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di Tecnica & Medicina

 

 

130.  DECOMPRESSIONE: miti o verità?

Aggiorna le tue conoscenze con una serie di domande.

 di Stefano Ruia  (da AlertDiver.eu, 2014; 56)

Molti subacquei pensano che la teoria della decompressione sia una scienza esatta. La loro opinione è forse dovuta al fatto che si parla di algoritmi, di compartimenti, di periodi di emisaturazione, in sostanza di matematica. Perfino i modelli decompressivi più recenti, che considerano anche il gas presente nel corpo in forma libera (VPM, RGBM, ecc.), sfruttano leggi fisiche, quale la legge di Laplace, per descrivere il comportamento delle bolle nel subacqueo in termini matematici avanzati. Sebbene la matematica sia sicuramente una scienza esatta (forse la più esatta di tutte), quello che a loro sfugge è che la teoria della decompressione ancora oggi non è altro che una simulazione matematica semplificata di complessi fenomeni biologici difficili da rappresentare fedelmente; quindi il modello matematico può anche dare risultati certi ed esatti, ma che la realtà si attenga a questi modelli è ancora da dimostrare. Semplificando il concetto possiamo dire che la biologia della decompressione … non conosce la matematica dei modelli decompressivi e si comporta come gli pare!

Per questo motivo vediamo che i modelli matematici sono continuamente revisionati, aggiornati, sostituiti, sempre nell’ottica di rappresentare più da vicino il comportamento reale biologico del fenomeno. Il dovere del subacqueo coscienzioso è quindi quello di aggiornarsi spesso, per restare al passo con le evoluzioni proposte dai ricercatori e validate in ambito scientifico. Altrimenti corre il rischio di mettere in pericolo la sua vita!

 

Approfittiamo quindi di quanto presentato all’annuale meeting della EUBS (European Underwater and Baromedical Society), cortesemente trascritto dal Dott. Pasquale Longobardi (Medical Director, Centro Iperbarico di Ravenna), per dare modo ai lettori di aggiornare le proprie conoscenze, con un simpatico test “vero” o “falso”.

1) La serie di periodi di emisaturazione dei modelli decompressivi tradizionali è ormai ben stabilizzata con la tradizionale 5, 10, 20,… minuti.

FALSO! Come riportato da J. Kot, la metanalisi dei modelli decompressivi evidenzia che ogni trenta anni circa c’è una significativa modifica dei periodi di emisaturazione senza che ciò faccia variare significativamente la probabilità di incidente da decompressione. Inoltre è stato valutato che il massimo periodo di emisaturazione per l’uomo, anche per le immersioni in saturazione, può essere assunto fra 360 e 420 minuti.

2) La curva di sicurezza (tempi limite di fondo – alle diverse profondità - per i quali non sono necessarie tappe di decompressione obbligate) indicata dai diversi computer d’immersione è sostanzialmente la stessa per molti strumenti.

VERO! Ma più che una prova dell’esattezza della teoria della decompressione è una conseguenza dell’adattamento dei modelli a una “curva di sicurezza” già sperimentata e che funziona abbastanza bene. Perfino nei modelli decompressivi più recenti, quelli che considerano anche il gas presente nel corpo in forma libera (VPM, RGBM, ecc.), sono stati inseriti meccanismi di aleatorietà (algoritmo del volume critico, raggio critico) che permettono di adattare il modello ai risultati sperimentali.

3) La decompressione indicata dai diversi computer prodotti per le immersioni tipiche dei subacquei sportivi è poco differente.

QUASI VERO! In Europa sono venduti circa 50 modelli di computer, ma nessun produttore indica chiaramente come lo strumento calcoli la decompressione. Anche le norme europee per la certificazione dei computer non tengono conto del modello decompressivo. M. Sayer ha testato 43 computer con immersione singola quadra tra 15 e 30 metri con un tempo di decompressione totale tra 0 e 30 minuti. Nel 94,9% dei test la differenza dei tempi di decompressione era entro ±10%. In alcuni casi (1%) la variazione era superiore al 25% rispetto al tempo medio calcolato dagli altri computer. Per esempio, nell’immersione alla profondità di 15 metri la variazione massima del limite della curva di sicurezza è stata di ben 24,3 minuti tra il computer più permissivo e quello più conservativo.

I computer più conservativi sono risultati (in ordine di conservativismo decrescente): Mares Icon HD, Mares con algoritmo RGBM, Uwatec con algoritmo Bühlmann; Suunto con algoritmo RGBM. I meno conservativi (cioè i più permissivi) sono risultati gli Oceanic con algoritmo Bühlmann/DSAT.

4) Per gestire immersioni con tappe di decompressione obbligatorie di breve durata un computer d’immersione è sufficiente ai subacquei ricreativi.

FALSO! Durante i test effettuati da M. Sayer, citati nella precedente domanda, su 1.031 ore di lavoro, ci sono stati 28 cambi di batterie e 19 blocchi degli strumenti, specialmente a causa delle batterie. Quindi risulta chiaro che se i computer sono utilizzati per controllare vere immersioni con tappe di decompressione obbligatorie è molto meglio che ogni subacqueo disponga di almeno due strumenti (come misura correttiva del rischio di malfunzionamento batteria). Inoltre un evento di blocco/esaurimento batterie si può avere anche in caso di immersione con un solo computer nei limiti della curva di sicurezza; è bene quindi che nei corsi subacquei sia insegnata una valida procedura da seguire in caso di guasto al computer.

5) L’immersione con miscele ad alto tenore di ossigeno produce danni al DNA.

FALSO! Come esposto da J. Witte, sebbene in polimorfonucleati isolati (in “cultura”) il danno al DNA è correlato con la pressione parziale dell’ossigeno, in immersioni reali (in “vivo”) i subacquei che si immergono respirando frequentemente miscele ricche di ossigeno riportano minori danni al DNA rispetto a chi si immerge respirando aria. L’effetto protettivo si annulla quando l’intervallo tra immersioni successive supera le tre settimane.

6) È sconsigliato praticare attività fisica mediamente impegnativa (palestra, corsa, ecc.) prima di una immersione ad alto stress decompressivo (tappe di decompressione obbligate, multilivello ai limiti della curva di sicurezza, ecc.).

FALSO! L’iperossia sempre presente in immersione aumenta la produzione di radicali liberi, che sono la causa di diverse patologie. Il loro principale danno si manifesta generalmente a livello dell’endotelio dei capillari. La loro nocività è contrastata da numerosi “scavanger”, serie di enzimi atti all’arresto della cascata di reazioni dei radicali liberi. A. Brubakk ha riportato che una sessione di esercizio fisico mediamente impegnativo svolta 24 ore prima di una immersione ad alto stress decompressivo aiuta a combattere i radicali liberi e riduce significativamente il grado doppler delle bolle rilevate dopo l’immersione. Tuttavia evidenze sperimentali indicano che una sessione di esercizio fisico mediamente impegnativo svolta subito prima di un’immersione rende maggiore la formazione di microbolle all’uscita dall’acqua. È bene quindi attenersi all’intervallo di 24 ore utilizzato negli studi di Brubakk.

7) È sconsigliato praticare esercizio fisico dopo un’immersione.

VERO! D. Madden ha esaminato 23 subacquei che si erano immersi a 18 metri per 47 minuti; immediatamente dopo la emersione è stata effettuata una ecocardiografia transtoracica a riposo e sotto sforzo (cicloergometria) mentre veniva osservato l’eventuale problematico passaggio di bolle dal circolo venoso a quello arterioso. Sono stati rilevati 3 shunt destra/sinistra – con passaggio di bolle nelle arterie - già a riposo e 12 shunt destra/sinistra durante lo sforzo, mentre in 8 subacquei non vi era shunt. Quando necessario, la somministrazione di ossigeno ha immediatamente bloccato lo shunt, rispetto alla sola respirazione di aria. In pratica lo sforzo facilita lo shunt destra/sinistra senza aumentare il numero di bolle (lo sforzo non aumenta le bolle ma apre il passaggio). In conclusione anche uno sforzo lieve, come nuotare dal punto di emersione alla barca indossando l’attrezzatura, può attivare uno shunt destra/sinistra altrimenti latente.

8) È possibile ridurre la formazione di bolle dopo l’immersione con sistemi preventivi da attuare prima della stessa.

VERO! La formazione delle bolle in immersione dipende da quattro fattori: accumuli di gas sull’endotelio (“gas pocket”), precondizionamento, condizioni del subacqueo, variabili dell’immersione (ambientali). J. P. Imbert enfatizza l’importanza del precondizionamento, fattore facilmente gestibile. Il precondizionamento con respirazione di ossigeno riduce la formazione delle bolle. Hanno effetto protettivo anche: la sauna, che determina vasodilatazione neuromediata; la vibrazione, che determina vasodilatazione attraverso il monossido di azoto; l’esercizio fisico, che determina vasodilatazione per entrambi i meccanismi. (Per un approfondimento sul tema leggi l'articolo "Precondizionamento e PDD", pubblicato su Alert Diver #51).

9) Se si rispettano le indicazioni del computer d’immersione o delle tabelle è impossibile subire una PDD.

FALSO! Come riportato da M. Pieri del DAN DSL, il DAN ha elaborato 58.256 profili di immersioni (75% maschi, 25% donne, con età media 35,6 anni). Le immersioni esaminate sono state svolte a profondità fra 5 e 192 metri. La miscela respirata nel 91,3% dei casi era aria, nel 5,14% nitrox e nel 3,56% trimix. L’analisi del Gradient Factor (GF), inteso come percentuale del valore M (massima saturazione tollerata dal compartimento più critico, quello che controlla l’immersione), evidenzia che gli incidenti sono avvenuti nell’ambito di immersioni con profilo decompressivo conservativo (80% GF). Nel 2013 l’analisi è arrivata a considerare 260 incidenti decompressivi, ottenendo un GF medio a rischio 0,79 (cioè gli incidenti avvengono, pur rispettando le indicazioni del computer, quando si raggiunge il 79% del valore M). Non è stata rilevata differenza tra algoritmi decompressivi tradizionali e algoritmi a controllo delle bolle. L’età media dei subacquei incidentati è 42 anni. La profondità media delle immersioni con incidenti era tra 40-45 metri. Era presente una differenza dell’incidenza di patologie decompressive tra i sessi: maschi 0,03%; donne 0,08%. L’analisi evidenzia che gli incidenti sono prevalentemente immeritati e non dovuti a errore umano.

L’incidente decompressivo è insomma ancora un’eventualità che tutti i subacquei devono considerare!

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