bombola si sarebbe svuotata in pochissimo tempo. Avendo solamente un octopus, l’unica cosa da fare era chiudere il rubinetto della bombola e dare a mia figlia una delle nostre fonti d’aria alternativa. Così feci. Chiusi il rubinetto e Angela passò a Chiara il suo secondo erogatore.

Condizionati dalla lunghezza di appena 120 centimetri della frusta dell’erogatore di backup di Angela e dalle dimensioni anguste del cunicolo in cui ci trovavamo, le mie donne s’infilarono nello stretto tunnel che sbucava in mare aperto nuotando una dietro l’altra e tutti e tre insieme arrivammo all’uscita, dove ci aspettava la nostra guida. Solo quando fummo usciti la guida si accorse che Chiara e Angela respiravano in coppia e credette che mia figlia avesse finito la sua aria.

Rassicurata la guida, terminammo tranquillamente la nostra immersione nuotando lungo la parete fino al gommone ancorato poco distante e solo una volta saliti a bordo potemmo spiegare esattamente quello che era successo "là dentro".

Più tardi la guida ci disse di non aver mai visto una ragazzina affrontare con una simile tranquillità una situazione come quella all’interno di una grotta. A distanza di tanti anni ne sono più che convinto anch’io!

Notturna a Tavolara, Sardegna, nell'estate 2007

Isole Eolie, Agosto 2008

Nei cenotes del Messico, Marzo 2011

Un secondo episodio accadde diversi anni dopo, nel 2007, quando Chiara era ormai diciannovenne e aveva già diversi tuffi sulle spalle.

Eravamo in vacanza nell’isola d’Elba ed era l’ultimo giorno d’immersione. Decidemmo di immergerci alle Formiche della Zanca, dove eravamo già stati un paio di giorni prima però questa volta non avremmo nuotato tra gli scoglietti poco profondi intorno alle Formiche, ma saremmo andati più al largo e in profondità, in cerca di pesce.

L’immersione cominciò subito male: Angela, appena tuffatasi in acqua, si accorse che la sua muta stagna si allagava da un piede. Qualcuno in barca aveva maldestramente buttato una pesante cesta carica di attrezzatura sopra alla sua muta, procurandole un taglio di tre centimetri sul piede. In breve la muta di mia moglie si riempì completamente di acqua. Era impossibile scendere in quelle condizioni e Angela arrabbiatissima dovette risalire in barca. Io e Chiara decidemmo di fare lo stesso l’immersione.

Poco dopo essere scesi in gruppo sul fondo, la nostra guida iniziò a nuotare velocemente verso il largo, senza mai guardarsi dietro. Con una certa fatica riuscimmo a rimanergli vicini. Arrivammo intorno ai 40 metri di profondità e la fatica cominciava a farsi sentire. In breve la nostra guida perse tutto il gruppo e rimanemmo solamente io e Chiara.

L’immersione fu un vero disastro: un fondale brullo e roccioso senza tracce di pesce. La delusione era dipinta negli occhi di mia figlia. Dopo una lunga e inutile pinneggiata a 42 metri di profondità, la nostra guida decise di risalire, nuotando contro una corrente piuttosto forte. Dopo appena 25 minuti d’immersione io avevo già 5 minuti di deco da smaltire e la bombola quasi vuota a causa dello sforzo fatto per nuotare contro corrente. Respiravo in affanno per la fatica e così decisi di… abbandonare la guida al suo destino e risalire in libera assieme a mia figlia. Poco dopo però, dovetti segnalarle la mia difficoltà e mostrarle (con una certa vergogna) il mio manometro e il mio computer. Gli strumenti indicavano appena 30 bar di aria nella bombola e 6 minuti di deco da fare nel blu con una forte corrente contraria.

Il mio affanno cresceva sempre di più. Dovevo assolutamente fermarmi! Chiara mi fece segno di stare tranquillo, mi mostrò il suo manometro che indicava ancora 100 bar e mi offrì la sua fonte d’aria alternativa, mentre con una mano afferrava uno spallaccio del mio gav. Lentamente, guadagnammo quota e, aiutati dall’acqua molto trasparente, arrivammo in vista della catena dell’ancora della nostra barca, alla quale mia figlia mi fece aggrappare. Pian piano ripresi il controllo della mia respirazione e terminammo tranquillamente la nostra decompressione. Usciti dall’acqua alla domanda di Angela "Com’è andata?" Chiara rispose prontamente "Benissimo!" strizzandomi l’occhio con complicità. In quel preciso momento io capii che mia figlia era diventata un subacqueo perfettamente autonomo e che se ne avessi avuto bisogno in acqua avrei potuto contare su di lei.

Dopo di allora abbiamo continuato a immergerci assieme per alcuni anni. Nel frattempo nostra figlia è cresciuta, si è laureata e parla correntemente tre lingue. Negli ultimi anni Chiara ha girato per tutta l’Europa, ha studiato per diversi mesi in Spagna e negli Stati Uniti ed è piena di impegni e di progetti. Ormai le immersioni subacquee non sono più in cima ai suoi pensieri.

Da qualche anno, purtroppo, Chiara non ci segue più in tutti i nostri viaggi e ha ridotto parecchio il numero delle sue immersioni, preferendo fare altri tipi di vacanze assieme al suo ragazzo. Ogni volta che va in qualche località di mare però, si porta appresso il suo brevetto sub, noleggia tutta l’attrezzatura e fa qualche bel tuffo. La sua acquaticità è tale che le basta tuffarsi in acqua per sentirsi come se si fosse immersa la settimana precedente: consumo, assetto, pesata, tutto regolare. In acqua si muove sempre con la stessa naturalezza di chi s’immerge per tutto l’anno.

Nel suo girovagare per il mondo si è immersa persino in alcuni posti in cui io non sono mai stato: l’isola di Malta, l’isola di Tavolara in Sardegna, le isole Medas in Spagna, i cenotes del Messico. Tutti posti bellissimi, che spero di poter anch’io andare un giorno a visitare… magari con lei come guida.

Ecco, questa è mia figlia Chiara: una subacquea eccezionale… o forse semplicemente una piccola sirena.

 

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