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di Tecnica & Medicina

 

Tecnica & Medicina Subacquea

 

105.  OSSIGENO, ELIO, AZOTO, ANIDRIDE CARBONICA… RESPIRARE SOTT’ACQUA

 

Una breve raccolta di articoli che illustrano ciò che avviene nel nostro organismo quando respiriamo vari gas ad elevate pressioni parziali durante un’immersione.

LA FINESTRA DELL’OSSIGENO di Claudio Antonelli, Maria Elisa Della Marta www.mareblunet.it

 

La differenza tra le pressioni parziali esercitate dai gas presenti nel sangue arterioso e in quello venoso costituisce la cosiddetta "finestra dell'ossigeno" che sta alla base di tutte le teorie decompressive.

La finestra dell’ossigeno è uno degli argomenti più dibattuti dai subacquei, ma è anche uno dei più ostici da affrontare. Per poter comprendere appieno l’argomento occorrerebbero conoscenze, neanche troppo superficiali, di medicina, biologia, fisica, matematica, ecc., ecc.

Senza addentrarsi troppo nei meandri di queste discipline tentiamo di fare un po’ di chiarezza.

Haldane per primo aveva ipotizzato l’esistenza di un fenomeno che favoriva il riassorbimento delle bolle presenti nei tessuti. Oggi sappiamo che ciò è dovuto, per dirla con Vann, alla “differenza tra la tensione gassosa tissutale totale e la pressione ambientale”. In particolare dagli studi di Hills si apprende che la somma delle pressioni parziali dei gas presenti nell’aria ambiente e negli alveoli polmonari si riduce se misurata a livello ematico e tissutale. Questo fenomeno che è stato definito come “salto di pressione parziale”, ”insaturazione intrinseca”, “sottosaturazione interna”, è oggi noto con la definizione data da Behnke di “oxygen window” cioè “finestra dell’ossigeno”.

Come noto la pressione dell’aria a livello del mare è di 760 mmHg ed è data, secondo la legge di Dalton, dalla somma delle pressioni parziali dei vari gas che la compongono. Possiamo affermare, semplificando notevolmente, che l’azoto concorre per 601 mmHg e l’ossigeno per 159 mmHg.

A livello alveolare, l’azoto esercita una pressione parziale di 570 mmHg, il vapore acqueo di 47 mmHg, l’O2 di 103 mmHg e la CO2 di 40 mmHg.

Nel sangue arterioso si ha una leggera differenza, in quanto si verifica una caduta della PPO2 di circa 8 mmHg in conseguenza del fatto che non tutto l’ossigeno presente nei polmoni riesce a portarsi nel torrente circolatorio. In definitiva la pressione totale dei gas fisicamente disciolti nel sangue arterioso sarà di circa 752 mmHg. Trattandosi di gas disciolti dovremmo, a rigore, parlare di “tensione” ma, per semplicità, continueremo a usare il termine “pressione”.

In seguito ai processi ossido-riduttivi legati al metabolismo l’organismo consuma ossigeno e produce anidride carbonica. Dato che per ogni molecola di ossigeno consumata è prodotta, approssimativamente, una molecola di anidride carbonica si potrebbe pensare che questo non comporti nessuna variazione, per quanto riguarda la pressione totale dei gas, tra sangue arterioso ricco di ossigeno e sangue venoso ricco di anidride carbonica. Invece, poiché la CO2 ha una solubilità nel plasma 21 volte maggiore dell’O2 (esattamente 483,56 ml/l contro 23,25 ml/l), essa esercita una minore pressione parziale (in quanto la pressione che un gas esercita è data dalla sua tendenza ad abbandonare il liquido e per un gas con maggiore solubilità questa tendenza è, ovviamente, minore).

Questa minore pressione parziale si traduce, sul versante venoso dove la CO2 è più elevata, in una diminuzione della pressione totale. Nello specifico, nel passaggio tra arterie e vene, mentre l’azoto e il vapore acqueo continuano a esercitare la stessa pressione, rispettivamente di 570 mmHg e di 47 mmHg, la pressione dell’ossigeno scende molto arrivando fino a 44 mmHg, mentre quella dell’anidride carbonica sale di poco arrivando a 45 mmHg.

Questo calo notevole della PPO2 (- 51mmHg) non compensato da un corrispondente aumento della PPCO2 (+ 5 mmHg) fa sì che la pressione totale esercitata dai gas nel sangue venoso sia inferiore a quella esercitata nel sangue arterioso (circa 706 mmHg invece di  752 mmHg, cioè 46 mmHg di meno). Questa differenza di pressione costituisce appunto la cosiddetta “oxygen window”.

 

Pressioni dei gas presenti nell’aria e nell’organismo espresse in mmHg

 

ARIA ATMOSFERICA

ARIA ALVEOLARE

SANGUE ARTERIOSO

SANGUE VENOSO

Azoto

601

570

570

570

Vapore acqueo

 

47

47

47

Ossigeno

159

103

95

44

Anidride carbonica

 

40

40

45

Pressione totale mmHg

760

760

752

706

 

L’ampiezza della “finestra” non è costante, ma aumenta con l’aumentare della PPO2. Infatti, con l’aumentare della pressione dell’ossigeno respirato, essendo l’emoglobina praticamente già satura, aumenta notevolmente la quantità di ossigeno disciolto che, a sua volta, fa aumentare molto la PPO2 arteriosa. Poiché, in questo caso, l’ossigeno consumato sarà soprattutto a carico della frazione disciolta (l’ossigeno legato all’emoglobina rimane praticamente inutilizzato) ciò determina un notevole abbassamento della pressione parziale di questo gas nel passaggio tra sangue arterioso e sangue venoso.

La differenza di PPO2 tra arterie e vene, quindi, non sarà più di circa 51 mmHg, ma aumenterà notevolmente comportando, in definitiva, un ampliamento della “oxygen window”. Ciò non si verifica all’infinito ma fino a certi valori di PO2 (variabili da 1,3 atm. a 3 atm. a seconda dei tessuti), superati i quali la finestra non aumenta ulteriormente ma anzi tende a ridursi a causa della ovvia impossibilità, da parte dell’organismo, di metabolizzare quantità illimitate di ossigeno, per cui una certa quantità di questo gas rimane nel sangue venoso e nei tessuti inutilizzato e tende addirittura a comportarsi come un inerte.

La “finestra dell’ossigeno” è di grande importanza perché la presenza di questo “buco di pressione”, determinando un’accelerazione dell’eliminazione dei gas presenti nei tessuti, contrasta i fattori di formazione e crescita della fase gassosa libera (cioè delle bolle) e accelera la rimozione del gas dai tessuti; ecco perché l’oxigen window è alla base di tutte le normali procedure di decompressione.

 

PERCHÉ SI HA LA RISOLUZIONE DELLE BOLLE

Quando il sub risale in superficie dopo un’immersione e si formano delle bolle, di lì a poco, a causa del metabolismo e della diffusione, la pressione parziale dell’ossigeno e dell’anidride carbonica presenti nella bolla inizia a ridursi. Ma poiché la bolla obbedisce alla legge di Dalton e nel suo interno la somma delle pressioni di tutti i gas presenti deve essere di 760 mmHg, l’azoto andrà a riequilibrare il calo di pressione di O2 e CO2 e conseguentemente la PPN2 nella bolla diverrà maggiore che nei tessuti.

L’azoto presente nei tessuti, in sintesi, o passa nel sangue e viene portato ai polmoni da dove è eliminato, oppure entra nella bolla aumentandone le dimensioni.

Quando il livello dell’azoto nella bolla diviene maggiore che nel sangue si ha un suo lento ritorno nei tessuti da dove viene rimosso con la circolazione. Questo è il motivo per cui si verifica un iniziale decremento del volume della bolla che dovrebbe avvenire, teoricamente, fino al raggiungimento dell’equilibrio, ma per la legge di Laplace, per cui la pressione dei gas all’interno di una bolla è sempre un po’ maggiore che nei tessuti, l’azoto continua a uscire e questa si rimpicciolisce ulteriormente.

Inoltre, con il diminuire delle dimensioni della bolla si ha, proporzionalmente, un aumento della superficie disponibile per lo scambio del gas che favorisce ulteriormente la fuoriuscita di azoto. In definitiva, è la somma di tutti questi fattori che porta al completo dissolvimento della bolla stessa.

La “finestra dell’ossigeno”, che come detto favorisce l’eliminazione dei gas presenti nei tessuti, in questa situazione (cioè respirando aria a livello del mare) è piccola, viceversa, se il subacqueo è ricompresso a 2,8 ATA respirando ossigeno come avviene in caso di MDD, si ha un suo notevole ampliamento, l’eliminazione dell’azoto dai tessuti aumenta e si ha un rapido dissolvimento della bolla. E’questo uno dei motivi per cui, nella terapia della patologia da decompressione, si usa ricomprimere il paziente e somministrare ossigeno a elevate pressioni parziali.

 

Per approfondire l'argomento:

1. Bove A. A. – Bove and Davis’ Diving Medicine- Saunders Philadelphia-2004.

2. Bonuccelli Corrado – L’immersione in miscela – Editrice La Mandragora- 2000.

3. Brian J. E. – Gas exchange, Partial Pressure Gradients and the Oxygen Window - www.decompression.org/pub/brian

4. Bonuccelli Corrado - Oxygen window- www.tsaeurope.com

5. Amoretti Carlo - La finestra dell’Ossigeno www.utrdivers.it

 

IL GAS-BREAK

Articolo estratto da: «La decompressione “Ratio Deco” nelle immersione subacquee con miscele ternarie» di Jaume Riba jaume.riba@upc.edu

 

Respirando ossigeno (a 6 metri), quando la lunghezza della sosta di decompressione è superiore a 20 minuti, sono necessarie delle interruzioni (i cd. “gas-break”) respirando la miscela di fondo (in linea generale utilizzando il gas con minore tenore di O2 disponibile).

Questi gas-break vengono fatti seguendo la regola seguente: per ogni ciclo di ossigeno puro della lunghezza di 16 minuti si fa un break di 6 minuti con la miscela di fondo, fino a coprire tutta la lunghezza della sosta decompressiva, tenendo presente che il gas-break viene conteggiato come se si stesse respirando ossigeno puro.

È comunemente ritenuto che la tecnica del gas-break riduca drasticamente il rischio associato alla tossicità dell’ossigeno. Inoltre, la respirazione prolungata di ossigeno puro a 6 metri provoca una vasocostrizione che rende l’eliminazione dell’inerte poco efficace e genera anche processi infiammatori negli alveoli che riducono l’efficienza polmonare come filtro.

I gas-break sono efficaci nel ridurre entrambi gli effetti e conseguentemente respirare il gas di fondo produce una maggiore efficienza decompressiva di quella che si otterrebbe respirando ossigeno puro per tutta la durata della sosta di decompressione. Per questa ragione, il tempo impiegato respirando l’altro gas viene conteggiato come se si stesse respirando ossigeno per tutto il tempo di decompressione.

Una volta finita la sosta a 6 metri con l’ossigeno, è necessario fare una risalita verso la superficie estremamente lenta. A questo proposito, è utile ricordare che alcuni subacquei tecnici propongono di spendere 1/3 del tempo totale respirando ossigeno a soste intermedie fra 4.5 e 1.5 metri, parchè questo riduce il carico di O2 sul CNS e assicura una risalita verso la superficie estremamente lenta. Altri subacquei, al contrario, ritengono che i gas-break siano molto più efficienti e che sia meglio controllare il carico di O2 sul CNS riducendo il tenore dell’ossigeno nel gas di fondo e aumentando la percentuale di elio.

Per interrompere la respirazione del gas con elevata frazione di ossigeno senza tornare alla miscela con elevata frazione di elio si può passare al gas deco precedente con più bassa frazione di O2. Quindi, se per esempio si utilizza un gas di fondo 10/50 (ipossico), un gas da viaggio 30/30 (iperossico), Nitrox 50 come primo gas deco e O2 puro come secondo gas deco, allora durante l'ultima sosta di decompressione  a 6 metri per effettuare il gas- break si può passare al Nitrox 50, riducendo la PP O2 da 1,6 a 0,8 bar (e questo è conforme anche agli standard DIR).

 

LA TOSSICITA' DELL’OSSIGENO

di Vincenzo De Vita – COMMISSARIO TRAINERS INSTRUCTOR TSA/CMAS – VICE TRAINER SSI /RSTC - ISTRUTTORE FIPSAS – BLS/IRC – ASHI – SNS

 

C’è la tendenza a trattare la narcosi da azoto come l’unico problema importante che può interessare un subacqueo sportivo durante un’immersione profonda in aria, perché l’immersione dovrebbe avvenire rimanendo sempre in curva di sicurezza secondo le tabelle US Navy e quindi non si dovrebbe superare la profondità di 39 metri per la RSTC, di 40 metri per l’Uniter/ISO di 42 metri per la FIPSAS/CMAS.

Ma, andando oltre la normale immersione sportiva ci affacciamo al cosiddetto “Deep Air”, che prevede una massima profondità operativa di 50 metri (come indicato da molte didattiche tecniche, compresa la TSA International), e in questo caso è necessario parlare anche della tossicità dell’ossigeno, per essere consapevoli dei rischi cui potremmo andare incontro facendo immersioni profonde utilizzando l’aria.

Consideriamo la pressione parziale dell’O2 alla quale esponiamo il nostro corpo, pressione che secondo la legge di Dalton è direttamente proporzionale alla percentuale di O2 presente all’interno della miscela di gas che stiamo utilizzando.

Va da se che finché in superficie siamo esposti a 1 atm di pressione va tutto bene, pertanto le pressioni parziali di 20,93 bar di O2, 79,03 bar N2 e 0,04 bar di CO2, per il nostro organismo sono normali, ma quando tali pressioni parziali aumentano le cose cambiano. Infatti, l’ossigeno se respirato a lungo a pressioni parziali superiori a 1,6 atm diventa tossico, fino a provocare convulsioni che, se avvengono sott’acqua, possono alla morte per annegamento.

L’ossigeno, se respirato a lungo (oltre 5-6 ore) a livello polmonare porta ad irritazioni bronchiali, fino ad arrivare alla sindrome di Lorrain Smith che provoca delle serie difficoltà respiratorie e porta alla fatale emorragia polmonare.

 

A livello di sistema nervoso centrale (CNS) le cose possono essere ancora più gravi, e guardando la tabella che segue, comprendiamo i limiti fisiologici oltre i quali l'ossigeno attacca senza riguardo il nostro CNS:

3.0 /2.8 bar

Solo per l’ossigenoterapia iperbarica

2.5 bar

Massima pressione impiegabile in decompressione per i sommozzatori altofondalisti in campana e assistiti dalla superficie

2.4 bar

Per varie terapie per la MDD assistiti da medici iperbarici

2.0 bar

Esposizione eccezionale per immersioni militari

1.6 bar

Per immersioni impegnative, respirando aria per massimo 45 minuti a 66 metri di profondità

1.5 bar

Per immersioni di lavoro subacqueo leggero, respirando aria per massimo 120 minuti a 61 metri di profondità

1.4 bar

Per immersioni di lavoro subacqueo medio, respirando aria per massimo 150 minuti a 55 metri di profondità

La TSA International con riferimento alle tabelle NOAA consiglia di non superare la PPO2 di 1,4 bar nelle immersioni fatte respirando aria.

 

Ma perché l’ossigeno oltre la pressione parziale di 1.6 bar diviene tossico e ci porta all’iperossia?

Quando l’ossigeno entra in circolo nel sangue lo fa in due modi: si lega con una reazione di ossidazione all’emoglobina del sangue e si discioglie nel sangue secondo la legge di Henry.

Quando il sangue arriva ai tessuti l’emoglobina dovrebbe cedere ossigeno alle cellule dei tessuti stessi per portare loro via la dannosa anidride carbonica, ma a causa dell’elevata pressione parziale dell’ossigeno respirato, la reazione di ossidazione dell’emoglobina avviene nuovamente, portando via, cosi, l’ossigeno presente in soluzione nel plasma e lasciando i tessuti carichi di CO2. Perciò quella che crediamo essere tossicità dell’ossigeno in realtà è ipercapnia, cioè avvelenamento da CO2.

I fattori che predispongono e scatenano il problema sono: lo stress psicofisico, il freddo, l’assunzione di farmaci, l’uso di alcol o droghe, una scarsa condizione fisica.

E’ evidente che tutto quello che può portare ad aumentare la CO2 nel nostro organismo , visto che è questa ad avvelenarci, contribuisce in maniera rilevante alla narcosi insieme all’azoto. Perciò bisogna fare attenzione alla massima efficacia della respirazione (utilizzando erogatori di buona qualità) e al minore affaticamento possibile.

Per prevenzione bisogna evitare di scendere in aria a profondità oltre il limite delle PPO2 consigliate dalla TSA: 50 metri di profondità massima per 20 minuti, e se per un motivo qualsiasi (distrazione, errore, ecc.) si dovesse sforare tale profondità si deve fare in modo di non rimanere troppo esposti alla PPO2 più elevata e ritornare entro limiti di PPO2 accettabili, perché nessun allenamento alle immersioni in aria ad alta profondità rende il subacqueo immune dai rischi della tossicità dell’ossigeno. Con l’ossigeno iperbarico è meglio non scherzare! L’elevata pressione dell’azoto associata alla CO2 porta all’ebbrezza da profondità, ma entro certi limiti la narcosi si può controllare risalendo a profondità minori, mentre all’ossigeno iperbarico non ci si abitua e i suoi effetti sono sempre letali

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LA CONTRO DIFFUSIONE ISOBARICA

A cura di: Comm. Trainer T.S.A. Vincenzo De Vita - Istr. T.S.A. Roberto Balistreri

 

Il termine "contro diffusione isobarica" è utilizzato per descrivere la situazione in cui un gas inerte entra in un tessuto più velocemente di quanto un altro gas inerte può uscire. In tal caso, il gas inerte che entra nel tessuto causa un aumento della tensione tissutale, che sale oltre il punto di sovrasaturazione critica di quel tessuto, causando la formazione di bolle.

Ogni compartimento possiede un coefficiente, chiamato "coefficiente di sovrasaturazione critica" (Csc), che simbolizza la soglia oltre la quale si ha la formazione di bolle.

 

Ad esempio le tabelle di immersione Bühlmann ZH-L8 ADT sono calcolate in funzione di 8 compartimenti, aventi ognuno il proprio Csc:

5'

10'

20'

40'

80'

160'

320'

640'

2,72

2,38

2,04

1,68

1,56

1,53

1,46

1,40

 

La formazione di bolle può verificarsi senza che vi sia stata una variazione di profondità, da ciò il termine "isobarica", che significa "medesima pressione". Considerato quindi, che la contro diffusione isobarica dipende dalla presenza di più di un gas inerte, essa non si verifica nelle immersioni con miscele binarie (Aria o Nitrox). Inoltre, gas metabolici quali ossigeno e anidride carbonica non hanno alcuna rilevanza nel fenomeno della contro diffusione.

 

La contro diffusione isobarica può verificarsi in almeno tre situazioni:

1. La prima attiene a un rischio più teorico che reale, e si verifica quando un soggetto è immerso in un gas più leggero di quello che sta respirando.

2. La seconda situazione si verifica quando si passa dalla respirazione di una miscela Nitrox (pesante) alla respirazione di una miscela di Elio (leggera).

3. La terza situazione può manifestarsi quando, dopo aver respirato miscele ricche di Elio si passa ad una miscela ricca di Azoto. In questo caso, l’Azoto a causa della sua elevata solubilità si scioglie nei tessuti più rapidamente di quanto l’Elio possa uscire, creando una situazione di "supersaturazione" e di conseguenza la formazione di bolle nei tessuti.

 

Per ovviare a questo fenomeno, in assenza di un modello specifico che possa prevenire le situazioni di contro diffusione alla radice, occorre far riferimento a delle regole di massima.

La più semplice di queste regole è quella di evitare che durante la decompressione o al cambio di mix, la pressione parziale dell’Azoto aumenti in modo significativo.

 

Un recente suggerimento proposto da Steven Burton è la regola dei quinti, cioè far sì che la percentuale di Azoto non superi 1/5 della riduzione di percentuale di Elio. Ad esempio un cambio da TX 20/25 a Nitrox 32 non sarebbe corretto, in quanto l’Azoto salirebbe dal 55 al 68% (con un salto del 13%); mentre l’incremento massimo consentito in relazione all’Azoto sarebbe del 5% 81/5 della frazione di Elio del 25% contenuta nella mix), quindi secondo questa teoria si potrebbe passare da TX 20/25/55 a TX32/8/60. Va evidenziato però che la regola dei quinti non è stata ancora scientificamente testata, ma deriva solo da applicazioni pratiche.

 

L’Extra Deep Stop nelle immersioni ricreative

A cura di: Comm. Trainer T.S.A. Vincenzo De Vita - Istr. T.S.A. Roberto Balistreri

 

Come è noto la sosta di sicurezza di 3 o 5 minuti a 5 metri al termine di ogni immersione consente un sensibile aumento del fattore “sicurezza” in ogni nostra immersione.

I benefici riscontrati attraverso le analisi effettuate mediante esame doppler consistono in una notevole riduzione,delle microbolle gassose presenti nel circolo venoso al termine dell'immersione, con conseguente minor rischio di insorgenza di PDD (patologia da decompressione).

Al fine di ottenere un’ulteriore riduzione del rischio di PDD è fortemente consigliato effettuare, in aggiunta alla sosta di sicurezza, la cosiddetta “EXTRA DEEP STOP”, ovvero, una sosta di 2 o 3 minuti ad una profondità di 3 metri più profonda della quota della sosta di sicurezza.

Ad esempio, considerando una tipica immersione ricreativa, l’extra deep stop verrà effettuata alla quota di 8 metri (5 mt + 3 mt.) per un tempo di 2 o 3 minuti, seguita dalla sosta di sicurezza di 3 o 5 minuti a 5 metri.

L’adozione di tale procedura da all’organismo ulteriore tempo per liberarsi “lentamente” dell’azoto assorbito nel corso dell’immersione, abbattendo, rispetto alla sola sosta di sicurezza, le microbolle silenti che si trovano nel circolo venoso al termine dell’immersione, e ciò si traduce in un’ulteriore riduzione del rischio di insorgenza della PDD, soprattutto per quanto riguarda i tessuti veloci, come ad esempio il midollo spinale.

Quindi è molto raccomandato, al termine di ogni immersione, effettuare una sosta di sicurezza di 3 o 5 minuti a 5 metri nonché l’extra deep stop, anche se il profilo della nostra immersione non ha interessato quote profonde.

 

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