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di Tecnica & Medicina

 

 

85.  LE ONDE E LE CORRENTI MARINE

 

Le immersioni subacquee in mare sono spesso condizionate dal moto ondoso e dalla presenza di correnti.

In questi due interessanti articoli, tratti da Nautica On Line, gli autori approfondiscono i temi delle onde marine e delle correnti, fenomeni naturali dei quali bisogna necessariamente tenere conto nella pianificazione di un'immersione sicura.

LE ONDE MARINE

di Sergio Costa

(articolo tratto da NAUTICA on line www.nautica.it http://www.nautica.it/info/tecnica/onde.htm )

Quando si parla di onda il pensiero corre automaticamente alle onde marine che, effettivamente, sono le uniche a potersi definire proprio onde. Infatti, oggi si parla comunemente anche di altri tipi di «onde», per esempio quelle elettromagnetiche e quelle sonore; tuttavia in questi casi più che di onde si dovrebbe parlare di variazioni periodiche di campi elettromagnetici o di situazioni di compressione di molecole d'aria. Il fatto che tali variazioni periodiche siano generalmente rappresentate in grafici che assumono un aspetto ondulatorio non vuol dire affatto che esista un legame fra i vari tipi di fenomeno.

Se ci riferiamo proprio alle onde marine, di cui ci vogliamo brevemente occupare, per prima cosa notiamo, per esempio, che il loro aspetto è quanto mai differente dalla rappresentazione di fenomeni ondulatori di altro genere. Mentre l'aspetto che di solito viene schematicamente indicato ricorda una sinusoide (curva rappresentativa della funzione trigonometrica «seno»), in realtà la forma delle onde marine si presenta in una conformazione che ricorda un altro tipo di curva geometrica, piuttosto complicata da descrivere analiticamente: la trocoide.

Bando alle definizioni poco comprensibili, riferiamoci invece alla figura, nella quale vediamo come l'onda marina si presenti con delle elevazioni a forma di cuspide («creste») e degli avvallamenti piuttosto allungati («gole» o «cavi»).

 

Possiamo pertanto passare a definire i parametri principali tipici di un'onda marina, che sono:

  • la lunghezza L, distanza orizzontale fra due creste successive;
  • l'altezza A, distanza verticale tra il livello delle creste e il livello delle gole;
  • la ripidità A/L, ossia il rapporto fra altezza e lunghezza;
  • la velocità di propagazione V, spazio percorso dalla configurazione dell'onda in un tempo unitario (per esempio metri al secondo);
  • il periodo P, ossia il tempo che la configurazione dell'onda impiega a fare un percorso pari alla sua lunghezza.

Vediamo subito perché abbiamo parlato sempre di configurazione. Ciò che si muove, che si sposta, è infatti la configurazione dell'onda e non la materia, anche se, in pratica, principalmente a causa della viscosità del liquido, esiste un certo trascinamento di materia nella direzione di propagazione. Ma se si osserva per esempio un galleggiante non ancorato in balìa delle onde, si nota che esso sale e scende e solo molto lentamente viene trascinato nella direzione del moto delle onde stesse. Un aspetto caratteristico è inoltre la velocità di propagazione che, a differenza di altri tipi di fenomeni ondulatori, è variabile e lo è precisamente in dipendenza della lunghezza d'onda, nel senso che è tanto maggiore quanto maggiore è la lunghezza.

 

Altra caratteristica tipica è la ripidità dell'onda, perché da essa dipende il frangersi delle creste anche senza l'azione dinamica del vento. Infatti, se la ripidità A/L supera 1/7 (onda che si accorcia), le creste diventano vere e proprie cuspidi e si rompono generando spuma. Tale fenomeno può talora essere utile per avvistare una zona infida di bassifondi. Infatti, vedendo, per esempio, una zona dove le onde frangono senza un apparente motivo, se ne può dedurre la presenza di un bassofondo, poiché questo, rallentando per attrito le onde, praticamente le accorcia fino a che queste si trovano nella condizione di frangere.

Spesso si parla di onde lunghe o corte, alte o basse.

Esiste a tal proposito la seguente distinzione in base all'altezza:

  • onde basse fino ad altezza inferiore ai 2 metri;
  • onde medie tra 2 e 4 metri;
  • onde alte oltre i 4 metri;

mentre invece, per quanto riguarda la lunghezza:

  • onde corte inferiori a 100 metri;
  • onde medie fra 100 e 200 metri;
  • onde lunghe oltre i 200 metri.

Tali definizioni vengono di solito impiegate per definire le cosiddette onde «lunghe» o «mote», ossia onde che sono state generate rispettivamente in altra zona e sono giunte nella zona di osservazione non più sotto l'azione del vento, oppure sono state generate nella stessa zona da un vento ormai caduto. In queste situazioni le onde possono essere osservate e studiate con una certa regolarità, cosa che invece è molto difficoltosa quando il mare è sotto l'azione del vento, generatore delle onde, dal momento che esse appaiono in una sequenza molto irregolare e scomposta. D'altra parte al navigante interessa principalmente questo tipo di mare, detto con efficacia mare «vivo».

Il vento genera lo stato del mare e pertanto questo «si forma» sotto la sua azione fino a diventare «completamente formato» presentando una configurazione generalmente caotica, nel senso che, mentre la lunghezza bene o male ha una certa costanza, l'altezza varia anche molto da onda a onda successiva. Parlare quindi di media di altezza non ha molto significato per il marinaio cui interessa principalmente l'altezza da confrontare con le dimensioni della sua nave. Ha invece significato parlare della media delle onde più alte, ossia di quella che viene detta per l'appunto «altezza delle onde significative», dato che figura per esempio nei bollettini o comunque nei rapporti meteorologici. La determinazione di questo dato trae la sua origine da analogie di comportamento in situazioni simili in zone simili, registrate accuratamente da misurazioni ondametriche che hanno permesso la determinazione di una legge empirica ma efficace mediante la quale, conoscendo la forza del vento, la sua durata e la distanza dal ridosso, si riesce a prevedere l'altezza media significativa delle onde.

Molto importante è anche quello che è stato definito il periodo delle onde. Il fatto che anche con mare vivo si abbia una certa costanza di lunghezza, fa sì che il periodo sia anch'esso quasi costante. Per misurare il periodo basta essere fermi e misurare quanto tempo dura un'oscillazione completa. Ovviamente, essendo in moto, se si procede contro il fronte d'onda il periodo diminuisce e invece aumenta se si procede col mare in poppa. Bisogna evitare comunque che il periodo di oscillazione entri in risonanza con il periodo di oscillazione della propria nave, fatto che viene avvertito allorché l'ampiezza delle oscillazioni della nave viene notevolmente amplificata anche senza che le onde siano particolarmente alte. Inoltre, sempre per evitare eccessivi movimento alla propria nave bisogna cercare di «allungare» l'onda, cosa possibile tagliando fin che possibile diagonalmente il fronte d'onda e regolando opportunamente la velocità.

Come si vede l'osservazione delle onde è di capitale importanza non solo per la comodità a bordo, ma specialmente in vista della sicurezza della navigazione quando il mare non è calmo.

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LE CORRENTI MARINE

di Guglielmo Mammucari 

(articolo tratto da www.nautica.it NAUTICA on line - http://www.nautica.it/info/correnti/ )

Con il termine “correnti marine” viene indicato il movimento di massa d'acqua non collegato alla marea (ovvero le correnti di marea), o al moto ondoso.

Le correnti, di cui il navigante nota solo l'effetto superficiale, esistono lungo tutta la massa d'acqua, e talvolta solo in determinati strati senza causare effetti visibili in superficie. Esse si verificano prevalentemente in acque profonde ed in mari aperti.

Inoltre, mentre le correnti di marea hanno un ciclo temporale ben definito, le correnti marine sono permanenti (o stazionarie), oppure stagionali (o semipermanenti).  

 

Esistono diversi tipi di correnti marine e possono essere classificate:

  • in base alle cause che le creano (correnti di gradiente e correnti di deriva).

  • in relazione alla temperatura dell'acqua che si sposta confrontata con la temperatura dell' acqua  che la circonda (correnti calde o fredde).

  • in relazione alla profondità ove si verificano (superficiali se interessano lo strato d'acqua dalla superficie ai 200 metri; interne se interessano lo strato d'acqua al di sotto dei 200 metri; di fondo se interessano lo strato d'acqua vicino al fondale marino).

 

Il moto orizzontale della massa d'acqua superficiale (o correnti superficiali), è dovuto all'azione combinata di correnti di gradiente e di deriva, ed è quello di maggior interesse per il diportista.

 

LE CORRENTI DI GRADIENTE

Sono dovute alla irregolare distribuzione della pressione sulla superficie del mare e alla differenza di densità di masse d'acqua adiacenti.

Queste correnti si generano quando la superficie dell'acqua assume una certa inclinazione, fatto che accade per l'azione del vento, o per la presenza di masse d'acqua contigue di diversa temperatura e salinità. Le correnti di gradiente dovute a diversa pressione atmosferica ed all'ammassamento dell'acqua dovuto al vento, tendendo a ristabilire l'orizzontalità della superficie marina, sono di intensità modesta, e pressoché irrilevanti ai fini della navigazione in mare aperto.

La situazione cambia in prossimità di costa, se il vento che spira verso la costa è di intensità adeguata, si possono ammassare lungo costa notevoli masse d'acqua che, non potendo rifluire verso il largo a causa del vento contrario, danno luogo a forti correnti che scorrono parallelamente alla costa.

Le correnti di gradiente dovute a differenza di densità si presentano soprattutto negli strati interni della massa d'acqua, e hanno effetto apprezzabile sulla navigazione solo nell'esempio sopra descritto.

 

LE CORRENTI DI DERIVA

Sono dovute all'azione di trascinamento creato dall'attrito esistente tra la massa d'aria in movimento e la massa d'acqua superficiale del mare.

I forti venti costanti come gli alisei che spirano in Oceano Atlantico, ed i monsoni che spirano nell'oceano indiano, sono la causa di gran parte delle correnti di deriva costanti.

Il vento tende a trascinare lo strato superficiale delle acque marina nella sua stessa direzione, il movimento di deriva si trasmette agli strati inferiori con intensità decrescente e direzione man mano variabile; il movimento inizia con ritardo rispetto al momento d’inizio dell'azione del vento e solo gradualmente raggiunge la velocità di regime.

Venti leggeri possono generare deboli correnti di deriva in circa sei ore, sono necessarie ben 48 ore di vento forte perché la relativa corrente di deriva raggiunga la velocità di regime.

L'intensità della corrente di deriva a regime è pari a circa l'1,5 % della velocità del vento che l'ha generata, velocità che dipende anche da altri fattori, ed in particolare dall'ampiezza dello specchio d'acqua libero da ostacoli, denominato “fetch”, esistente nella direzione di provenienza del vento. Fetch limitati non consentono alla corrente di raggiungere velocità della percentuale sopra indicata, anche se il vento spira dalla stessa direzione per periodi di tempo superiori alle 48 ore.

 

LA DIREZIONE DELLA CORRENTE

Le forze che mettono in movimento sia le correnti di gradiente sia quelle di deriva, tendono a muovere la massa d'acqua in una ben determinata direzione: nel caso delle correnti di gradiente dal luogo a livello maggiore verso quello a livello minore; nel caso di correnti di deriva nello stesso senso di propagazione del vento (a meno di una differenza di circa 20°). In effetti, le direzioni di propagazione sono sensibilmente diverse da quelle sopra descritte; in particolare le correnti che si propagano nell'emisfero Nord subiscono una deviazione verso la destra rispetto alla direzione di propagazione, quelle che si propagano nell'emisfero Sud subiscono una deviazione verso sinistra.

Le deviazioni sono dovute alla rotazione terrestre che genera una particolarissima forza, detta “forza di Coriolis”, che agisce su tutte le masse in movimento sul pianeta, ed il cui effetto è più sentito quanto più è grande la massa in movimento.

Oltre alla forza di Coriolis influiscono sulla direzione e sull’intensità delle correnti marine anche altri fattori, natura e vicinanza della costa, presenza di golfi o stretti, maggiore o minore distanza tra la superficie del mare ed il fondo.

 

CIRCOLAZIONE GENERALE

Le correnti marine così strettamente legate ai fattori meteorologici, sono oggetto di continui studi dai quali è stato possibile ricavare dei "modelli di circolazione", ossia situazioni standard che si verificano in concomitanza con determinate situazioni meteorologiche stagionali. Esistono innumerevoli modelli di circolazione che si applicano ai diversi bacini, da quelli oceanici che hanno validità temporale di mesi a quelli di piccoli golfi di particolare interesse e validi solo per particolari situazioni di vento o insolazione.

In questa sede daremo qualche lineamento generale della circolazione superficiale del Mediterraneo.

 

CIRCOLAZIONE GENERALE DEL MEDITERRANEO

Nel bacino del Mediterraneo le correnti sono solitamente deboli e di direzione variabile. La circolazione superficiale è fortemente influenzata dai venti che al largo possono generare correnti superficiali d’intensità fino ai due nodi.

Poiché l'evaporazione dovuta all'effetto del sole è tale da non poter essere compensata dall'apporto di acqua fluviale e piovana, è sempre presente una corrente entrante dallo stretto di Gibilterra. In sostanza il Mediterraneo viene rifornito da acqua oceanica che dopo aver passato lo stretto di Gibilterra fluisce verso Est. In realtà in corrispondenza dello stretto la direzione della corrente non è sempre entrante, ma ciò è dovuto alla sovrapposizione alla corrente di gradiente appena descritta della corrente di marea che in quell'area ha valori sensibili.

La corrente entrante in Mediterraneo si spinge verso Est dividendosi in un ramo principale ed in altri secondari.

Il ramo principale, sotto l'effetto della forza di Coriolis, dirige verso destra e si addossa alla costa africana perdendo via via intensità fino a estinguersi. L'intensità della corrente si mantiene fra 0,8 ed 1 nodo lungo le coste dell'Algeria, quindi diminuisce procedendo verso oriente. Nello stretto di Sicilia l'intensità varia tra i 0,4 ed 1 nodo.

A quest’andamento generale si sovrappongono numerose e varie situazioni particolari.

 

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