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di Tecnica & Medicina

 

                    

 

9. La decompressione in ossigeno

Una interessante discussione tratta dal Forum di www.poverosub.it  - Ottobre 2006

Conviene fare la decompressione in ossigeno puro? Questa domanda è una delle più frequenti nei forum di subacquea, come quelle su "quale corso tecnico fare", oppure "mi spiegate i deep stops", o "qual è la max PpO2 tollerabile", eccetera. 

Ora, nell’immersione ricreativa/tecnica, la massima PpO2 tollerata è 1,6 atm; perciò effettuando la deco in ossigeno puro è meglio evitare di scendere sotto i 6 m di profondità. Addirittura, molte didattiche, pongono come limite 1,4 atm e quindi 4 m!

Sicuramente fare la deco con miscele iperossigenate, piuttosto che con aria, conviene molto. Se si utilizza solo una miscela decompressiva è meglio usare un EAN50 che si può impiegare dai 21 m. in su e, successivamente, si potrà passare a respirare l’ossigeno puro. Comunque è indispensabile sapere bene quello che si fa, frequentando un corso tecnico.

Potendo usare più miscele decompressive, secondo alcuni sarebbe meglio impiegare EAN80 ed EAN 40 (anziché  EAN50 e ossigeno puro), che sono preferibili sia per quanto riguarda l’esposizione all’ossigeno, sia per il tempo complessivo di decompressione. 

Probabilmente il discorso andrebbe ribaltato e bisognerebbe domandarsi: come posso desaturarmi in modo più efficace da un solo inerte che ho accumulato in un’immersone ad aria? Ora, ci sono approcci diversi per rispondere a questo quesito, tuttavia le tendenze attuali suggeriscono la pratica dei Deep Stop e lo sfruttamento della OW (oxigen window), anche se si utilizza un solo inerte (miscela binaria di ossigeno e azoto). Ne consegue che l’efficacia massima si ottiene, sia curando l’impostazione del profilo (DS), sia utilizzando un gas decompressivo senza inerte (cioè l’ossigeno puro). Ovviamente, bisogna tenere in considerazione la PpO2, la narcosi da azoto, la propria capacità di stare in acqua, l’esperienza subacquea, la possibilità di impiegare gas diversi, l’attrezzatura e molti altri fattori.

All’inizio degli anni '80, quando come PpO2 massima tollerabile dall’organismo umano veniva indicata quella attorno alle 2 atm (esattamente 1292 mmHg, pari a 1.7 ata), si diceva che, superati i 10 m di profondità, l’ossigeno puro diventa tossico (lo stesso ARO aveva 12 metri di MOD, perché la capacità interna era influenzata dagli spazi morti e ridotta al 75%).

Nel manuale della FIPSAS ed. 2000 c’è scritto che “Alla pressione parziale di circa 2 atm (1520 mmHg), l’ossigeno comincia ad essere tossico e può provocare convulsioni e perdita di coscienza. Se respirato allo stato puro (come si utilizza negli storici A.R.O. gli Auto Respiratori ad Ossigeno) è tossico alla profondità di 10 metri: se respirato in miscela (la normale aria atmosferica delle bombole) è tossico alla profondità di 90 metri”

Oggi chi consigliasse una cosa del genere ad un subacqueo sprovveduto, rischierebbe anche legalmente! 

Oggigiorno, nelle nuove linee guida di tutte le didattiche viene considerata come massima PpO2 accettabile nelle miscele di fondo il valore di 1.4 atm (quindi, nel caso teorico in cui si usi aria, si ha una MOD di 56,7 m.), mentre è tollerato in fase di decompressione il valore di 1.6 atm (nel caso di ossigeno puro, quindi, si ha una MOD di 6 m.). Ovviamente, questo non significa che stando sopra i 6 m. non succede nulla e che appena si sfora questa quota ci si intossica, perchè tutto è legato al fattore "esposizione nel tempo" (vedi i due casi di problematiche da ossigeno: la sindrome di Paul Bert e l’effetto Lorraine-Smith).

Comunemente si afferma che 1.4 atm è il limite massimo oltre il quale l’ossigeno viene considerato "pericoloso", anche se, nella pratica, non è raro utilizzare PpO2 inferiori nelle mix di fondo, perché, ben prima dei 57 m., si sentono gli effetti narcotici dell’azoto.  

Ma allora, anche parlare di 1.4 atm di PpO2 è superato? Se così fosse, l’aria normossica (aria atmosferica con circa il 21% di O2), che di solito viene considerata impiegabile nelle immersioni fino a 60 m. (dove la PpO2 è 1.47), non sarebbe più accettabile e lo sarebbe solo intendendo per “normossiche” le miscele contenenti fino al 18% di O2.

In realtà, tutto dipende dalla profondità e dal tempo di esposizione, non tanto per il CNS accumulato, quanto per i fenomeni di vasocostrizione che, di fatto, sono sfavorevoli alla decompressione ed anche per altri motivi minori.

Comunque, anche se ogni metodo o didattica ha una propria filosofia, il limite di PpO2 di 1.4 atm è ormai quasi univoco nei corsi Nitrox; mentre per i corsi Trimix si preferiscono basse PpO2 piuttosto che alte.

A 60 metri si può andare con una miscela 18/50 che è normossica e che genera significative differenze in termini di CNS, rispetto ad una con FO2 di 0.21. Si tratta di stabilire quali sono i vantaggi e gli svantaggi delle differenze di tali frazioni di ossigeno e di fare una scelta. Purtroppo il metodo didattico scelto può influenzare questa scelta, enfatizzando la propria dottrina e minimizzando o ignorando le altre. Ad esempio, se si accetta la teoria della OW, è preferibile una mix con frazione di ossigeno 0.18,  rispetto a quella con FO2 di 0.21. 

Per quanto riguarda l’ossigeno il riferimento di base è la tabella della NOAA sui limiti di esposizione (calcolati per PpO2 e tempi) e questi sono stati ritoccati in senso più conservativo per ridurre i rischi collegati alla loro variabilità per fattori individuali ed ambientali. Così oggi, mentre si considera sufficientemente sicura una PpO2 in decompressione di 1,6 atm a quote intorno ai 5 m., si considerano accettabili PpO2 nettamente inferiori quando ci si trova sul fondo. Senza considerare poi, che se si fa una seduta di ossigenoterapia in camera iperbarica si ha una PpO2 di 2,8!!

Sulla convenienza di usare il Nitrox EAN50 come miscela di decompressione, consiglio di leggere l’opinione di Corrado Bonuccelli, nella sezione “Subacquea” del sito www.archeopteryx.org e, precisamente in: http://www.archeopteryx.org/cor/it12_subacquea/sch/sch005/sch005.htm   

Ma  che cosa è realmente la decompressione? 

C’è chi ha sostenuto che, la decompressione non è altro che una "cura" ad una MDD silente. Sostanzialmente il corpo umano non è progettato per assorbire gas inerte e poi rilasciarlo, quindi, praticamente, ogni volta in cui si esce dalla curva dell’assorbimento dell’azoto, dell’elio o di qualsiasi gas inerte ci si è presi una "MDD asintomatica".

Secondo questa originale teoria, la decompressione ci cura ed evita che la nostra MDD manifesti i suoi sintomi. In pratica, ad ogni immersione con la deco noi ci "curiamo". Ognuno applica la cura che ritiene più opportuna e ne trae le proprie conclusioni. Morale, come tutte le cure in medicina, anche qui non esisterà mai una decompressione perfetta o migliore di un’altra: la sua validità sarà convalidata in relazione alla sua efficacia che, oltretutto, è molto soggettiva, cioè variabile da soggetto a soggetto. Ora, anche se sulle teoria decompressive si è detto e scritto moltissimo, sicuramente è meglio decomprimersi con dei profili la cui applicazione non ha determinato incidenti e… non badare troppo alle teorie. In sostanza, la miglior decompressione e i migliori gas decompressivi sono quelli che ci fanno uscire dall’acqua perfettamente "curati" dalla nostra MDD asintomatica!

La deco quindi,  servirebbe a prevenire il manifestarsi dei sintomi della MDD asintomatica insorta nel nostro fisico dopo un’immersione profonda. Più è grave la nostra patologia e più decompressione dobbiamo fare. Comunque ci troviamo in una zona di rischio, in quanto, se il nostro fisico non avesse dei problemi, potremmo uscire direttamente dall’acqua senza fare delle tappe, che invece sono fondamentali per evitare il manifestarsi della MDD sintomatica.

Questa teoria lascia piuttosto perplessi. Parlare della deco come di una “cura” è piuttosto insolito, perché, normalmente, le soste di decompressione sono sempre state considerate come degli atti di prevenzione rispetto alle MDD.

Il problema sostanziale è che, durante un’immersione, nei tessuti si è disciolta una quantità di gas inerte che dobbiamo eliminare. Se la differenza di pressione rimane entro certi limiti non si creano bolle e quindi non insorge la MDD. Quindi, il problema non è prevenire i sintomi della MDD, ma prevenire la formazione e la crescita delle bolle! E, per prevenirla, dobbiamo stare attenti all’innesco dei micronuclei preesistenti e alla formazione di bolle autoctone. Se poi la differenza di pressione che si crea seguendo le tabelle che usiamo abitualmente è eccessiva e quindi il tempo di decompressione è troppo breve, con conseguente nucleazione di bolle, non lo si sa esattamente, però un esame ecodoppler potrebbe evidenziarlo molto bene.  

Volendo semplificare il discorso, si può dire che esistono due tipi di profili decompressivi: si parla di "preventivi" per quei profili che cercano di limitare la formazione delle bolle tenendole molto piccole e cercando di evitare anche il loro "innescarsi", ossia l’aggregazione di bolle piccole e non pericolose in bolle più grandi e potenzialmente "sintomatiche" durante la risalita. In pratica, si tratta dei profili che portano ad effettuare delle tappe profonde e brevi prima delle tappe alte e lunghe.

Sono invece definiti "curativi" quei profili in cui questo aspetto non viene preso in considerazione e si ritengono "curativi" perchè l’esperienza della fatica post-immersione e la sperimentazione con il doppler hanno dimostrato che con questi profili senza tappe profonde le bolle si formano ugualmente (e sono rilevabili), ma sono di dimensioni ancora non pericolose se si rispetta la decompressione. Tuttavia le bolle esistono e sono potenzialmente pericolose: per questo motivo le si "tratta" con la decompressione. In questo senso la deco, per questi profili, è una "cura" alla MDD.

Al di là dell’aspetto lessicale, la tendenza attuale, sia della subacquea ricreativa, sia di quella tecnica si sta spostando nella direzione di profili più "preventivi" e questo vale sia nella formazione teorica, sia nella pratica, che nei software decompressivi.

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