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di Tecnica & Medicina

 

 

80. L’effetto Martini (narcosi da azoto) e la tossicità dell'ossigeno iperbarico

di Marcello Polacchini

La "Legge del Martini"

Molte sono le leggi fisiche che regolano l’immersione subacquea, ma ve n’è una poco “scientifica” ma molto “pratica”... che tutti i subacquei devono conoscere, specialmente se sono soliti immergersi in profondità: è la legge del Martini.

Pensate di essere completamente astemi e di bere, a stomaco vuoto, un buon cocktail Martini ogni 10 metri di profondità e poi… scoprirete da soli il significato di questa legge!!

(NB Un buon “Martini Dry” è formato da 8/10 di Gin,  2/10 di Vermouth Dry e 1 oliva verde).

 

Partiamo da questo esempio per cercare di spiegare il fenomeno della narcosi da azoto (NDA).

La narcosi (detta anche "ebbrezza da alti fondali") è soprannominata "effetto Martini" perché i suoi effetti assomigliano a quelli dell’ubriachezza. L’azoto respirato sotto pressione induce un effetto narcotizzante o anestetizzante e sembra che interagisca biofisicamente con le membrane delle cellule nervose. La narcosi non è certamente una condizione auspicabile per un subacqueo che deve mantenere la lucidità seguendo un piano di immersione e che è responsabile della propria vita e di quella del suo compagno.

 

La NDA venne descritta per la prima volta da uno scienziato francese di nome T. Junod nel 1835, quando questi scoprì che nei sommozzatori che lavoravano nei cassoni e respiravano aria compressa le funzioni del cervello erano attive, l’immaginazione era viva, i pensieri avevano un fascino particolare ed in alcuni soggetti erano presenti sintomi di intossicazione. Si notò che i lavoratori dei cassoni talvolta erano vittime di annebbiamenti e commettevano errori anche in compiti semplici, inoltre alcuni improvvisamente si mettevano a cantare.

Segni e sintomi simili furono rilevati nel corso degli anni da altri studiosi. Tra loro Paul Bert, famoso per il suo studio della patologia da decompressione e della tossicità dell’ossigeno. Anch’egli notò che quando i lavoratori nelle gallerie e i subacquei respiravano aria compressa, insorgevano dei sintomi strani e a volte pericolosi come euforia, intossicazione, torpore, arresto dell’attività e perdita di coscienza.

Gran parte dei misteri sulle conseguenze della respirazione dell’aria compressa rimasero tali fino a quando nel 1935 i fisici della Marina degli USA A. R. Behnke, E. P. Motley e R. M. Thomson per primi attribuirono la narcosi all’aumento della pressione parziale di azoto nell’aria compressa. Essi dimostrarono che respirare aria compressa a profondità superiori ai 20 metri provocava "euforia, ritardo dei processi mentali più complessi e deterioramento della coordinazione neuromuscolare".

Ma la migliore spiegazione del fenomeno sembra essere quella di Mayer-Overton, che mette in relazione l’effetto narcotico di un gas con la sua solubilità lipidica (cioè nel grasso). Si suppone che ciò agisca come effetto depressivo sul sistema nervoso centrale in proporzione all’ammontare del gas che entra in soluzione.

Con studi sulla narcosi da azoto che sono tuttora in corso, gli studiosi hanno rilevato un calo delle capacità motorie e di calcolo dei sub colpiti, un calo dell’attenzione e una maggior lentezza nelle risposte; hanno inoltre documentato effetti fisici nei subacquei "narcotizzati": il corpo ondeggia, la destrezza manuale diminuisce e compaiono disturbi nella visione. Col passare del tempo, attraverso serie di esperimenti complessi, si sta mettendo a fuoco il quadro completo: respirare aria o gas compressi in profondità può portare ad intossicazione.

 

Come è noto l’azoto è un gas inerte (cioè non partecipa agli scambi gassosi alveolari, però può influire su alcune funzioni quali ad esempio quella neurologica) e rappresenta il 78% dell’aria atmosferica che si respira normalmente. All’aumentare della pressione esterna la pressione parziale dell’azoto disciolto nel sangue si innalza, aumentando sensibilmente la possibilità di legarsi all’ossigeno, formando ossido di azoto (N2O), un analgesico e anestetico noto anche come gas esilarante, che provoca un effetto tossico nell’organismo, conosciuto appunto con il nome di narcosi da azoto (NDA) o ebbrezza da profondità, ma anche come effetto Martini perché i suoi effetti assomigliano a quelli dell’ubriachezza.

Va comunque precisato che la NDA non è unicamente legata a questo gas, ma ne coinvolge anche altri presenti nella miscela respirata sottacqua.

 

A tutt’oggi il meccanismo eziopatogenetico di questo disturbo non è ancora completamente chiaro, ma è ormai confermato che insorge più frequentemente in soggetti che hanno assunto alcol o farmaci neuro modulatori, oppure che si espongono a sforzo fisico o a basse temperature.

 

La narcosi d’azoto, è imprevedibile e i suoi effetti variano da subacqueo a subacqueo e anche nello stesso soggetto da giorno a giorno. Non esiste nessun sistema per evitare l’insorgere della narcosi. Inoltre l’esperienza e le condizioni fisiche sembrano essere dei fattori modificanti. Gli effetti della NDA si iniziano a sentire in caso di pressioni ambientali generalmente superiori alle 4 o 5 atmosfere (quindi da 30 o 40 metri di profondità, cui corrisponde una PpN2 di 3.16 bar e di 3.95 bar) e sono accentuati dalla velocità di discesa del subacqueo e da altri fattori fisici e fisiologici (ad es. stress, freddo, stanchezza, ecc.).

La manifestazione della narcosi si presenta in maniera molto subdola, con una sensazione di sicurezza e di benessere simile a quella che si prova in caso di assunzione modesta di bevande alcoliche. Successivamente, all’aumentare della pressione, al senso di euforia iniziale subentra un rallentamento dei riflessi, scarsa concentrazione, perdita della coordinazione delle idee, allungamento del tempo di reazione, aumento della frequenza respiratoria (con conseguente aumento di CO2 nel sangue), incapacità di rispondere ai segnali, sottovalutazione delle condizioni ambientali, del tempo di permanenza sottacqua e della profondità, sopravvalutazione delle proprie capacità e successivamente con modificazioni comportamentali di estrema gravità: perdita di memoria, perdita totale della ragione, rilassamento dei muscoli facciali, sonno, incoscienza.

Il fatto che la narcosi compaia è comunque una certezza immergendosi a profondità superiori ai 45 - 50 metri respirando aria, ed altrettanto certo è che essa provoca delle alterazioni delle capacità dell’individuo fino alle forme sopra indicate.

Le conseguenze della NDA sono più gravi nelle persone con scarso allenamento alle immersioni in acque profonde e in cattive condizioni fisiche. Pertanto, è sempre consigliabile alla ripresa dell’attività subacquea un periodo di graduale adattamento a profondità crescenti, al fine di adattare l’organismo alle pressioni elevate.

 

Come si diceva sopra, vi sono dei fattori predisponenti che aumentano la possibilità dell’insorgere della NDA e ne accentuano gli effetti. Tali fattori sono: affaticamento, uso di alcolici, insonnia, alto livello di anidride carbonica causato da affaticamento (respirazione veloce e superficiale che aumenta il tasso di CO2), eccesso di anidride carbonica (ipercapnia), freddo, uso di droghe o di medicine, ansietà.

 

Il limite di utilizzo per l’aria compressa è stimato intorno ai 70 metri (oltre questa profondità l’aria diventa tossica a causa della elevata pressione parziale raggiunta dall’ossigeno che è presente in essa e bisogna immergersi con miscele ternarie particolari), ma il limite massimo per la subacquea “ricreativa” è stato stabilito da tutte le didattiche a 39 metri. E’ opportuno che tutti i sommozzatori sportivi non superino mai, per nessun motivo, questa quota, anche se la quota alla quale può insorgere la NDA è assolutamente soggettiva e può variare a seconda delle circostanze in modo considerevole (ad es. alcuni subacquei non subiscono questa patologia neppure oltre i 50-60 metri di profondità).

 

Come trattamento per prevenire la narcosi, o meglio per percepire l’insorgere dei primi sintomi, è sufficiente tenere la mente impegnata in qualche compito (ad es. calcoli numerici, controllo delle tabelle, verifica della pianificazione dell’immersione, ecc.) e una volta che se ne avvertono i sintomi (rallentamento e offuscamento dei riflessi, strana euforia, ecc.) ridurre subito la profondità d’immersione risalendo di qualche metro.

 

Come prevenzione basta non immergersi in profondità, non affaticarsi, essere mentalmente e fisicamente riposati e ovviamente, dato che la narcosi colpisce le persone in modo diverso e soggettivo, osservare il sistema di immersione in coppia.

 

Per fronteggiare l’emergenza nelle forme meno gravi è sufficiente fare diminuire la quota di profondità al subacqueo in narcosi, anche di pochi metri, per far regredire i sintomi e poi farli scomparire del tutto. Una volta usciti dall’acqua si possono avere comunque residuati temporanei della narcosi come cefalee e disorientamento, oppure brevi momenti di amnesia, che però non richiedono cure mediche.

Invece nei casi più gravi, quando è in atto un’insufficienza respiratoria legata all’acidosi e c’è perdita di coscienza è indispensabile mettere in atto tutte le manovre rianimatorie necessarie e cercare di ripristinare i parametri vitali. Si può cercare di ventilare usando il tasto di spurgo del secondo stadio dell’erogatore, per simulare una respirazione a pressione intermittente e, una volta tornati in superficie, dare immediatamente inizio alla rianimazione cardio-polmonare. Se necessario bisogna praticare il massaggio cardiaco all’infortunato, ricordandosi di iperestendere il collo per favorire il ricircolo dell’aria e occorre continuare le manovre fino all’arrivo del personale medico del 118.

 

Per ovviare alla NDA sono state messe a punto delle miscele sintetiche in cui l’azoto presente nell’aria atmosferica è stato sostituito da altri gas inerti, fra cui l’elio (nella miscela timix), che non induce effetti narcotici. Queste miscele sono usate prevalentemente per immersioni “tecniche” o professionali (dato che i costi sono molto alti) e il loro uso consente delle immersioni a 100 metri ed anche più. Naturalmente per l’utilizzo delle miscele ternarie esistono delle apposite tabelle che tengono conto sia delle profondità più elevate, sia del diverso comportamento dei gas inerti usati ai fini della desaturazione dell’organismo. Inoltre l’elio, essendo un gas molto volatile, raffredda più rapidamente il nostro organismo, imponendo quindi un abbigliamento adeguato.

Da qualche anno si è affermata anche per l’uso ricreativo una miscela diversa dall’aria atmosferica, cioè aria arricchita di ossigeno detta EAN (Enriched Air Nitrox), o più semplicemente nitrox. Le miscele nitrox normalmente impiegate per le immersioni ricreative sono l’EAN32 e l’EAN36, contenenti rispettivamente una percentuale del 32 o del 36% di ossigeno (mentre l’aria atmosferica ne contiene il 21%). Altre miscele con una frazione di ossigeno ancora più elevata (il 40 o 50%, o addirittura il 100%) vengono impiegate dai subacquei tecnici per ridurre significativamente i tempi di decompressione. Lo scopo dell’utilizzo di questa miscela con minore contenuto di azoto, non è quello di scendere più in profondità, ma di poter permanere più a lungo sottacqua senza dover fare soste di decompressione, data la minore percentuale di azoto contenuta nel gas respirato e il conseguente abbassamento del livello di saturazione. Infatti le profondità raggiungibili con il nitrox sono sensibilmente minori e inversamente proporzionali all’aumento della percentuale dell’ossigeno presente nella miscela. Di regola, volendo mantenere una pressione parziale dell’ossigeno (PpO2) inferiore alle 1,4 atmosfere (per evitare la tossicità dell’ossigeno che si manifesta per pressioni parziali del gas superiori alle 1,4 - 1,6 atmosfere), si è soliti impiegare l’EAN32 fino ai 33 metri di profondità massima e l’EAN36 non oltre i 29 metri.

 

Perciò… sempre attenti alla narcosi da azoto!

 

La narcosi da azoto e la tossicità dell'ossigeno iperbarico

di Gianmichele Andriolo, Alberto Bucciantini e Bernardino Battistin

Approfondimento su due incidenti chimici subacquei,  tratto da SUB TRE MARI – VICENZA  http://www.tremari.it/Risorse/Pubblicazioni/NarcosiTossicita.htm

(Testo riveduto e corretto da Marcello Polacchini)

 

 

Premessa

Le scuole di subacquea sportiva insegnano ai propri allievi ad effettuare immersioni con aria compressa, entro la curva di sicurezza e con l’ausilio delle tabelle d’immersione. Scopo dell’immersione è il divertimento. Proseguendo nell’iter formativo e attraverso un valido addestramento, si può raggiunge una buona preparazione ed esperienza. A questo punto per molti subacquei è quasi una vocazione naturale volgere lo sguardo verso immersioni sempre più profonde.

Pertanto se ci immergiamo per raggiungere queste mete, dovremmo essere molto preparati e tenere conto di tutta una serie di fattori per la nostra sicurezza. In particolare avremmo la necessità di essere molto attenti alla narcosi da azoto e alla tossicità dell’ossigeno: due patologie che il subacqueo accorto dovrebbe conoscere bene.

Per sopperire alle crescenti necessità esplorative dei subacquei, sono state introdotte nuove miscele respiratorie: il trimix e il nitrox (argomenti che non verranno trattati in questa sede).

L’aria che respiriamo è composta dal 21% di ossigeno e dal 79% di azoto, oltre ad altri gas minori. L’uso dell’aria compressa come gas respiratorio è indicato sino alla profondità di 50 metri, come richiamato negli standard lavorativi e militari. Tale limitazione dipende dalla composizione della miscela d’aria che si respira e quindi dal comportamento che i gas stessi hanno sul corpo umano, se respirati a pressioni parziali superiori a quelle che si hanno al livello del mare. Il controllo dell’immersione da parte del subacqueo, diventa sempre minore al crescere della profondità per via dell’effetto narcotico dell’azoto. La narcosi da azoto può essere controllata in misura più o meno ampia, in relazione al livello di allenamento o assuefazione, ma non eliminata. E’ un fenomeno che si manifesta gradualmente e consente pertanto l’adozione delle opportune azioni correttive (ridurre la profondità). Al contrario la tossicità dell’ossigeno, si manifesta senza preavvisi e senza gradualità e perciò non consente azioni correttive.

In questa sede cercheremo di analizzare e approfondire queste due problematiche: narcosi da azoto e tossicità dell’ossigeno.

1) LA NARCOSI DA AZOTO

La narcosi da azoto (che per brevità la chiameremo NDA) è un’insidiosa e pericolosa sindrome che può insorgere nelle persone che praticano attività subacquea. E’ stata anche definita “euforia da azoto” o “estasi da profondità”, poiché gli effetti sul subacqueo sono simili a quelli da eccesso di alcol.

Così come l’alcol, anche l’azoto compromette la capacità di giudizio e di coordinamento della persona, particolarmente a profondità superiori ai trenta metri.

Il meccanismo preciso non è ben chiaro. La scienza stessa, pur conoscendo che questo problema è causato dall’aumento repentino della pressione parziale e quindi della concentrazione dell’azoto, non è ancora riuscita a stabilire dei parametri che consentano di prevenirne l’insorgere.

La NDA è un’alterazione neuro-psichica che si manifesta nelle immersioni con autorespiratore ad aria compressa ed è determinata dall’azione narcotica dell’azoto ad elevata pressione. Quindi, maggiore è la pressione, maggiore è l’azione narcotica dell’azoto sulle membrane cellulari. Basta ricordare la legge di Henry: “A temperatura costante, la quantità di un gas che si può sciogliere in un liquido, è direttamente proporzionale alla pressione parziale del gas stesso”. Ciò significa quindi, che aumentando la profondità aumenta la quantità di azoto trasportato dal sangue e presente nei tessuti. Nelle immersioni la quantità di azoto disciolta può quindi causare al subacqueo NDA. Il processo che presiede all’assorbimento di una quantità maggiore di azoto è detto assorbimento o saturazione, mentre quello in base al quale esso viene ceduto è detto eliminazione o desaturazione. Da studi effettuati, le immersioni con percentuale minore di narcosi sono quelle con profondità massima inferiore a 20 metri e con velocità di discesa inferiore 20 metri al minuto.

Bisogna essere particolarmente prudenti, poiché la soglia individuale può essere variabile. Chiunque può esserne colpito. La NDA non si manifesta in modo automatico ad una precisa profondità uguale per tutti gli individui. Essa dipende da soggetto a soggetto, da situazione a situazione e non sempre si ripete con la medesima cadenza ed alla stessa quota.

Gli effetti della NDA sono spesso ignorati man mano che il subacqueo, proprio a causa di tali effetti, diviene eccessivamente fiducioso in se stesso. Questo è particolarmente vero per i sub “esperti” che possono già aver compiuto molte immersioni oltre i 30 metri, senza aver notato particolari problemi. Infatti, pur se colta da NDA, la maggioranza dei subacquei sarà ancora in grado di assolvere a compiti ed azioni di routine, ma potrebbe non essere in grado di affrontare situazioni di emergenza dovute al modo di pensare “rigido” e alla diminuzione delle capacità mentali. La NDA riveste un ruolo rilevante nella dinamica di molti incidenti subacquei ed i sub dovrebbero essere consapevoli che tutti vi possono essere soggetti.

Il meccanismo d’azione dei gas inerti, nel provocare tali fenomeni, è complesso e legato a vari fenomeni, di cui il più importante è la solubilità del gas nei grassi.

1.1 Le cause della narcosi

Vista l’importanza basilare che la narcosi assume nelle immersioni profonde, è opportuno soffermarsi anche sulle cause ovvero sui fattori che ne predispongono l’insorgenza o che la scatenano.

Occorre sottolineare che, pur essendo un po’ l’uno e un po’ l’altro, alcuni di questi fattori sono più predisponenti e altri più scatenanti. In effetti non è affatto vero che la narcosi aumenta pian piano: in determinate condizioni esplode in pochi secondi. Le cause che determinano l’insorgenza della NDA, le possiamo suddividere in tre categorie: cause fisiche, psicologiche e ambientali o operative. Vediamole.

1) Cause fisiche

·           La stanchezza e l’assenza di riposo, predispongono ad una maggiore sensibilità alla NDA. Un subacqueo poco allenato o stanco tende a non controllare la sua respirazione ed il suo corpo si affatica prima. Ciò richiede un maggior apporto di volume di ventilazione, che, se non controllato, può portare alla NDA.

·           L’alcol ha un effetto depressivo sui centri nervosi, effetti che si sommano all’effetto narcotico dell’azoto ad alte pressioni predisponendo il sub a maggiore sofferenza.

·           Alcuni farmaci hanno effetti che possono predisporre alla narcosi (farmaci contro il mal di mare e altri che agiscono sul cervello come ipnotici, sedativi, ecc.). I farmaci vanno accuratamente controllati dal medico in vista di un’immersione.

2) Cause psicologiche

Lo stato mentale del soggetto può influire i maniera rilevate all’insorgere della NDA. Dato che la NDA colpisce principalmente il nostro sistema nervoso, bisognerebbe che lo stesso non fosse già stato sollecitato negativamente da condizioni preesistenti come:

·      Riflesso di una indisposizione fisica, a causa, ad esempio, di un malessere fisico preesistente. Ciò può provocare una ripercussione psicologica negativa sullo stato mentale dell’individuo, deprimendo quindi il suo equilibrio psico-fisico. Spesso questo stato d’animo non è avvertito dal sub e rimane allo stato latente, per poi eventualmente esplodere.

·      Ansia dovuta ad uno stato psicologico sfavorevole, ad uno stato di nervosismo preesistente, alla paura, alla costrizione, ad un imprevisto durante l’immersione, ecc. Questo tipo di stato mentale può determinare una situazione anomala sull’equilibrio psichico dell’individuo.

·      Stress che può essere sia fisico che mentale. Lo stress è il risultato di una reazione del nostro organismo all’incapacità, conscia o inconscia, di soddisfare le esigenze fisiche e psiche del momento. Maggiore è la difficoltà nell’affrontare una determinata situazione, maggiore sarà il carico fisico e mentale. Questa è la condizione per cui un soggetto può cadere completamente in preda alle proprie emozioni e non ragionare più con la normale freddezza e può perdere completamente il controllo di se stesso e di chi lo circonda.

Le cause appena descritte funzionano da forza motrice per il nostro cervello: devono essere circoscritte entro i limiti “naturali” del loro effetto positivo, oltre i quali il nostro organismo si allontana dalla normale condizione di benessere, causando, attraverso la stanchezza fisica e/o mentale, apprensione, angoscia, paura,  panico, situazioni potenzialmente pericolose per il sub.

Sulla base di quanto sopra esposto, nell’affrontare un’immersione, bisogna sempre considerare le seguenti condizioni di stress:

·      Stress latente è Consiste in una condizione psico-fisica dovuta alle situazioni o esperienze vissute prima dell’immersione.

·      Stress di circostanza è E’ causato dall’evento che si sta vivendo durante l’immersione.

·      Stress di punta è È causato da una improvvisa problematica che insorge al momento, come può essere un imprevisto che si verifica nel corso dell’immersione.

La sommatoria di tali condizioni costituisce il carico psicologico e quindi di stress, a cui il subacqueo è sottoposto durante l’immersione.

3) Cause ambientali ed operative

Come già esposto in precedenza, la causa determinante  della NDA, è l’aumento della pressione parziale dell’azoto (PpN2) e quindi della profondità, e nella trasformazione dello stesso in agenti chimici che vanno ad interagire negativamente, a livello cellulare (senso di ebbrezza), con il sistema nervoso centrale(SNC).

Inoltre, maggiore è la permanenza  in immersione a quote alte, maggiore sarà l’effetto narcotico.    

Velocità di discesa è E’ un importante fattore scatenante. La caduta deve rallentare velocemente se abbiamo sintomi di veloce innalzamento narcotico. Se non facciamo ciò, la narcosi potrebbe trasformarsi in crisi violenta, dovuta all’aumento repentino della pressione. Il momento di maggiore sensibilità alla narcosi si ha una volta raggiunta la profondità stabilita. In quell’istante è opportuno concedersi una breve pausa, prima di procedere all’esplorazione, che permetterà di adattarsi alla pressione: controllare i propri strumenti, la posizione e la condizione del compagno. Non sarà tempo sprecato invano.   

Scarsa visibilità è E’ predisponente se costante, scatenante se improvvisa. L stesso dicasi per la mancanza di punti di riferimento. Il fatto che a volte i due fattori siano concomitanti, il quadro si allarga. Oltre al brutto impatto psicologico della perdita di punti di riferimento, l’occhio cercherà immagini e la messa a punto di queste. Non trovandole ciò contribuirà a far girare la vista con un forte innalzamento narcotico, poiché c’è confusione mentale e mancanza di punti d’attenzione su cui concentrarsi. Se dovesse succedere, occorre guardare subito il compagno, il computer: in questo modo l’occhio ritornerà  a fuoco, il cervello si concentrerà di nuovo su un punto di attenzione e avremmo tenuto sotto controllo il compagno, il profondimetro e il tempo.

Lavoro o sforzi è Tutto ciò che porta all’affaticamento, cattiva respirazione, pinneggiata rapida o faticosa, assetto sbagliato, lavoro o sforzi, ecc., creano una base di predisposizione alla narcosi. La crisi narcotica violenta è una realtà da non sottovalutare. Chi l’ha provata sa che è una delle più brutte esperienze che possano capitare ad un sub.

Il freddo è E’ anch’esso predisponente se medio e continuo, ma diventa scatenante se rapido e intenso.

1.2 I sintomi della narcosi

La NDA, proprio per la sua caratteristica fondamentale che è quella di chiudere e confondere la mente facendo poi perdere la memoria di tutto o parte di ciò che è successo, nasconde una serie molto nutrita di segni/sintomi.

Le sensazioni narcotiche “classiche” e primarie (per es. senso di leggerezza, euforia, ecc.) sono grossolane, rozze, fumose poco fini: a grandi profondità la mente ne è così pervasa che non riesce a distinguerne differenze di intensità, a meno che non siano estremamente evidenti. Dunque sondando solo esse non si  ottiene che un quadro molto approssimativo della situazione. Per questo motivo l’attenzione deve spostarsi su precise manifestazioni secondarie (sintomi leggeri e medi) che con la loro apparizione attestano senza ombra di dubbio un netto cambio della condizione psichica. Un esempio. A 55 metri il sub ha una decisa sensazione di leggerezza fisica, di euforia e di deterioramento della capacità percettiva che, proseguendo gradualmente nella discesa, non sente cambiare 10 metri più sotto; gli sembra dunque che l’intensità narcotica sia uguale. Il sub però particolarmente attento come deve essere un profondista, nota per esempio che da qualche istante non sente più il freddo e l’aria sembra avere un gusto metallico. Sebbene il sub comprende che, nonostante all’apparenza lo stato mentale generale non sia maggiormente compromesso, il suo stato narcotico è invece evidentemente superiore.

Abituiamoci quindi a considerare i sintomi secondari come i veri e unici punti di riferimento nonché precisi campanelli d’allarme. Non fermiamoci nella nostra analisi solo all’intensità dell’”intontimento”. Mettiamo sempre sotto attenta osservazione ogni istante dell’immersione, per essere certi di stare sempre entro i limiti personali.

Per questo motivo nelle immersioni profonde quello che si deve fare è gestire la NDA di medio livello (sintomi leggeri e medi) e prevenire l’insorgenza di NDA  di elevato livello (sintomi gravi).

Schematizzando possiamo distinguere in sintomi leggeri e medi e sintomi gravi. Sono tutti sintomi descritti dai subacquei che hanno sperimentato la NDA sulla propria pelle.

1)   Sintomi leggeri e medi

Sono sintomi che si presentano nella fase iniziale della NDA. Si manifestano a basse pressioni  dell’azoto, cioè tra i 30 e i 60 metri per immersioni ad aria ed in presenza di cause predisponesti e non scatenanti.

  • leggerezza mentale, euforia o senso di ubriachezza, risa o tendenza a ridere;
  • senso di leggerezza fisica;
  • senso di maggiore confidenza;
  • sapore metallico o dolce dell’aria;
  • senso di stupore;
  • alterazione della coordinazione muscolare, compromissione della destrezza, perdita (parziale o totale) delle capacità motorie;
  • rallentamento dell’attività mentale;
  • difficoltà a leggere gli strumenti.

2) Sintomi gravi

Sono sintomi che si presentano nella fase centrale e finale della NDA. Si rivelano ad alte pressioni parziali di azoto, cioè tra i 60 e i 90 metri ed in presenza di cause scatenanti.

  • vertigini;
  • insensibilità e/o formicolii sulla faccia, sulle labbra e sui piedi;
  • esagerazione dei movimenti generali, movimenti a scatti;
  • rallentamento dell’attività mentale;
  • deterioramento della capacità percettiva;
  • confusione mentale, difficoltà o incapacità a leggere gli strumenti;
  • distorsione della parola;
  • compromissione della destrezza;
  • perdita parziale o totale delle capacità motorie;
  • percezione impropria del tempo;
  • stato depressivo, pianto o tendenza a piangere;
  • sensazione d’apprensione o ansia;
  • minore tolleranza allo stress, panico;
  • allucinazioni e/o disturbi visivi e acustici;
  • fobie;
  • visione a tunnel;
  • nausea;
  • vomito;
  • amnesia;
  • perdita di coscienza.

La lista precedente, pur non volendone escludere altri più individuali (che possono presentarsi a seconda della persona e della situazione) è la più completa fra i segni e i sintomi sicuramente provati da molti subacquei. Rileggendoli con estrema attenzione  e pensando alle proprie immersioni profonde, ci si potrà accorgere che molti di essi sono stati provati diverse volte: ciò serve a dare una visione molto precisa dell’effetto narcotico dell’azoto.

L’utilità pratica della grande conoscenza di ogni più piccola manifestazione, risulta evidente: nelle immersioni profonde tutti dobbiamo sempre confrontarci con la NDA. Nessuno ne è immune! Il calcolo da fare è quello della valutazione della grandezza di essa e prestare grande attenzione a particolari anche secondari e meno assai evidenti fra quelli elencati.   

1.3 La gestione della narcosi

Il modo migliore per combattere e gestire la NDA è la concentrazione. Certo gestire la NDA è un’impresa ardua. Ovviamente la cosa migliore è la prevenzione. Nelle forme meno gravi, è sufficiente risalire di quota, per far regredire i sintomi.

Risulta chiaro che non è possibile uscire da soli da una crisi narcotica grave. Pertanto non bisogna mai giungere alle crisi di condizioni gravi. E’ importante il continuo controllo del proprio stato fisico e mentale e della propria concentrazione.

Alla percezione dei primi sintomi dello stato narcotico bisogna:

·      avvisare il compagno;

·      rallentare ogni attività fisica, cioè muoversi lentamente e/o fermarsi;

·      controllare la propria respirazione che deve essere lenta e profonda;

·      concentrarsi e rimanere con la mente “sveglia”;

·      fissare attentamente un oggetto, mettendo a fuoco l’immagine e iniziare una serie di ragionamenti a lui collegati: colore, forma, ecc.

Alla percezione che i sintomi da NDA non regrediscono o scompaiono, oppure peggiorano, diventa imperativo:

·      avvisare il compagno;

·      risalire con calma fino alla quota in cui gli stessi sintomi scompaiono;

·      recuperare la padronanza e la gestione del proprio corpo e dell’immersione;

·      riemergere.

Si ribadisce quindi la necessità di mantenere al massimo la concentrazione ad ogni costo, anche se farlo non è un’impresa facile. Un attimo di pausa e di rilassatezza potrebbe “costare caro”.

1.4 La prevenzione della narcosi

Insomma un quadro assai preoccupante, che quando sopraggiunge richiede una grande dose di freddezza ed esperienza per essere gestito e che deve essere assolutamente evitato con la prevenzione. Il sub profondista cura moltissimo la propria respirazione, lenta, misurata, interna ed esaustiva soprattutto nella fase di espirazione, mentre si muove in perfetto assetto e con grande lentezza ed acquaticità. La fretta non và bene a grandi profondità!

Quindi prima dell’immersione occorre seguire determinati accorgimenti:

·      Evitare di immergersi quando non si è in buone condizioni fisiche e mentali.

·      Non fare uso di medicinali controindicati, di alcol o droghe in concomitanza con le immersioni.

·      Limitare la profondità delle immersioni ad aria.

Invece, durante l’immersione è necessario:

·      Non immergersi da soli.

·      Avere il tender in superficie con un assistente di superficie capace ed informato sulle fasi dell’immersione.

·      Controllare la velocità di discesa.

·      Controllare il livello di lavoro e di affaticamento.

·      Curare molto la propria respirazione, che deve essere lenta e profonda specialmente in espirazione.

·      Muoversi con un buon assetto e con grande leggerezza ed acquaticità nei movimenti.

·      Concentrarsi sempre ed unicamente su ciò che si sta facendo e su ciò che sta accadendo, per mantenere sempre alto il livello di attenzione.

·      Valutare ogni volta i propri limiti operativi ed in base a questi decidere cosa fare.

·      Saper riconoscere ed interpretare i sintomi che possono degenerare.

E’ opportuno sottolineare che frequenti esposizioni alle profondità affinano la sensibilità alla percezione dei sintomi della narcosi da azoto e aumentano nel subacqueo la capacità di innalzare la soglia di tolleranza ed il limite di sicurezza. In sostanza la NDA entro certi limiti può essere allenata.

 

2) LA TOSSICITA’ DELL’OSSIGENO IPERBARICO

Un altro fenomeno che condiziona le alterazioni dello stato di coscienza, a seguito di respirazione di aria compressa, a pressioni superiori a 5,5 ATA (paria quella che si ha a 45 metri di profondità) è la concentrazioni di ossigeno (O2) nella miscela respiratoria.

Questo è un argomento che nelle normali didattiche subacquee a scopo sportivo/ricreativo non è quasi mai trattato oppure è appena accennato. C’è infatti la tendenza a trattare la NDA come l’ultimo incidente importante che può accadere ad un subacqueo sportivo durante una immersione profonda in aria, perchè la sua immersione dovrebbe rimanere in curva di sicurezza, secondo le tabelle US Navy e quindi non dovrebbe mai superare la profondità massima di 40 - 42 metri.

Se consideriamo però che una persona si può appassionare alla subacquea talmente tanto da essere spinta ad effettuare delle immersioni anche oltre i limiti stabiliti e consigliati dalle tabelle (considerando anche il fatto che quasi nessuno oggi si immerge senza un computer subacqueo), dobbiamo andare oltre alla normale didattica ed aggiungere a questa un’ approfondimento riguardo alla tossicità dell’ossigeno, solo per essere giustamente consapevoli dei rischi a cui potremmo andare incontro effettuando immersioni profonde.

Sembra alquanto strano che l’elemento principe che ci permette di vivere sul nostro amato pianeta possa essere per noi tossico… Dobbiamo però considerare la sua pressione parziale, la pressione alla quale respiriamo l’ossigeno che è direttamente proporzionale alla sua quantità percentuale all’interno della miscela di gas che stiamo usando (questo in base alla legge di Dalton: “La pressione totale esercitata da una miscela di gas è uguale alla somma delle singole pressioni parziali dei gas componenti la miscela stessa”). 

Va da sé che finché restiamo sulla superficie terrestre  e quindi respiriamo quella miscela di gas da noi familiare chiamata aria, alla normale e massima pressione ambientale di 1 bar non ci succede niente di strano: siamo “fatti” apposta e ben collaudati a sopportare pressioni parziali di 0,21 bar di  ossigeno e di 0,79 bar di azoto.

Quando però tali pressioni parziali aumentano le cose cambiano. Infatti l’ossigeno se respirato a lungo a pressioni superiori a 1,6 bar diventa tossico e porta a conseguenze molto gravi fino alla morte.

Secondo quanto appena scritto dobbiamo considerare i due parametri fondamentali che rendono l’ossigeno tossico: la sua pressione parziale ed il periodo di esposizione.

Già da oltre 500 millibar l’ossigeno comincia a diventare tossico e a far apparire alcune patologie sia a livello polmonare (PpO2 fino a 1,5 bar con tempi di esposizione sempre più corti) che a livello di sistema nervoso centrale (PpO2 oltre 1,5 bar con tempi di esposizione molto ridotti).

A livello polmonare respirare a lungo (oltre 5 ore) ossigeno iperbarico porta a irritazioni bronchiali fino alla sindrome di Lorrain Smith che provoca delle serie difficoltà respiratorie fino all’emorragia polmonare e a livello sistema nervoso centrale (SNC) le cose possono essere ben più gravi.

Esistono delle particolari tabelle che ci danno dei limiti fisiologici oltre i quali l’ossigeno attacca il SNC:

3.0 bar

pressione parziale usata solo in ossigenoterapia Iperbarica a seguito di particolari problemi fisiologici

2.8 bar

idem

2.5 bar

massima pressione usabile in decompressione (ovverosia in stato di assoluto riposo). Questo valore è riferito a professionisti altofondalisti che risalgono in campana, ovverossia in ambiente completamente asciutto dalla testa ai piedi.

2.4 bar

terapie varie per curare la MDD

2.0 bar

esposizione eccezionale per immersioni operative. Dove la parola eccezionale sta a significare una condizione non normale come soccorso estremo od operazioni militari autentiche sottoposte a misure di sicurezza di superficie altrettanto eccezionali

1,6 bar

per immersioni non impegnative per massimo 45 minuti (in aria = 66 metri di profondità)

1,5 bar

per immersioni  di lavoro leggero per massimo 120 minuti (in aria = 61 metri di profondità)

1,4 bar

per immersioni  di lavoro medio per massimo 150 minuti (in aria = 56 metri di profondità)

Ma perché l’ossigeno oltre la pressione parziale di 1,6 bar diviene tossico e ci porta quindi all’iperossia?

Quando l’ossigeno entra nel sangue lo fa in due modi:

  • si lega con una reazione di ossidazione all’emoglobina del sangue;
  • si discioglie nel sangue secondo la legge di Henry (“A temperatura costante, la quantità di un gas che si può sciogliere in un liquido è direttamente proporzionale alla pressione parziale del gas stesso”).

Quando il sangue arriva ai tessuti l’emoglobina dovrebbe cedere l’ossigeno alle cellule dei tessuti stessi per portare loro via la dannosa anidride carbonica (CO2)  ma a causa dell’elevata pressione parziale dell’ossigeno respirato la reazione di ossidazione dell’emoglobina avviene nuovamente portando via, così, ossigeno presente in soluzione nel plasma e lasciando i tessuti carichi di CO2.

Si intuisce perciò che quella che crediamo tossicità dell’ossigeno è in realtà avvelenamento da anidride carbonica (ipercapnia).

I fattori che predispongono e scatenano il problema sono:

  • Stress è presente in tutte le problematiche subacquee perché diminuisce la resistenza psicofisiche dell’individuo.
  • Aumento della PpCO2 è è evidente che tutto ciò che può portare ad aumento di anidride carbonica,visto che è questa ad avvelenarci, risulta dannoso. Attenzione perciò alla massima efficacia della respirazione e al minore affaticamento possibile.
  • Freddo è diminuisce la resistenza psicofisica ed è fonte di stress.
  • Farmaci è non sappiamo nulla di molti di essi in relazione all’iperbarismo… perciò è meglio  evitare; E’ risaputo solo che l’insulina può avere azioni predisponesti e/o scatenanti. I diabetici perciò sarebbe meglio evitassero immersioni ad elevate profondità.
  • Scarsa condizione fisica è diminuisce la resistenza psicofisica ed è fonte di stress.
  • Uso di droghe ed alcol è è talmente ovvio…!

Le manifestazioni dell’iperossia

Ma cos’è l’iperossia o tossicità dell’ossigeno? E come si manifesta?

L’iperossia provoca e si manifesta con improvvisi attacchi di convulsioni simili a quelli epilettici. Le convulsioni non sono direttamente dannose; i danni li provoca l’ambiente (acqua) dove la persona attaccata da convulsioni si trova. Un attacco epilettico in casa ci potrebbe far cadere e sbattere da qualche parte provocandoci delle ferite anche gravi. Invece, l’iperossia sott’acqua provocherebbe una specie di attacco epilettico che ci potrebbe indurre a mollare la presa dell’erogatore, inibirebbe senza dubbio ogni azione di autosalvamento e, se non soccorsi immediatamente dal compagno di immersione,  sarebbe certa la morte per annegamento.

Ma il nostro compagno sarebbe davvero in grado di soccorrerci senza rischiare anche lui la vita? Non dimentichiamoci che la tossicità dell’ossigeno si ha in condizioni di iperbaricità, quindi sicuramente ad elevate profondità dove sappiamo bene siamo soggetti anche a  narcosi da azoto.

Noi stiamo subendo un attacco di convulsioni tipiche dell’iperossia e tipiche anche dell’ipercapnia (in questo caso provocata dall’iperossia stessa), sotto l’effetto dell’ebbrezza da profondità e siamo in altissimo rischio di annegamento, abbiamo estrema necessità di un immediato intervento del nostro compagno che, guarda caso è anch’esso ebbro di azoto e come tale non molto capace di soccorrerci con la dovuta velocità ed accortezza…Che bella prospettiva!!

Facciamo finta che il nostro compagno sia così capace e fortunato da riuscire ad aiutarci e a portarci, magari facendoci “pallonare”, in superficie… potremo andare incontro, a causa della troppo veloce risalita e al sicuro non rispetto delle tappe di decompressione, ad una MDD e/o ad una sovradistensione polmonare. Una volta raggiunta la superficie chi ci accoglierebbe in modo adeguato alla situazione vissuta?

Sarebbe meglio evitare tutto ciò! Anche perché non ci sono sintomi preliminari che ci possano avvertire con estrema sicurezza e precisione dell’imminenza di iperossia… tutti i sintomi come freddo leggeri tremori, formicolii vari, nausea, possono essere scambiati per disagi normalissimi che possono accadere ad un subacqueo in qualsiasi momento. L’unico sintomo ben avvertibile potrebbe essere legato alle convulsioni ma quando queste arrivano è ormai troppo tardi…

Non rimane altro, per correre  ai ripari, che prevenire, cioè evitare di scendere a profondità oltre i limiti stabiliti dalla tabella delle PpO2 riportata qui sopra (il limite altamente consigliato è di 1,6 bar PpO2 e per un tempo massimo di 45 minuti che durante immersioni ad aria corrisponde a -66 metri circa) e se per qualche motivo (distrazione, errore, ecc.) si dovesse sforare tale valore si deve fare in modo di non rimanere troppo tempo oltre tale limite.

Nemmeno l’allenamento alle alte profondità ci può rendere immuni o aiutarci ad innalzare tali limiti di sicurezza. Con l’ossigeno iperbarico è meglio non scherzare. La tossicità dell’azoto ci porta ad ebbrezza, ma si può controllare e ci si può, in parte, abituare (così come avviene con l’alcol), ma all’ossigeno iperbarico non ci si abitua… quando comincia a fare effetto può essere già in atto il meccanismo convulsivo di cui abbiamo parlato finora con tutte le sue nefaste conseguenze.

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