Torna all'indice

di Tecnica & Medicina

 

 

119.  Configurazione adeguata e addestramento alle emergenze: una priorità per tutte le immersioni

 di ROLANDO DI GIORGIO - Examiner UTR Tek  (articolo tratto da: http://www.underwaterevolution.it )

 

(N.B. nomi e circostanze del racconto sono di fantasia, qualsiasi eventuale riferimento a persone o fatti realmente accaduti è del tutto casuale)

 

Un’immersione come tante, è una bella giornata di Giugno, l’aria è tersa, il cielo è azzurro e il mare, leggermente accarezzato da una debole brezza è appena increspato, anzi quando l’alito di vento ogni tanto cessa, diventa addirittura liscio come uno specchio.

Sotto la superficie l’acqua appare cristallina e la visibilità in quel punto raggiunge il suo picco migliore: non c’è dubbio, la giornata ideale per un’immersione sul bellissimo relitto che giace a 35 metri di profondità in perfetto assetto di navigazione.

Marco e Alessio si preparano per l’immersione, Andrea, il proprietario del diving, al comando del suo potente gommone li ha portati con una morbida planata esattamente sopra il relitto che si trova a meno di un miglio dalla costa.

Una capovolta e sono in acqua, la corrente è praticamente assente ed il cavo del pedagno è verticale fino al fondo. Marco e Alessio sgonfiano il gav e scendono velocemente fino al punto dove è fissato il pedagno: ovvero sulla battagliola al centro nave, sul lato di dritta. Una rapida occhiata per orientarsi e inizia l’immersione. Del resto Marco conosce bene quel relitto, dove ha già fatto almeno una decina di immersioni, così iniziano a pinneggiare dirigendosi verso la poppa.

La vecchia nave, che giace su un fondale fangoso, nel corso del tempo è stata parzialmente inghiottita dal fondo stesso, cosicché le eliche sono impossibili da vedere, perché giacciono sotto qualche metro di fango, ma la parte visibile dello scafo è costellata da interessanti incrostazioni e le gorgonie, insieme alle spugne che hanno attecchito su diversi punti delle strutture corrose, l’hanno rivestito di una nuova livrea colorata.

Marco sta osservando una cernia di grossa taglia che, sorpresa dal fascio luminoso della sua lampada, con un colpo di coda sparisce nei meandri del relitto. Tutto attorno è molto bello: la luce azzurra che avvolge lo scafo della vecchia nave, nuvole di Anthias che colorano ogni scorcio, un paio di aragostine che fanno capolino dalla sede di un oblò, e poco più in là si nota il portello di ingresso per la sala macchine aperto in maniera invitante.

I due si fanno un cenno d’intesa e decidono di entrare… le lampade squarciano il buio all’interno del relitto e appare il percorso grigliato della passerella sulla quale un tempo camminavano gli ufficiali di macchina.

Un’occhiata ai manometri decreta 180 bar per Alessio e 160 bar per Marco, che prima, nel tentativo di raggiungere la cernia era andato in affanno. “Tanto facciamo solo un giretto… l’aria è più che sufficiente”, pensa Marco. Dopo pochi istanti e qualche metro di pinneggiata, Alessio avvista un grosso grongo che fa capolino da un ammasso di lamiere contorte, un segnale con la lampada e Marco accorre a vedere: “Mamma mia quant’è grosso!!”.

Nella testa dei due subacquei c’è spazio solo per le belle sensazioni ed emozioni che stanno provando in quel momento, ma il bel quadro è improvvisamente turbato: un’improvvisa colonna di rumorose bolle d’aria fuoriesce impetuosamente dall’attrezzatura di Marco. Sembrano fuoriuscire dappertutto, la testa di Marco è avvolta dalle bolle e Alessio fa fatica a capire da dove provengano: “Non c’è tempo da perdere – pensa – bisogna fare qualcosa!”, mentre Marco, si sta rendendo conto che il suo octopus ha una grossa perdita su una delle fruste, ma non capisce bene quale.

Il rumore delle bolle è terrificante, Marco sa benissimo che il suo monobombola da 15 litri sarà presto vuoto e forse non avrà nemmeno il tempo di raggiungere la superficie!  Alessio tenta una manovra di soccorso…

L'immersione subacquea è un’attività ad intensivo utilizzo di attrezzature, svolta in un ambiente dove la nostra stessa vita dipende dal supporto di quelle attrezzature. Non deve quindi sorprendere che siano molte le argomentazioni e le discussioni su quale tipo di attrezzature e soluzioni siano più efficienti e sicure.

Spesso i dibattiti più accaniti si concentrano proprio su come configurare le proprie attrezzature. Questi dibattiti sono certamente più accesi nella comunità dedita alla subacquea tecnica, ma la scelta e la configurazione degli equipaggiamenti sono argomenti la cui importanza è avvertita a ogni livello di attività subacquea.

In alcuni casi il dibattito può nascere su questioni fondamentali come il tipo di gav da raccomandare ai subacquei neofiti, la posizione in cui tenere l'erogatore da passare al proprio compagno in caso di difficoltà o emergenza (ad esempio, dalla bocca, da una tasca, o da un sistema ritentore).

Certamente anche i due protagonisti della storia di fantasia poc’anzi menzionata avranno partecipato in un modo o nell’altro a discussioni come queste e ovviamente avranno tratto le loro conclusioni. Avranno tratto le conclusioni giuste?

Negli ultimi anni un’idea si sta facendo sempre più comune: “subacquei configurati in modo uguale e che s'immergono con attrezzature e procedure similari, sono più efficienti ed efficaci nell'affrontare situazioni d'emergenza o nel riconoscere problemi nell'attrezzatura del compagno.”

Ad esempio, se il vostro compagno porta l'erogatore di emergenza in una tasca chiusa con il velcro, mentre il vostro è disposto attorno al collo, un potenziale problema di confusione potrà più facilmente avere luogo in quanto ognuno, in una situazione d'emergenza per mancanza d'aria, reagirà in modo diverso a secondo della configurazione adottata.

I subacquei più esperti e avanzati hanno, ormai, da molto tempo compreso che, in una situazione d'emergenza, una reazione confusa o ritardata costituisce un rischio inaccettabile.

Sfortunatamente permane l'errata convinzione che la standardizzazione delle attrezzature, l'esigenza di mantenere una configurazione "pulita" e l'attenzione per i dettagli, siano concetti importanti solo per la subacquea tecnica o per altri tipi d'immersione in condizioni estreme. In realtà, una configurazione semplice e universale risulta di beneficio, anche maggiore, per subacquei la cui esperienza è limitata e le immersioni sono di tipo "turistico".

Ma torniamo ai nostri due subacquei impegnati a gestire l’emergenza. Alessio si avvicina a Marco, il quale, ormai in preda al panico, si catapulta addosso al suo amico alla ricerca di una fonte d’aria dalla quale poter respirare. Vede l’erogatore appeso al collo di Alessio e tenta di tirarlo a sè, ma la ridotta misura della frusta collegata a tale erogatore gli impedisce di poterlo portare alla bocca, così gli sfugge di mano inutilizzato; ma Marco sta ancora respirando dal suo erogatore! È confuso e non capisce che la situazione potrebbe essere gestita con più calma: l’aria si sta rapidamente esaurendo ma ci sono ancora una cinquantina di bar. Sarebbe più proficuo tentare di collaborare con Alessio anziché strappargli il primo erogatore a portata di mano!

Alessio fortunatamente ha l’erogatore primario con la frusta lunga due metri, studiata apposta per prestare soccorso al compagno e sta tentando di offrire a Marco l’erogatore dal quale lui stesso stava respirando, sicuro di poter passare al secondario appeso sotto al collo. Marco nella confusione, alla fine prende l’erogatore con la frusta lunga offerto da Alessio, ma ha strappato l’elastico che teneva il secondario di Alessio sotto al collo e adesso è Alessio che non trova più l’erogatore dal quale respirare! Alessio deve fare appello a tutta la sua freddezza per "isolarsi" dal caos delle bolle che stanno esaurendo la bombola di Marco eda i movimenti scoordinati di Marco in preda al panico. Ormai la visibilità all’interno della sala macchine si è molto ridotta a causa della sospensione sollevata dai due e dalla ruggine che le copiose bolle stanno facendo cadere dal soffitto del locale interno alla nave. Alessio allunga una mano verso la sua rubinetteria e seguendo la frusta dell’erogatore lo recupera e se lo porta alla bocca inspirando profondamente per la prolungata apnea alla quale era stato costretto. Un misto di aria e acqua gli si riversa nella bocca, ma dopo due o tre atti respiratori, Alessio riesce a espellere tutta l’acqua e a riprendere il controllo della regolare respirazione.

Bisogna uscire! Questo è l’imperativo. Si intravede nel torbido l’alone di luce esterna che filtra dal portello dalla sala macchine e i due, in qualche modo, iniziano a guadagnare l’uscita.

Quanto tempo sono rimasti all’interno del relitto? A che profondità erano? Dovranno fare decompressione per la risalita? Potranno permettersi di ritrovare la cima di risalita o dovranno tentare una risalita nel blu? Ma, soprattutto, quanta aria hanno a disposizione? Basterà per tutti e due?

Teoricamente un buon addestramento avrebbe dovuto fornire la chiave per avere la risposta a tutte queste domande, una risposta che non può arrivare all’improvviso nel buio di una torbida sala macchine dove, nella concitazione dei movimenti volti a risolvere il problema, rimane improbabile se non quasi impossibile leggere gli strumenti e trarne le corrette conclusioni improvvisando un piano di emergenza, ma deve provenire da una corretta pianificazione della gestione dell’immersione e delle eventuali emergenze.

Prima di tutto: l‟ingresso all’interno del relitto era previsto? E il calcolo della scorta d’aria era stato pianificato? Inoltre: com’era stata pianificata la soluzione di un’emergenza?

Facciamo un passo indietro nella giornata di Marco e Alessio. Abbiamo detto che Andrea li ha portati velocemente sul relitto piuttosto vicino alla costa. D’altra parte sia Marco sia Alessio, erano arrivati con sommo anticipo al diving per preparare la loro attrezzatura. Durante l’assemblaggio dell’attrezzatura è stato loro offerto il consueto caffè da parte di Marina, la compagna di Andrea, che si occupa della gestione "a terra" del diving e che si adopera per rendere il più confortevole possibile la permanenza dei subacquei. Così Marco e Alessio sorseggiando il loro caffè si sono scambiati opinioni sulla loro configurazione.

I due avevano iniziato insieme il corso Open Water Diver cinque anni fa proprio con Andrea, istruttore di quel diving, ed avevano organizzato quell’immersione per ricordare i vecchi tempi e passare una piacevole giornata fra vecchi amici.

Marco, dopo il corso Open, frequentato cinque anni prima, ha proseguito i suoi addestramenti con lo stesso Andrea, prendendo a seguire il brevetto Advanced, il Rescue ed infine il Dive Master. Così nel giro di tre anni, ogni tanto si adoperava per dare una mano ad Andrea nell’accompagnare i clienti subacquei nelle immersioni più "facili".

Alessio, dopo il corso Open, per motivi di lavoro si è trasferito al Nord, dove ha avuto occasione di proseguire la sua carriera subacquea presso un diving sulle rive del Lago Maggiore. Proprio durante le sue immersioni al lago ha avuto occasione di conoscere alcuni subacquei tecnici che spesso si recavano lì per le loro immersioni di allenamento. Anche Alessio ha raggiunto il livello di Dive Master, ma in realtà non si è mai dedicato ad accompagnare i subacquei in acqua lavorando per un diving. Piuttosto è rimasto affascinato dalle metodiche d’immersione di quel gruppo di sub tecnici del lago, e spesso si è unito a loro nelle immersioni imparando le loro tecniche e "rubando con gli occhi" la loro configurazione.

Perciò i due, che avevano iniziato ad avvicinarsi alla subacquea con le stesse modalità, di fatto ora, beneficiano di iter di apprendimento differenziati. Così durante la preparazione delle attrezzature si scambiano commenti e racconti circa le loro esperienze, osservando in maniera un pò critica l’uno l’attrezzatura dell’altro.

E così Marco attacca: “Alè ma ‘ndò vai con quella frusta così lunga!! …è la solita immersione che facevamo insieme tanti anni fa: muta umida, monobombola, un bell’octopus e stai apposto! Piuttosto, hai visto le mie nuove pinne bianche?”

Alessio: “Belle le tue pinne, guarda, sono identiche alle mie, solo che io le ho prese nere… però, vedi, la frusta lunga non mi da fastidio, la giro qui sotto la batteria della lampada, poi sale girando intorno al collo e il secondo stadio è disponibile per l’utilizzo. Piuttosto te, la smetti di andare in acqua con l’octopus?!! Ma quando te lo fai un altro secondo stadio? È più sicuro!”

Marco: “Ma dai… mica mi starai diventando anche tu un integralista di questo tipo?! E poi lo sai, io non c’ho i soldi che hai tu, mi posso permettere solo questo e tanto sono cinque anni che vado in acqua e non mi è mai successo nulla! … ma tu hai mai visto un primo stadio che va in avaria sott’acqua? E poi oggi siamo tutti e due col monobombola! Che te ne fai dei tuoi erogatori stile sub tecnico?”

Alessio: “Veramente… più che altro servono se c’è una perdita.”

Marco: “Ma quale perdita e perdita! Dai, datti una mossa a montare tutta quella roba sul gruppo che Andrea è già pronto col gommone!”

Alessio: “Ok ma sul mio monobombola monto lo stesso due primi stadi, mi sento più sicuro. A proposito, tieni ancora l’erogatore secondario nella tasca del gav?”

Marco: “E dove lo dovrei mettere senno? Io c’ho l’octopus classico e come da standard lo tengo all’interno dell’immaginario triangolo vitale. Lo dicono tutte le didattiche, mica io!!”

Alessio: “Vabbè, vabbè, ho capito… Dai prendi il gruppo e portiamolo sul gommone altrimenti si fa tardi. Di usare il Nitrox manco te lo accenno altrimenti ricominci a prendermi in giro...”

Così Marco e Alessio dopo aver caricato tutto sul gommone, salgono a bordo e abbandonando la loro conversazione sull’attrezzatura, durante il tragitto parlano di come sarà la loro immersione sul relitto:

Alessio: “Il relitto è già pedagnato?”

Risponde Andrea: “Il relitto è pedagnato nella parte centrale, sulla murata di dritta, vicino alla torretta della mitragliatrice.”

Marco: “Ovviamente andiamo a dare un’occhiatina dentro vero Alè! Dai che le ultime due volte sono sceso con dei pivellini e non sono potuto entrare.”

Alessio: “Ma siamo col monobombola... non so se è il caso… eventualmente vediamo quanta aria abbiamo prima di entrare…”

Marco: “Si, dai controlliamo i manometri e ci diamo l’ok, anzi entriamo subito, così abbiamo di sicuro molta aria a disposizione”

A questo punto Andrea assicura il gommone alla cima del pedagno e, avendo molta confidenza sia con Marco sia con Alessio si rivolge loro dicendo: “Bene, il relitto lo conoscete, la giornata è spettacolare, non abbiamo altra gente con noi, mi raccomando non fate stupidaggini, per il resto so che siete bravi, quindi non c’è bisogno che vi dica nulla. Divertitevi, io intanto approfitto per prendermi un pò di sole!”. Dopo qualche istante i due entrano in acqua….

Facciamo un’analisi di quanto è accaduto:

Marco e Alessio hanno avuto subito una divergenza di opinioni che sottolineava la loro evidente diversità nell’equipaggiamento e nella gestione dell’immersione.

Nessuno dei due ha minimamente accennato a un piano di emergenza in caso di pericolo e nel briefing iniziale non sono state fatte pianificazioni di nessun tipo.

Alessio non era molto convinto di entrare nel relitto, perché a suo avviso il monobombola dava una ridotta sicurezza, ma poi quando si è trovato di fronte al portello della sala macchine, è stato il primo a varcare l’ingresso, senza nemmeno chiedere a Marco la sua riserva d’aria.

Marco d’altra parte, ha spinto Alessio a disinteressarsi di lui, schernendolo in ogni suo tentativo di parlare di prudenza o di spiegare le sue procedure di sicurezza.

Alessio al lago ha acquisito nuove informazioni ma non ha fatto un corso per imparare a gestire la sua nuova configurazione, bensì si è basato su quanto è riuscito a carpire con gli occhi e le orecchie stando in compagnia dei suoi amici del Lago Maggiore.

In altre parole Marco e Alessio si sono immersi fidandosi reciprocamente della loro esperienza, ma affidandosi alla sorte, perché non hanno condiviso nessuna procedura d’immersione o di emergenza, non si sono spiegati in merito ad un’eventuale situazione di condivisione aria, non hanno pianificato la riserva di gas per far fronte a un’emergenza in penetrazione, non hanno stabilito una profondità massima, né un tempo di fondo e nemmeno la pressione residua in bombola oltre la quale iniziare comunque la risalita. Non hanno neanche affrontato l’argomento decompressione. In effetti non sono sicuri se la loro immersione sarà entro i limiti della curva di sicurezza o necessiterà di soste obbligatorie per la desaturazione dell’azoto accumulato in immersione. Nelle bombole hanno aria e alla profondità d’immersione alla quale si trova il relitto, uscire di curva è la cosa più semplice del mondo: 30-35 metri, un’immersione "ricreativa" ma secondo la tabella Bühlmann a 30 metri dopo 17 minuti si è fuori dai limiti di non decompressione, quindi, niente di più facile che trovarsi a dover gestire un’immersione con decompressione quando si era partiti pensando di fare semplicemente "un giretto su un relitto".

Il monobombola di Marco ormai è vuoto, lo si deduce dal fatto che l’aria ha ormai smesso di fuoriuscire e i due in un modo o nell’altro si stanno portando fuori dal relitto respirando dall’unica bombola disponibile: il 15 litri sulle spalle di Alessio.

Quando sono fuori dal relitto la situazione è tutt’altro che rosea, nel frattempo si è formata una fastidiosa corrente che sebbene sembri favorirli, perché tira nella direzione della cima di risalita, contemporaneamente ha intorbidito l’acqua intorno al relitto, che sembra piombato in un banco di nebbia.

Alessio d’istinto guarda gli strumenti: profondità massima37 metri; tempo di fondo 18 minuti; profondità attuale 30 metri; pressione residua in bombola 60 bar. La concitazione della manovra di emergenza ha mandato in grave affanno entrambi i subacquei che all’interno della sala macchine e durante il percorso per uscirne, hanno ventilato molto velocemente e in maniera affannosa, sprecando moltissima aria preziosa. Durante l’emergenza, inoltre, senza saperlo, sono scesi più profondi del livello stesso del fondale, entrando nella zona "affogata" nel fango.

Ora hanno uno spinoso problema da risolvere: 15 minuti di deco segnati sul computer e solo 60 bar in bombola da condividere in due!

La cima di risalita è troppo lontana per raggiungerla seguendo il relitto, si consumerebbe altra aria preziosa! Alessio decide di tentare una risalita in libera, facendosi trasportare dalla corrente nella direzione della cima fissata al pedagno. Così iniziano a risalire. La consapevolezza che l’aria a disposizione è insufficiente li spinge ad effettuare una rapida ascesa fino ai 15 metri, dove cessa la corrente e la visibilità migliora tanto da tornare quella di prima.

Un colpo di fortuna li assiste e Marco nota la cima di risalita poco più avanti. I due immediatamente la raggiungono risalendo alla quota di 10 metri: mentre si avvicinano intravedono una sagoma scura lì vicino.

Andrea, che si era ripromesso di prendere il sole sul gommone, caratterizzato dalla sua indole "operativa" aveva invece deciso di organizzare una bombola di emergenza sotto il gommone nei pressi della cima di risalita. Si era ricordato di aver sentito Marco che insisteva per perlustrare il relitto all’interno e così ha riflettuto: “Non si sa mai...” e dopo aver collegato un octopus alla 15 litri che aveva di riserva sul gommone, l’ha calata in acqua alla profondità di circa 9 metri.

La sagoma scura che aveva iniziato a materializzarsi alla vista di Alessio e Marco, infatti, è la loro salvezza: la bombola calata in acqua da Andrea! I due, con l’aria ormai esaurita nel monobombola sulle spalle di Alessio, la aprono velocemente e con il cuore in gola e l’adrenalina che li ha sfiniti si abbandonano a respirare dalla bombola di emergenza completando tutta la decompressione a loro carico.

Ed ecco il lieto fine ad un’immersione che Alessio e Marco non dimenticheranno mai. Una serie di eventi fortunati ha scongiurato il peggio, ma quell’immersione poteva finire in tragedia.

A proposito, ma cosa aveva dato origine alla copiosa perdita d’aria? Una volta sul gommone Andrea esamina l’attrezzatura di Marco, apparentemente senza danni; ma il danno c’era eccome, dato che in pochi minuti la bombola si è completamente svuotata! Andrea sa bene che dopo molti anni di utilizzo, le fruste possono avere un danno vicino al loro attacco sul primo stadio, così sfila il salva frusta e mette a nudo una grave lesione del tubo in gomma proprio all’attaccatura del suo raccordo metallico.

Ma ora dovranno chiedersi: SI POTEVA EVITARE TUTTO CIÒ? Ed eventualmente COME?

Abbiamo detto prima che un buon addestramento avrebbe dovuto fornire la chiave. Effettivamente ci sono diversi punti su cui riflette, che avrebbero richiesto uno specifico addestramento e attrezzature specifiche:

1. In primis il subacqueo più esperto è quello che sa anche rinunciare all’immersione se le circostanze lo richiedono. Essere fortemente in disaccordo su procedure e attrezzature utilizzate non è di nessun beneficio se poi le si adoperano lo stesso. Alessio era a disagio per l’approccio di Marco a quell’immersione, eppure non solo è sceso in acqua, ma non ha esitato ad entrare in sala macchine!

2. La standardizzazione dell’attrezzatura e della configurazione avrebbe offerto un punto di forza, impedendo ai due di fare confusione nel momento del soccorso da parte di Alessio: ricordate che Marco ha strappato l’erogatore sotto al collo di Alessio complicando la situazione. Se i due fossero stati configurati in modo identico non ci sarebbero state incertezze su quale degli erogatori sarebbe stato utilizzato per offrire soccorso. Quando saliamo su una qualsiasi automobile non ci chiediamo mai dove si trova il cambio, il volante o il freno. La sicurezza di avere ogni cosa al suo posto ci permette di reagire in maniera rapida ad ogni situazione che ci si presenti nel traffico. Sott’acqua, dove in ogni istante la nostra vita dipende dall’attrezzatura che indossiamo, ciò riveste un’importanza ancora maggiore!

3. La pianificazione dell’immersione: quella dei due protagonisti della nostra storiella, non era una tranquilla immersione entro la curva di sicurezza. Profondità e condizioni ambientali hanno tratto in inganno. La penetrazione in un relitto rende automaticamente l’immersione senza accesso diretto alla superficie, in più spesso la profondità massima raggiunta all’interno di un relitto è superiore a quella del fondo sul quale poggia, in quanto parte dello scafo "affonda" sotto i sedimenti del fondale.

4. Tipo di bombola e relativa capacità: i due sub avrebbero dovuto prevedere un’eventuale emergenza e adeguare la scorta d’aria respirabile includendo una ridondanza necessaria per farvi fronte. Avrebbero dovuto prendere in considerazione la possibilità di avere un equipaggiamento adeguato: ad esempio l’utilizzo di un bibombola con primi stadi separati avrebbe permesso a Marco di risolvere da solo il problema chiudendo immediatamente il rubinetto al quale era collegato l’erogatore con la frusta che perdeva arrestandone la perdita.

5. Essere addestrati secondo precise procedure d’immersione: la scorta d’aria è il perno principale sul quale ruota la possibilità d’immersione. Profondità, tempo di fondo, eccetera, sono tutte cose che ne devono tener conto. La pianificazione dell’immersione dovrebbe includere una previsione delle frazioni di utilizzo della propria scorta d’aria e una condivisione della propria autonomia con quella del compagno. Indubbiamente bisogna adeguare l’immersione alla scorta d’aria e non affidarsi alla buona sorte. Sperare che "tutto vada bene", solo perché prima d’ora non è mai successo nulla, è un ragionamento che non regge: se rimanessimo indenni dopo aver attraversato dieci volte la strada senza controllare i veicoli che sopraggiungono, sarebbe folle farlo per l’undicesima volta supponendo che sia una cosa sicura a causa delle dieci esperienze precedenti: potrebbe essere l’ultima! Eppure spesso fra i subacquei è diffuso proprio questo tipo di approccio superficiale.

6. Essere addestrati secondo precise procedure di emergenza, significa aver fatto proprie, e quindi studiato, esaminato, discusso, provato e capito delle procedure standardizzate e testate opportunamente da esperti che ne hanno comprovato l’efficacia. Procedure di autosoccorso e di soccorso, nelle quali non ci deve essere dubbio sulla sequenza di intervento e sulla reale esecuzione. Sono procedure che fanno perno su un’adeguata configurazione ed un efficiente sistema di coppia. Due sub che scendono in acqua configurati differentemente e senza procedure pianificate non sono una coppia: sono solo due sub in acqua nello stesso posto, nello stesso momento!

7. Scegliere i gas adeguati per l’immersione che ci si accinge a fare. L’aria, a parte la sua facile reperibilità e il costo praticamente inesistente, non ha nessun pregio nelle applicazioni pratiche in immersione e quindi la maggior parte delle volte non è il miglior gas da respirare sott’acqua.

Il concetto di “Best Mix” prevede un’accurata conoscenza da parte del subacqueo dei benefici di respirare miscele Nitrox e Trimix in base alle quote operative. Alessio aveva in mente di utilizzare una miscela Nitrox che a quelle quote avrebbe permesso loro di accumulare meno decompressione grazie alla ridotta percentuale di azoto respirato e quindi saturato durante l’immersione, ma Marco non utilizzava il Nitrox.

8. Come far proprio tutto questo bagaglio? È indispensabile un percorso formativo: saper "rubare con gli occhi" e partecipare a ragionamenti fatti da gente più esperta, può essere una buona cosa, ma sicuramente non è sufficiente una chiacchierata a bordo lago o uno scambio d’impressioni su di un forum per apprendere specifiche procedure tecniche. È indispensabile scegliere un serio e preparato istruttore, con il quale fare un corso specifico e poi continuare a mantenersi aggiornati e informati su procedure e configurazione.

9. La manutenzione del proprio equipaggiamento è fondamentale: la frusta logora di Marco si è rotta in un punto non visibile (mascherato dal salva frusta) e probabilmente Marco da tempo non esaminava accuratamente i suoi erogatori. Una metodica manutenzione avrebbe evidenziato segni di cedimento. Non esitiamo a sostituire una frusta che ci sembra difettosa o logora! Ed evitiamo di "appesantire" la nostra configurazione con accessori che potrebbero mascherare, nascondere o innescare rotture o malfunzionamenti, soprattutto se si tratta degli erogatori!

Abbiamo vissuto le varie fasi di un’emergenza subacquea, che ha trasformato una piacevole immersione in un tiro alla fune con la vita; abbiamo esaminato dettagliatamente le varie fasi di ciò che è successo prima, durante e dopo l’immersione; abbiamo analizzato dettagliatamente gli errori e le superficialità che hanno contribuito ad aggravare il problema. Abbiano anche cercato la causa d’innesco del problema, ora non rimane che tirare le somme ed evitare di trovarci in una situazione dello stesso tipo.

Chiediamoci: “Sono un subacqueo a rischio? Al posto di Alessio o Marco, cosa avrei fatto? Quali sono le mie procedure di emergenza? Qual è la configurazione con la quale io e i miei compagni di immersione scendiamo in acqua?”

Ricordiamoci che adottare una configurazione adeguata ed essere accuratamente addestrati alle procedure d’emergenza potrà fare la differenza in caso di una vera emergenza!

Questo tipo di approccio assicura il massimo successo tanto per i subacquei principianti quanto per quelli impegnati in immersioni profonde nei mari freddi. Le capacità del subacqueo devono diventare istintive, in modo da reagire istantaneamente a una possibile situazione di emergenza. Quindi gli esercizi di esaurimento aria, lancio del pedagno e uso del rocchetto devono essere provati quasi in ogni immersione. Tutto ciò contribuirà a formare la nostra consapevolezza situazionale: siamo noi a condurre l’immersione e a sapere cosa succede e cosa succederà momento per momento.

Essere consapevoli significa essere più sicuri, ed essere più sicuri è sinonimo di maggior divertimento nelle nostre immersioni.

Torna su all'inizio della pagina