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di Tecnica & Medicina

 

 

64.  Jim Bowden -280 metri… e oltre (articolo tratto da www.subatlantidecesena.it) 

Bowden è l'esatto contrario del macho, non ci ha proprio nulla a che vedere. Ormai prossimo alla settantina (all’epoca del suo record mondiale aveva 52 anni), di media altezza, piuttosto robusto e forse con qualche chiletto di sovrappeso, con un inizio di curvatura sulla schiena e la barba piuttosto incolta, è un personaggio estremamente mite e tranquillo. Anche sulla terraferma si muove piano, parla lentamente, poco ed a voce che risulta bassa persino per il microfono. Non è assolutamente una persona triste, anzi si percepisce una notevole carica d'allegria e di ottimismo interno, ma i suoi sorrisi non sono esagerati ed appaiono composti, abbozzati: è il classico tipo che comunica con gli occhi e non con la mimica facciale. Non è timido, né pauroso (ci mancherebbe altro!), è semplicemente silenzioso, metodico e posato, calcolatore. Non a caso quindi un eccellente secondo, di quelli che ti seguono come un'ombra senza nessuno che se ne accorga (a volte nemmeno tu). Dal 1975, quando ha incominciato la sua carriera di esploratore a tempo pieno, muove verso grandi imprese per fini personali e molto interiori e poi si ritrova con un contorno di interesse, sorpresa e pubblicità un po' inaspettato. Jim ha un team (Proyecto de Buceo Espeleologico Mexico y America Central) che ha mappato numerosi chilometri di grotte in tutto il Messico, terra della quale è innamorato e dove è ben noto che per uomini con le sue inclinazioni non c'è che l'imbarazzo della scelta fra numerosissime località ed altrettante eccitantissime imprese da intraprendere. Conversando piacevolmente con lui, si scopre che non è il profondismo la sua ambizione: con un atteggiamento disarmante Jim conferma di essere solo un esploratore di grotte e cavità. Dice: “capita che in alcuni casi queste parti di mondo sommerso siano molto profonde e quindi per poterle osservare deve scendere, tutto qui” (!!). Perciò, di fatto, Jim Bowden è un profondista "per caso". Il luogo interessato al record è l'esempio lampante di quanto esposto. Bowden è affascinato da questo "cenote" situato nella giungla messicana (che per la verità appare effettivamente incantevole) e desidera vederne il fondo. Per tale motivo affronta la prova, non per il gusto della profondità in sé. Resta evidente che è quest'ultima che fa notizia e non certo le pur fantastiche conformazioni di roccia che Jim ha visto o forse vedrà.

Andiamo dunque ad esaminare l'immersione. Era il 6 aprile 1994. Il cenote è un buco in mezzo alla giungla. Non è il solo, in Messico se ne conoscono altri 4 ancor più profondi, ma questo è l'unico pieno d'acqua. Il buco ha pareti praticamente verticali e ciò facilita non poco la distensione della cima di riferimento nonché la stessa discesa visto che lo sforzo è ridotto al minimo vitale (non è necessario pinneggiare). L'acqua è dolce, calma, limpida e calda. Jim porta indosso le miscele che gli servono per la discesa e per parte della risalita, tutte quelle decompressive sono invece disposte lungo la cima di riferimento da cui non si staccherà per un solo istante rimanendovi sempre a circa 1 braccio di distanza. Pur in questo modo non si può proprio dire che sia leggero.

Bowden indossa posteriormente un bibombola 18 + 18 litri per Trimix di fondo e sopra di esso un monobombola da 4 litri con Aria da viaggio; in posizione anteriore due altri monobombola da 23 litri cadauno, uno di essi contenente Trimix di fondo e l'altro Trimix da viaggio. Con questo peso serve un jacket di volume enorme: Jim ha scelto l'O.M.S bicamera da 55 litri a cui ha tolto gli elastici ed operato un aumento della portata dell'insufflatore per avere il gonfiaggio più rapido possibile. Gli erogatori sono tutti Scubapro mentre i computers Aladin Pro, tutte le bombole e gli illuminatori O.M.S..

Portatosi sulla cima di discesa Jim si rilassa in superficie. Viso senza maschera immerso nell'acqua, abbassa il numero di pulsazioni cardiache e regolarizza il ritmo respiratorio sui 4 cicli/minuto mentre visualizza anticipatamente tutta la discesa programmando la sua mente a comportamenti automatici quali controlli, cambi miscela, eccetera. Quando si sente pronto dà inizio al gran salto. Velocità di discesa, costante in tutta l'immersione, 30 metri/minuto; prima miscela: Aria sino a 91 metri. A questa profondità si ha una PPO2  di 2,1 ATA, assai elevata ma in questo caso non troppo forzata perché il tempo di esposizione dalle 1,6 (considerato il termine prudenziale) alle 2,1 ATA è di circa 25 secondi quindi bassissimo. Uguale considerazione anche nei successivi cambi. Più problematica è la narcosi d'Azoto che, qui già elevatissima, viene ad essere aumentata grandemente dalla velocità di compressione (oltre che dal notevole stress). In queste condizioni c'è il serio rischio di precipitare in uno stato confusionale esponenzialmente crescente a causa della discesa continua che può far perdere il controllo dello status in un vero e proprio fulmineo shock narcotico: è uno dei momenti più delicati.

A 91 metri finalmente il cambio "volante" (senza sosta né rallentamento) con Trimix 10,5% O2 , 50% He, 39,5% N2 : la PPO2 passa immediatamente a 1,05 ATA e l' EAD (equivalente narcotico in Aria) scende a 40 metri, mentre l'alto tenore di Elio nella mix rende la respirazione molto meno pesante e difficoltosa. La discesa continua. A 182 metri  Jim sopporta una PPO2 di 2,01 ATA ed una narcosi d'Azoto equivalente a quella in Aria a 86 metri: è tempo di cambiare nuovamente. Lo switch permette al recordman di respirare un Trimix questa volta composto da 6,4% O2 , 69,5% He, 24,1% N2 riportando quindi subitaneamente la PPO2 a 1,23 ATA, la narcosi d'Azoto ad un'equivalenza di 46 metri in Aria e la densità respiratoria a livello ottimale.

Sono passati 6 minuti circa di una discesa apparentemente interminabile e con questo erogatore in bocca Jim Bowden vuole raggiungere il suo obiettivo: toccare ed eventualmente superare i 1.000 piedi (303 metri). Qui sospendiamo un attimo la cronaca per fare delle importantissime considerazioni sulla scorta di gas. Se il subacqueo in partenza sbaglia  l'impostazione della velocità di caduta o successivamente la varia cambiano drammaticamente i consumi sia perché in questo tipo di "salti" la discesa è veramente lunghissima (circa 10 minuti) sia perché l'enorme pressione ingigantisce oltremodo anche i più piccoli errori. Inoltre è noto - ma vale la pena di riprendere il fatto - che a quelle profondità vedere 30 o 40 bar a manometro significa avere la pratica impossibilità di respirare dato che la pressione interna della bombola è equivalente o percentualmente di ben poco superiore a quella ambiente. E non è che basti toccare questo minimo sul fondo, poiché per poter utilizzare i 40 bar in risalita con quella capacità di bombole bisognerebbe avere una velocità di ascesa ben superiore a quella concessa dalla pianificazione. In altre parole se venissero toccati i 40 bar sul fondo pochi metri dopo in risalita non sarebbero comunque respirabili (a prescindere che comunque con queste bombole, fossero anche tutti disponibili, non basterebbero certo a riportare il sub al cambio di mix superiore). Il calcolo dell'autonomia deve tenere conto di tutto ciò (oltre al diverso flusso ventilatorio fra discesa e risalita dovuto ai diversi sforzi) e durante la discesa si devono avere delle quote prefissate dove viene controllato il livello minimo di mix con il quale si può andare avanti. Queste soglie di vero e proprio "non ritorno" devono tenere anche conto del superamento fisiologico di esse dato dall'enorme velocità di passaggio e quindi dei corrispondenti tempi di risalita e decompressivi, ovverosia per esempio: nel momento che vengano rilevati 130 bar a 180 metri ed il quantitativo minimo accettabile a quella quota fosse stato 160 bar, il sub ci mette parecchio tempo per fermare la discesa e di fatto si espone comunque ad una profondità superiore ai 180 metri del check point. Il check point quindi in realtà è fittizio e rappresenta una stima anticipata di quello che il sub troverebbe se, iniziando a fermare lì la discesa, si arrestasse circa 20 metri più sotto.

Tornando alla cronaca del 6 aprile 1994, Jim Bowden si rese conto di essere fuori dai limiti prudenziali di autonomia di mix al check point in discesa degli 850 piedi (257,55 metri): ne avrebbe avuto ancora per continuare ma forse non per la risalita. Immediatamente chiese aiuto al jacket per bloccare il più repentinamente possibile la caduta a piombo: non sono possibili altre procedure perché: a) un tentativo di movimento con pinne o braccia innalzerebbe velocissimamente la PPCO2 che a quelle profondità causerebbe la morte del sub e b) perché gli sforzi avrebbero aumentato il ritmo respiratorio che doveva essere al massimo di 6 cicli/minuto, sia per la calcolata riserva di mix sia per il calcolato assorbimento di gas inerti da rimuovere in deco. Operando sui due comandi del jacket bicamera da 55 litri di capacità, Jim si fermò a 280,73 metri per subitaneamente risalire con la procedura precedentemente prevista a secco che aveva come primo stop decompressivo i 145 metri (è veramente singolare il fatto di fare decompressione dove quasi mai nessuno ha messo pinna come immersione di fondo!) e gli altri stop successivi per un totale di 540 minuti cioè 9 ore. Jim aveva scelto l'Argox a 9 metri per ottenere un gradiente desaturativo matematico equivalente all'Ossigeno puro senza aumentare l'esposizione ad elevate PPO2 ). A tale riguardo va detto che evidentemente non ci sono computers subacquei che offrano dati utili sul tema e che quindi i vari piani desaturativi devono essere decisi prima. In queste immersioni possono esserci più obiettivi (per esempio i 1.000 piedi o 303 metri od anche il fondo della cavità a 1.080 piedi cioè 327,24 metri), oppure fermate intermedie di sicurezza (coincidenti con ogni check point più circa 20 metri che abbiamo visto necessari al rallentamento ed arresto della caduta). In questo modo l'immersione diventa estremamente flessibile: si hanno più obiettivi da raggiungere (perché fermarsi a 1.000 piedi quando si ha mix sufficiente per andare oltre e si è in condizioni per poterlo fare?) ed al tempo stesso si hanno varie "finestre di fuga" che permettono di uscire dall'immersione se qualche parametro non rientra nella linea-guida primaria. Il tutto certo non rende l'immersione sicura, ma "sopravvivibile". Il sub scende quindi portando scritti con sé più piani di risalita che prevedano il ritorno da uno qualsiasi di tutti i "gradini" considerati.

Con una discesa terminata a quota 280,73 mancavano praticamente 20 metri all'obiettivo primario. Tradotti in tempo circa 40 secondi e tradotti in consumo circa 2 respirazioni. Jim Bowden ha arrestato la sua corsa. Chi di noi avrebbe fatto lo stesso? Probabilmente non molti, ognuno faccia le sue personali considerazioni. La mia personale opinione è che dopo una preparazione di 12 mesi all'impresa ci vuole molto più sangue freddo a fermarsi che a proseguire, specie se "per così poco". Questo è il modo per fare i records che, tradotto nella nostra "normale" vita da sub di tutti i giorni, ci insegna moltissimo: facciamone tesoro. Purtroppo questo è stato il tentativo durante il quale Sheck Exley perse la vita: egli sparì sul fondo e non riemerse se non dopo qualche giorno quando il team ripescò la sua cima di discesa a cui il corpo era rimasto impigliato. Le cause del decesso sono tuttora sconosciute, nemmeno un'accurata analisi dell'attrezzatura ha dato una risposta chiara. Va da sè che sia l'enorme carisma di Sheck in vita che l'inimmaginabile generale sbalordimento di fronte alla sua tragedia, hanno fatto sempre passare in secondo piano la figura di Jim Bowden anche se già durante la sopracitata sfortunata immersione aveva raggiunto una profondità mai vista da un subacqueo in circuito aperto con attrezzatura puramente sportiva reperibile sul mercato dei negozi specializzati in Technical Diving.

A Bowden, se si esclude il forzato prudenziale stop, tutto andò discretamente bene. Nessun problema con equipaggiamenti (solo l’erogazione continua di un secondo stadio sulla prima bombola decompressiva, problema risolto chiudendo ed aprendo manualmente la rubinetteria a seguire la fase respiratoria), miscele, decompressione (tranne forse una sospetta embolia al gomito rientrata rapidamente). Ristabilitosi dallo shock della perdita di un grande amico, Jim Bowden ha ricominciato a pensare come continuare l'impresa così inaspettatamente interrotta ed ha deciso di focalizzare la sua attenzione, come del resto è logico, sul punto che si era visto maggiormente problematico: la riserva di mix.

Nel prossimo tentativo Jim porterà con sè circa il triplo della scorta di gas usata nel 1994. Questo si otterrà con 4 bombole in posizione posteriore alleggerite nel peso in acqua da altre 2 bombole in fibra di carbonio (notoriamente molto positive) ad esse attaccate, mentre in posizione anteriore avrà un bibombola per parte. La bombola di Aria verrà posizionata orizzontale fra le due rubinetterie dei bibo posteriori, a fianco del pacco illuminatori. Probabilmente verrà usata una bombola aggiuntiva per il gas da insufflazione del jacket. Sin qui tutto equipaggiamento O.M.S.. Le bombole verranno caricate a pressioni molto prossime a quelle di collaudo, quindi aumenteranno del 40-50% la loro capacità di stoccaggio miscele. Mentre mi parla Jim ha il coraggio di dire: “tutti i cambi che vengono fatti alla vecchia configurazione sono attuabili sino a quando sento il nuovo sistema completamente bilanciato e manovrabile e fin qui ci siamo perché ho già provato tutto in acqua “. C'è da dire che in effetti gli esploratori di grotte sono molto avvezzi al trasporto di varie bombole, anche se in questo caso l'uomo ne risulta quasi seppellito; ci saranno problemi per le fotografie dove si vedrà solo la faccia e forse le pinne. Gli erogatori rimarranno Scubapro, i computers Aladin Pro (gli unici in cui timer e profondimetro funzionano a queste pressioni). Jim Bowden  continua dicendo che sono allo studio altre miscele da usare in profondità e si riferisce piuttosto chiaramente all'Hydrox (Ossigeno ed Idrogeno). Ritiene che il tempo totale di decompressione debba aggirarsi intorno alle 12 ore e che, se si fermerà sul fondo, questo aumenterà di circa 1 ora per ogni minuto là speso. Se nel 1994 le decompressioni in Ossigeno venivano prudenzialmente eseguite con maschera gran facciale (la quota non è stata superiore ai 6 metri, ma per periodi molto lunghi che avrebbero potuto causare crisi da tossicità), nel prossimo tentativo verrà usata a tal scopo una minicampana che gli permetterà di avere quasi tutto il corpo (dall'addome in su) fuori dall'acqua ai 12, 9, 6 e 3 metri. In questo modo Jim potrà decomprimersi in Ossigeno puro sin dai 9 metri con minori problemi all'eventuale insorgenza di una fase convulsiva. Inoltre all'interno di questo habitat potranno essere usati sistemi di reidratazione molto più aggressivi (endovenose) rispetto al semplice ingerimento di acqua via bocca.

Jim Bowden potrebbe sembrare un pazzo, ma in realtà è un esploratore come molti in altri settori. Se di vette sulla terra da raggiungere per primi non ce ne sono più, numerosissime invece sono le "montagne con la punta in giù" che si trovano sott'acqua e che nessuno ha mai visto. Con la grande differenza rappresentata dal fatto che il sub è in un ambiente non proprio, deve sottostare a schemi ancor più rigidi ed oggettivamente limitatissimi nei tempi (minuti, secondi) che restringono mostruosamente le possibilità di errore, accrescono le difficoltà ed innalzano il tenore della sfida. Sfida che però non viene giocata sul terreno della fortuna, dell'approssimazione o della superficialità: l'incoscienza non ha spazio nei veri recordman!

Jim Bowden e Zacatón... quando l'uomo sfida la natura  (articolo tratto da http://pataviumexplorers.blogspot.com) 

Zacatón è il più profondo di cinque cenotes situati all'interno del El Rancho Asufrosa, un esteso ranch nel Messico nord-orientale. Fu scoperto nel corso di un giro di ricognizione compiuto al termine di due settimane di esplorazione e di rilievo nel Nacimiento Santa Clara, un sistema di grotte sito ai piedi dell'Al Abra, nei pressi del Nacimiento Mante. I cenotes si rivelavano essere molto particolari. Sono allineati grosso modo da est verso ovest in un raggio di circa 3 km. Le loro acque hanno un odore sulfureo piuttosto marcato. In uno, nominato Poza Asufrosa, lo zolfo precipita dalle pareti circostanti per poi galleggiare sulla superficie, dando forma ad una sorta di zattera. Le acque portano via il colore ossidan­do tutti i metalli e sono sorprendentemente calde: 34 gradi nel Poza La Pilita, 31 gradi nel Zacatón, 30 gradi il Poza Caracol, 31 nel Poza Asufrosa ed i più confortevoli 28 gradi nell'enorme Poza Verde, una specie di oasi. La squadra diede inizio alla ricerca di passaggi di collegamento con gli altri cenotes situati verso est e verso ovest, ma durante la prima fase dell'esplorazione non veniva trovato nessun pas­saggio.

Il 2 maggio 1990, Jim Bowden e Gary Walton entravano nel Nacimiento Santa Clara lungo il confine occi­dentale del ranch. I subacquei individuavano una piccola grotta ed iniziavano a percorrerla in dire­zione nord-est. Gary che era davanti, notava un bagliore di luce color verde bottiglia. Coprendo la sua torcia con una mano, ebbe conferma che si trattava di una fonte di luce naturale; questo semplicemente significava che erano riusciti ad effettuare una connessione con la superfi­cie. Trionfanti, i subacquei emergevano all'interno di Zacatón ad una profondità di 7 m e raggiungevano la superficie del bellissimo cenote che deve il suo nome alle caratteristiche formazioni di un'erba alta (el zacate), che galleggiano sulla sua superficie. I membri del "Proyecto" riprendevano l'esplorazione dei cinque cenotes all'interno del ranch, nell'aprile 1993, questa volta completamente attrezzati per effettuare immersioni a miscele di gas, che avrebbero permesso di esplorare con maggiore sicurezza le parti più profonde. Sheck Exley si univa alla squadra per una settimana ed insieme a Bowden effettuava una serie di immersioni alle profondità precedentemente ine­splorate. La Pilita rivelava, ad oltre 108 metri di profondità, un passaggio che proseguiva in direzione sud-ovest. Era Zacatón, tuttavia, a riservare le più grosse sorprese. Durante immersioni ad aria, a 78 m Bowden ed a 123 m Exley, non erano in grado di vede­re il fondo. Era quindi certo che la profondità di 75 metri, della precedente scandagliatura, era assoluta­mente sbagliata! I subacquei si erano immersi al di sotto dello sperone sul quale si era fermata la sagola da scandagliatura per cercare l'elusivo fondo di Zacatón, ma il fondo non era neanche in vista. Il gior­no dopo, Bowden, Exley e Kristovich ritornavano a Zacatón per tentare una scandagliatura più accurata. La sagola continuava a srotolarsi dal rocchello, superava i 150 m, superava i 240 m, superava i 300 metri! Lo scandaglio finalmente si arrestava dopo aver misu­rato circa 327 metri.

La cima venne assicurata alla parete settentrionale del cenote ed i subacquei completarono pianificazione e preparativi per effettuare un'immersione profonda a miscele il giorno successivo. Nell'aprile del 1993, Bowden si immergeva a 152 m di profondità ed Exley a 218 m. Verso la fine della settimana di immersioni, Exley e Bowden decisero che sarebbero ritornati insieme a Zacatón e, come Hillary e Norkay sull'Everest, di perseguire l'esplorazione di questo vero e proprio Everest capovolto. Il sito apparentemente perfetto per un'immersione a circuito aperto a 300 metri ed oltre era finalmente stato trovato. Era caldo, non c'era nessuna corrente percettibile, i nativi erano amichevoli e l'accesso al sistema non era complicato. Fu quindi dichiarato l'obbiettivo: entro la fine dell'an­no solare, Bowden ed Exley avrebbero fatto un'immer­sione per raggiungere il fondo di Zacatón.
Il tentativo dei 303 m era programmato per il 25 dicembre ma l'intera squadra, di comune accordo, ritenne che le condizioni determinate dalle precipita­zioni eccezionalmente abbondanti di quell'inizio di dicembre non fossero favorevoli ad una tale impresa. La corrente nel Pasaje de Tortuga Muerte era sempli­cemente feroce e imponeva un'affatto desiderabile immersione faticosa prima di ogni tentativo in profon­dità. Era infatti necessario attraversare i quasi 180 metri di passaggio lineare della grotta, prima di qualsiasi immersione in Zacatón, rendendo in pratica immersioni ripetitive queste immersioni profonde. Per la sicurezza dei subacquei, l'immersione fu rimandata all'aprile del 1994.
Nell'aprile 1994 i membri del "Proyecto", tra cui Sheck Exley e Mary Ellen Eckhoff, si radunavano sul terreno del Rancho Asufrosa. Erano necessari due giorni per la sistemazione delle bombole da decompressione occorrenti alle specifiche profondità all'interno di Zacatón e nel El Nacimiento. L'immersione sarebbe stata effettuata su cime di discesa separate, condizio­ne che entrambi i subacquei approvarono, così da evi­tare il contatto e potenziali interferenze durante la rapida discesa programmata. Entrambi i tentativi sarebbero stati, per necessità, in solitaria. Exley avrebbe utilizzato Heliair 6 come miscela di fondo, Bowden Heliair 6.4.

Le loro tabelle erano simili ed entrambe elaborate dal software "Dr. X". Entrambi i subacquei portavano comunque un assortimento di tabelle, dato che l'esatto tempo di discesa (tempo di fondo) e la profondità mas­sima dell'immersione non erano conosciuti. Sia Bowden che Exley effettuavano varie immersioni profonde di acclimatazione ad aria per prepararsi al tentativo dei 303 m. La mattina presto del 6 aprile 1994 tutto sembrava essere pronto e i due subac­quei con la loro squadra di supporto si radunavano sul pendio sovrastante El Nacimiento. Bowden ed Exley si vestirono, nuotarono insieme attraverso "El Pasaje" ed all'interno di Zacatón. L'umore prima dell'immersione era positivo ed ottimista. Gli uomini ini­ziarono la loro discesa alle 09:50 circa, ora locale. Bowden raggiunse i 280 m ed avrebbe trascorso all'incirca 9 ore in decompressione.

Exley, per motivi che probabilmente non conosceremo mai, non ritornò dalla sua immersione. Aveva raggiunto una profondità massima di 274 metri.

Jim Bowden fornisce il seguente resoconto dell'ultima giornata con Exley, mentre si stavano ultimando i pre­parativi per l'immersione dei 303 metri.

"Tra dicembre ed aprile il tempo era trascorso rapidamente, tra i preparativi e l'organizzazione che occupavano tutti i giorni e gran parte delle notti. In questo periodo, oltre a tre immersioni al di sotto dei 150 metri, ne avevo effettuate più di 30 a profondità superiori ai 90 metri. Alcune di queste ad aria per acclimatarmi ed aumentare la mia capacità di tolleranza alla narcosi. In molte di que­ste immersioni effettuavo esercizi di valutazione e di abilità in profondità, quali la soluzione di problemi o compiti che mi venivano posti da un colle­ga in immersione a miscela, mentre io ero ad aria. Era essenziale che io mi trovassi a mio agio ad una narcosi equivalente (END) alla profondità di 100 m. La mia miscela di fondo, Heliair 6,4 (69.5 He, 24.1 N2, 6.4 O2) provocava una END di circa 90 m a 303 m. Raggiungere il fondo avrebbe richiesto questo ed altro. Feci un'immersione a 124 m ad aria, che costituiva un record di immer­sione ad aria in grotta, ma che fu presto oscurata da Sheck con la sua immersione a 127 m effettua­ta il 4 aprile, due giorni prima del nostro tentativo per il raggiungimento del fondo."

"Adesso era l'ora di pescare... oppure di togliere l'esca. Si completarono i preparativi finali e la prima squadra di supporto lasciava il campo per posizionare l'ossige­no per la decompressione e la mia maschera gran fac­ciale Dive Comm che avevo programmato di indossare a 6 m. Poco dopo partimmo tutti per la sorgente."

La squadra presente il giorno dell'immersione era composta da Exley, Bowden, Mary Ellen Eckhoff (ex moglie di Exley), Karen Hohle (moglie di Bowden), Ann Kristovich e Marcos Gary. Tra i rappresentanti della stampa c'erano un giornalista ed un fotografo di "Sports Illustrated", un fotografo del "Destination Discovery" e un'equipe televisiva di "Channel 7" di Tarapico. In attesa c'erano anche il proprietario del terreno e la sua famiglia insieme a molti altri residenti del luogo.

Continua Bowden: "Sheck ed io ci siamo preparati ed abbiamo nuotato attraverso i 180 metri del Pasaje de Tortuga Muerte per poter accedere al nostro luogo di immersione. Riemergendo in Zacatón, abbiamo nuota­to lentamente verso le nostre cime di discesa. Abbiamo commentato la bellissima giornata e ci siamo augurati reciprocamente "in bocca al lupo". Poi ci siamo separati, dirigendoci ognuno verso le sua cima di discesa. Il tempo trascorreva in silenzio mentre noi condiziona­vamo la respirazione e ci concentravamo su ciò che ci aspettava."

"Dopo un po' mi sentii pronto, lanciai uno sguardo verso Sheck. Sembrava che sentisse il mio sguardo. Fece cenno di sì con la testa. Mi immersi; ai 3 m esitai per un momento o poco più, poi mi lanciai in caduta libera. Avevo programmato di scendere a 30 m al minuto fino ai 90 m ad aria, poi con la stessa velocità fino ai 181 m ad Heliair (50 He, 39.5 N2, 10.5 O2), per poi passare alla miscela di fondo. Avevo programmato di rallentare la discesa a circa 230-240m, dove nell'immersione preceden­te avevo cominciato a notare sintomi di HPNS. Tutto andava secondo i piani. Appena passato il segnale dei 242 metri, avvertii un leggero tremore. Riuscii ad intravedere la luce di Sheck in lonta­nanza. Fu l'ultima volta che lo vidi. "

A 272 m Jim Bowden ebbe uno shock nel rendersi conto di avere consumato molto più gas del previsto. Nelle bombole con la miscela di fondo gli erano rimasti appena 70 bar. A quella profondità i suoi erogatori non avrebbero potuto fornire aria se la pressione fosse scesa a meno di 35 bar. Non era un problema da poco e Bowden non aveva tempo da perdere.

"Gonfiai il gav, riuscendo ad arrestare la discesa a 280 m. Passai alla bombola da 10 litri con miscela di fondo che montavo sotto il braccio destro, consumai quella e poi quella di riserva con la miscela da trasporto fino alla prima tappa di decompressione a 136 m. Quando arrivai lì, le avevo completamente esaurite entrambe. Non appena aprii la bombola per le decompressioni più profonde ebbi un'orrenda sorpresa: l'erogatore cominciò ad andare in violenta erogazione conti­nua. Mi sembrò che fosse passata un'eternità prima che riuscissi a richiuderlo. Ritornai a respi­rare dal bibombola che portavo sulla schiena per gestire il problema, ma non riuscii ad aggiustare l'erogatore. L'unica soluzione era quella di aprire e chiudere la rubinetteria ad ogni respiro. Avevo otto minuti di tappe tra i 106 ed i 90 m, dove era appe­sa la mia prossima bombola. "

Bowden riusciva comunque a raggiungere la bombola successiva, questa con erogatore funzionante, e da lì in poi a respirare più comodamente. Adesso il tema era la lunghissima decompressione, e la preoccupazio­ne per la tossicità dell'ossigeno e l'MDD. Passava all'a­ria ai 78 m e fino ai 39 m, poi a Nitrox al 30% di ossi­geno. E' qui che si rende conto che qualcosa doveva essere andato storto ad Exley. "A 39 m ho cominciato a rilassarmi. Qui riuscivo a vedere chiaramente la cima adoperata da Sheck per la discesa. Tutte le sue bombole da fase erano ancora impacchettate ed inutilizzate. Il senso di angoscia nel cuore fu soppresso dalla speranza che egli fosse sceso più profondo di me e che quin­di probabilmente fosse ancora sotto di me".

In superficie, la squadra di supporto sapeva già che Exley era nei guai. Ann Kristovich aveva osservato lo schema delle bolle di entrambi gli uomini nel corso della discesa. Le bolle di Bowden erano scomparse dopo due minuti, quelli di Exley un paio di secondi più tardi quando entrambi avevano raggiunto lo sperone dei 75 m. Dopo circa 15 minuti era riapparsa solo una scia di bolle e lei non riusciva a capire se fossero quel­le di Bowden o di Exley. Kristovich scambiò un'occhia­ta con la moglie di Bowden, Karen Hohle. Poi, come previsto, si immerse per andare ad incontrare Bowden all'appuntamento fissato per i 47 minuti del profilo di immersione. Si sentì sollevata nel vederlo, ma venne percorsa da un brivido nel vedere le attrezzature da decompressione di Exley lì appese senza alcun segno di lui. La cupa consapevolezza della situazione avvolse i due subacquei.

Nel frattempo, Mary Ellen Eckhoff (una delle migliori speleo-subacquee al mondo ed ex moglie di Exley) osservava dall'alto della scarpata, ignara di ciò che era accaduto. Poi, raggiungendo Karen Hohle sulla superficie si rese conto del problema. Preoccupata per la situazione ma non ancora disperata, afferrò una delle bombole da decompressione di riserva per portarla ad Exley e scese giù ad incontrare Bowden e Kristovich. Ora i suoi peggiori timori stavano diventando realtà. Frettolosamente scarabocchiò su una lavagnetta: "Sto andando a 75 m a cercare le bolle." Scese sullo sperone profondo ma di Sheck non c'era segno e nemmeno di bolle che salissero dal fondo.

Karen Hohle nel frattempo aveva rapidamente indossato la sua attrezzatura ed era scesa a raggiungere la Eckhoff. "Incontrai Mary Ellen a circa 30 m mentre lei stava risalendo. Stava piangendo e la sua maschera era fuori posto. Voleva ritornare in superficie, ma io presi il suo profondimetro e vidi che segnava 84 m. La tenni ferma. Siamo rimaste giù per più di trenta minuti, per terminare la decompressione. Furono momenti di grande tri­stezza e solitudine. "

Giunto alla tappa dei 18 m venne infine comunicato a Bowden che Sheck era perso. Fu preso da una sensazione di crescente smarrimento per la perdita dell'ami­co e descrive la rimanente parte di decompressione come un esercizio meccanico con quasi assenza di pensieri razionali. Dopo un totale di quasi 10 ore, Jim riemergeva in superficie, riportando tuttavia sintomatologia di MDD alla spalla sinistra che veniva poi trat­tata sul posto con una ricompressione in acqua. Bowden adesso era il primo subacqueo ad avere supe­rato la barriera dei 270 m con attrezzatura auto-conte­nuta scuba. La sua profondità di 280 metri, superava il vecchio record di 266 metri di Exley. La ricerca del corpo di Exley non venne neanche presa in considerazione, dato che l'unico uomo capace di effettuare un tale recupero era proprio l'uomo che si trovava là sotto. Tre giorni dopo, mentre si raccoglieva­no le ultime parti di attrezzatura, venne ritrovato il corpo di Exley. Forse si era sollevato dalla parte profonda della grotta ed era rimasto impigliato sulla cima. Una delle sue bombole aveva ancora gas, ed il suo computer segnava 273 m, cosa che farebbe pensare che qualsiasi problema lui abbia avuto, questo non sarebbe comparso prima dei 9 minuti di immersione.

Le diagnosi più autorevoli attribuirebbero l'incidente alla HPNS (Sindrome Nervosa da Alta Pressione). Exley aveva già accusato un episodio di HPNS in Africa, con sintomatologia piuttosto seria che comprendeva spasmi muscolari incontrollabili e visione multipla. Si può supporre che il problema si sia manifestato nuova­mente ma con tremori ancora più violenti, che potreb­bero avere fatto insorgere una convulsione da ossige­no, o reso impossibile l'effettuare i necessari cambi di gas. La sua morte rimarrà un mistero ed una tragica perdita per l'intera comunità speleologica.

Bowden, ultimo compagno di immersione di Sheck, esprime i suoi pensieri: "Mi sento amareggiato per le cattiverie e le futili speculazioni giunte da parte di "intenditori da poltrona". E sono invece toccato per tutti coloro che sembrano capire e che ingenuamente esprimono simpatia, senza l'esigen­za di cavare nulla dalla mia anima. Su Exley è stato scritto molto ed ancora più comparirà in futu­ro. Sono certo che alla fine egli rappresenterà per noi la storia e verrà riconosciuto come il pioniere che veramente fu. "

"Incontrai Sheck per la prima volta in Messico nel 1988 in occasione del suo record mondiale di immersione a 236 m, a Mante. Giunsi alla sorgen­te mentre lui era ancora sottacqua nella grotta. Era da solo in quell'enorme sistema. Il suo staff di supporto composto di sole tre persone, Ned De Loach, Sergio Zambrino e Angel Soto, stava attendendo il suo ritorno. In una disciplina ego-maniacale come la speleo-subacquea, dava un senso di freschezza il vedere un uomo che faceva fronte all'impossibile senza squilli di tromba ed entourage presidenziali come spesso accade con persone che tentano molto di meno. Sheck cercò la mia amicizia ed io cercai la sua per il medesimo motivo: eravamo entrambi dei solitari. Era l'unico esponente del gruppo speleo-subacqueo della Florida settentrionale che rispettava il mio lavoro. Lo stesso fece anche con altri esploratori di altre parti del mondo. Era enormemente interessato, umile e si adoperava per dare supporto a progetti dei quali la maggior parte di questi speleo-subac­quei "new age" non conosceva neanche l'esistenza. Avevamo un comune legame, un'ossessione, una passione... il nostro amore per l'esplorazione." "L'esplorazione era un'esigente dama che si era inserita sulla strada dei nostri rapporti con gli altri, e sapevo che avrebbe potuto causare enorme dolore a coloro che ci avrebbero amato. Potevamo trascorrere la maggior parte della nostra giornata su un progetto, senza neanche rivolgerci la parola. Le nostre personalità erano degli opposti perfetti. Egli era il più disciplinato uomo che avessi mai conosciuto, dotato di intelletto calmo e brillante. Dall'altra parte io ho 52 anni e ancora mi capita di trovarmi coinvolto in risse, a volte bevo troppo e insisto per avere ragione. Nonostante queste diversità, andavamo perfettamente d'accordo. Karen ed Ann ci dissero che sembravamo dei ragazzini che hanno trovato il più grande tesoro sulla terra quando scoprimmo che Zacatón era un sistema con profondità di classe mondiale. Credo veramente che entrambi non fossimo mai stati più vivi che in quei momenti di lavoro in una zona ancora vergine. "

"II Messico lo amava. Exley ne rispettava vera­mente la cultura e le tradizioni. Il ceto povero, rurale del Messico ha una straordinaria capacità nel riconoscere il coraggio, l'onestà e la sincerità. L'unica volta che ho permesso a me stesso di cedere all'emozione durante quelle giornate di desolazione e recupero, fu quando camminando sull'orlo di Zacatón vidi una semplice croce e dei fiori deposti lì dalla gente di El Nacimiento e di Higeron.

Sheck ha condotto la sua vita a testa alta, con pochi errori. Solamente la morte lo ha tradito, portandolo via di sorpresa. Il progetto Zacatón conti­nuerà. Non ci sono mai stati dei dubbi in merito. Tutti siamo stati d'accordo nel dire che sarebbe stato un insulto a Sheck se non l'avessimo portato avanti. Trovai questo sistema cinque anni fa e sospesi l'esplorazione per poter ottenere l'adde­stramento tecnico ed il supporto che l'avrebbero resa possibile. Fu Sheck a darmi tutto ciò. Certo, egli mi mancherà tantissimo, ma d'altronde ci immergevamo sempre da soli. Forse ora sarà ancora più vicino a me. "

II "Proyecto" continuerà i suoi tentativi in Messico dopo una breve pausa dovuta alla stagione delle piogge. Bowden si sente sicuro, dopo aver raggiunto i 280 m, che un’immersione a 300 m è possibile e perseguirà i suoi piani per il raggiungimento del fondo di Zacatón. Con l'utilizzo di Heliair, verrà ripreso anche il rilievo del passaggio profondo del Nacimiento Santa Clara. La squadra progetta anche di esplorare in modo continuativo le magnifiche grotte profonde della Sierra Madre Orientai, aggredendo i sistemi del Rio Choy, Rio Frio, Rio Sabrinos, Nacimiento Mante, Nacimiento Huichihuayan e molti altri.

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