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di Tecnica & Medicina

 

 

200. Le immersioni profonde e la sindrome neurologica da alta pressione (HPNS)

 

di Giorgio Caramanna (#)

 

L'HPNS è stata descritta e studiata per la prima volta verso la fine degli anni ’60 dal dottor Peter B. Bennet della Royal British Navy, che è anche il fondatore del Divers Alert Network (DAN).
Bennet iniziò una serie di immersioni sperimentali in camera iperbarica a profondità equivalenti a circa 250 metri, utilizzando l’Heliox (una miscela respiratoria composta da elio ed ossigeno) al fine di evitare la narcosi d’azoto e la tossicità d’ossigeno che si sarebbero manifestate respirando aria a profondità così elevate.

Durante queste immersioni alcuni inusuali segni e sintomi di malessere vennero evidenziati nei soggetti coinvolti negli esperimenti. I sintomi includevano tremori, perdita d’acume mentale e, nei casi più severi, vertigini, nausea e vomito. Segni simili vennero anche osservati nella sperimentazione animale, associati a convulsioni di tipo epilettico alle profondità più estreme.

La fenomenologia venne chiamata sindrome neurologica da alta pressione (HPNS cioè High-Pressure Neurologic Syndrome).

La sindrome è dovuta all’effetto diretto dell’alta pressione ambientale sul sistema nervoso dei subacquei che respirano Heliox o Trimix (una miscela ternaria composta da elio, ossigeno ed azoto) a pressioni superiori alle 13 atmosfere (equivalenti a profondità di oltre 120 metri) ed è acuita da compressioni veloci.

 

Che cosa sappiamo della HPNS

La HPNS è caratterizzata da una serie di alterazioni delle funzioni motorie, sensoriali, vegetative, metaboliche e cognitive, inclusi disturbi della memoria a breve e lungo termine. Analisi elettroencefalografiche hanno evidenziato una riduzione delle onde alfa e un aumento delle onde teta e delta. A profondità attorno ai 170-180 metri le alterazioni evidenziate dall’elettroencefalogramma ricordano quelle legate a fenomeni di narcolessia temporanea.

 

Dopo alcuni giorni di permanenza alla massima profondità è stato osservato un certo livello di adattamento, ma un completo ritorno a funzioni cognitive normali è stato ottenuto solo dopo la decompressione.

La procedura più efficiente per limitare gli effetti della HPNS sembra essere una compressione lenta, con una serie di soste; ma in ogni caso si è osservato che a profondità superiori ai 330 metri i sintomi della HPNS si manifestano comunque anche se si è usata una compressione molto lenta.

L’aggiunta di idrogeno e azoto alla miscela respiratoria di elio e ossigeno  riduce i tremori associati con la HPNS ma ha effetti narcotici alle alte profondità.

 

Nelle immersioni simulate in camera iperbarica dalla Duke University  nell’ambito del progetto "Atlantis" l’uso di Trimix con un 5% di azoto e una pressione parziale dell’ossigeno mantenuta a 0.5 atmosfere consentì ai subacquei di rimanere operativi fino alla profondità equivalente di 600 metri.

Durante la serie di immersioni "Hydra", condotte a Marsiglia dalla ditta francese COMEX, si raggiunse in camera iperbarica addirittura una profondità di 700 metri, usando una miscela respiratoria composta da 27% H², 65% He, 7% N² e 0.56% O² per un tempo totale di 42 giorni, 15 dei quali furono impiegati per raggiungere la massima compressione.

 

In un’immersione reale offshore i subacquei sono riusciti a lavorare ad una profondità di ben 520 metri respirando una miscela contenente il 47% di idrogeno con prestazioni simili a quelle ottenute in condizioni analoghe usando un Trimix alla profondità di 150-200 metri.

Gli effetti psicotici della HPNS, con allucinazioni visive e auditive e con forti alterazioni dell’umore, sono posti in relazione con l’azione narcotica cumulata dei vari gas inerti usati nella miscela respiratoria.

Questi effetti sono dovuti all’aumento di volume delle membrane cellulari a seguito della diffusione dei gas che entrano in soluzione nei lipidi. Quando un “volume critico” viene raggiunto si manifestano gli effetti neurologici della HPNS.

Teoricamente l’uso di Heliox come miscela respiratoria ha un limite massimo di profondità attorno ai 1000 metri, oltre il quale gli effetti della HPNS sarebbero debilitanti.

Studi su modelli animali hanno indicato la possibilità di utilizzare farmaci per limitare gli effetti della HPNS, aprendo quindi nuovi scenari per le immersioni ultra-profonde.

Sebbene le alterazioni legate alla HPNS spariscano una volta decompressi, gli effetti a lungo termine sul sistema nervoso sono frequentemente osservati durante le immersioni in saturazione profonde tra i 200 e i 500 metri. Questi effetti includono alterazioni dell’elettroencefalogramma, difficoltà di concentrazione e parestesia.

L’immersione Off-shore

L’impatto della HPNS sul lavoro offshore profondo è senz’altro un problema che pone dei limiti all’effettiva massima profondità alla quale è possibile operare. Il progresso tecnologico, con lo sviluppo di sistemi autonomi e robotizzati per il lavoro subacqueo, certamente ha ridotto la necessità di impegnare i subacquei a profondità eccessivamente elevate. Tuttavia, in diverse situazioni, la presenza umana è ancora essenziale; pertanto le ricerche sui metodi di controllo e riduzione dei rischi associati con la HPNS continuano ad essere tra le priorità della medicina iperbarica.

 

L’immersione profonda sportiva

Ovviamente la maggioranza dei subacquei sportivi non si troverà mai esposta a condizioni tali da incorrere nella HPNS, tuttavia alcuni dei sintomi sono stati riportati da subacquei impegnati in immersioni sportive profonde attorno ai 200 metri.

Un sistema adottato per limitare gli effetti della HPNS è di ridurre al minimo il tempo di fondo e risalire rapidamente alle quote di decompressione in modo da limitare l’esposizione a condizioni ambientali (alta pressione) che favoriscano la comparsa della HPNS.

Si ritiene che, in alcuni incidenti fatali che hanno coinvolto subacquei molto esperti, impegnati in immersioni ad alta profondità, la HPNS abbia giocato un ruolo importante, generando tremori tali da rendere impossibile il controllo dei movimenti e quindi impedire la reazione a situazioni di emergenza. La ricerca, naturalmente, continua…

 

(#) Giorgio Caramanna, geologo (PhD) e oceanografo, nel 2015 ha fondato la società di consulenza “GeoAqua” (www.geoaquaconsulting.com) anche al fine di condividere la sua esperienza di ricercatore e subacqueo scientifico, sensibilizzando l’opinione pubblica sui principali problemi ambientali. In possesso di una notevole esperienza in idrogeologia e geochimica, vanta oltre quindici anni di esperienza come subacqueo scientifico in una varietà di ambienti. Ha condotto diverse attività di ricerca ed è stato delegato del gruppo europeo di immersioni scientifiche. Ha lavorato come ricercatore presso molte istituzioni internazionali operando in ambienti multidisciplinari con diverse università. È autore di più di cinquanta articoli ed è revisore di riviste internazionali. Attualmente lavora negli Stati Uniti collaborando come consulente al “Woods Hole Oceanographic Institution”. Nel 2018 ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia Internazionale di Scienze e Tecniche subacquee. Non ultimo è main reporter della rivista on-line “Ocean4Future” dagli Stati Uniti.

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