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di Tecnica & Medicina

 

Tecnica & Medicina Subacquea

143.  IL RUOLO DELL’ANIDRIDE CARBONICA

 

Articolo a cura del dott. Diego Olivari Master Universitario in Medicina Subacquea ed Iperbarica riconosciuto IMCA

Ottobre 2012

L’anidride carbonica è il prodotto del metabolismo ossidativo, pertanto non è una tossina nel tradizionale significato del termine. Per ogni litro di ossigeno consumato, l’organismo produce quasi un litro di anidride carbonica, ferme restando, ovviamente, le variazioni intra ed inter-individuali, a seconda dello sforzo e del tipo di lavoro svolto. L’intossicazione deriva sia dalla respirazione di miscele di gas con alta concentrazione di CO2, sia dalla ritenzione di anidride carbonica autogena dovuta ad inadeguata ventilazione o a stati patologici. Nella medicina subacquea, l’intossicazione acuta da CO2 può essere determinate da una inadeguata eliminazione del gas dagli spazi confinati (ad es. campane da immersione, sottomarini, habitat subacquei, camere di ricompressione), da apparati per immersione a circuito semichiuso o chiuso (i rebreather) o dall’impiego dei caschi per le immersioni assistite dalla superficie.

La ritenzione legata ad una volontaria ipoventilazione in immersione (evenienza frequente in ambito subacqueo SCUBA con sistemi a circuito aperto) provoca cefalea e può determinare un incremento della tossicità da ossigeno e della narcosi da gas inerte. Ogni azione fisiologica o tossica di questo gas deve essere correlata all’incremento della pressione parziale o all’incremento degli ioni idrogeno, o ad entrambi questi meccanismi. Poiché le molecole di CO2 attraversano liberamente le membrane cellulari e diffondono altrettanto facilmente nel liquido extracellulare, il potenziale tossico del gas, così come quello degli ioni di idrogeno risultano inseparabili e determinano:

·   Azione di stimolo sui chemocettori centrali e periferici che determinano il controllo della respirazione e la regolazione dell’equilibrio acido-base

·  Effetto miorilassante sulla muscolatura delle pareti vasali che sono coinvolti nella circolazione cerebrale

·   Azione su alcune strutture neuronali dipendenti dai livelli di PCO2, stimolante per bassi livelli e deprimente per alti livelli

·  Vasto range di reazioni biochimiche su entrambi i lati delle membrane cellulari e delle barriere vascolari indotto dalle variazioni della concentrazione idrogenionica

In uno studio di Morrison, Florio ed altri, del 1981, fu dimostrato che i subacquei presentano una ridotta risposta ventilatoria all’incremento della PCO2 rispetto ai non subacquei, questo prevalentemente in immersione, rispetto ad un ambiente normobarico. Questo fenomeno è stato posto in relazione con una sorta di acclimatamento del subacqueo stesso. Lanphier, nel 1969, aveva già evidenziato e descritto tale effetto amplificato su alcuni subacquei militari che presentavano una anomala ritenzione di anidride carbonica, che consentiva loro, da una parte di tollerare meglio determinati tipi di sforzo in immersione, ma dall’altra li rendeva molto più suscettibili sia alla narcosi sia alla tossicità neurologica dell’ossigeno.

Nel 1995, Kerem, Daskalovic, Arieli e Shupak, misero in evidenza, con uno studio su 24 sommozzatori della marina militare, che i subacquei manifestavano anche sotto sforzo una ipercapnia dovuta ad ipoventilazione,e presentavano un maggior rischio di tossicità da ossigeno se sottoposti a respirazione di miscela nitrox 40/60. Questi effetti avversi della ipercapnia sono stati associati ad una vasodilatazione a livello cerebrale, con un maggior afflusso di ossigeno a livello neuronale. La ridotta tolleranza alla tossicità da ossigeno dovuta all’esercizio fisico, pare proprio legata all’incremento dell’anidride carbonica che viene anche trattenuta dai subacquei. Lanphier e Camporesi hanno dimostrato un incremento della PCO2 arteriosa, durante esercizio in condizioni di iperossia, facendo respirare ossigeno al 100% a 2 ata, e una miscela nitrox 45%/55% a 4 ata. All’incremento della PCO2 arteriosa, che si manifestava con l’aumento dell’esercizio, è stato associato un incremento del flusso ematico cerebrale da vasodilatazione, visualizzando il flusso dell’arteria cerebrale media (Clark, Lambertsen et al.), tramite l’eliminazione di Xe133 iniettato in soggetti sani e progressivamente esposti ad ipercapnia.

L’incremento della PCO2 abbiamo detto che determina anche un aumento della suscettibilità alla narcosi. Questo verosimilmente è da attribuire al potere narcotico della stessa anidride carbonica che si somma a quello dell’azoto, piuttosto che ad una maggior suscettibilità indotta all’azoto stesso.

Un interessante studio del 1978, condotto da Hesser, Fagraeus e Adolfson, del Department of Enviromental Medicine e del National Defence Reserch Institute di Stoccolma, ha posto in evidenza il ruolo di azoto, ossigeno e anidride carbonica nella narcosi che insorge ad elevate profondità, durante immersioni con aria come miscela di fondo. Valutarono le prestazioni di funzioni mentali (calcolo) e la destrezza manuale, aggiungendo percentuali crescenti di CO2 al gas inspirato da otto volontari sani, in tre diverse situazioni: 1) respiro di aria ad una pressione di 1,3 ATA, 2) respiro di ossigeno ad una pressione di 1,7 ATA, e 3) respiro di aria ad una pressione assoluta di 8 ATA (corrispondente ad una pressione parziale di ossigeno di 1,7 ATA). Nei subacquei, oltre a valutare le performance, analizzarono l’end-tidal della PCO2 e le variazioni della ventilazione polmonare. I risultati ottenuti furono molto interessanti:

a. la ventilazione polmonare risultò stabile attorno ai 15 litri/minuto in tutte e tre le condizioni dello studio, sebbene l’end-tidal della PCO2 fosse maggiore nell’immersione in aria a 8 ATA, rispetto a quella in aria a 1,3 ATA e a 1,7 ATA di ossigeno. L’aggiunta di CO2 al gas inspirato determinò un incremento scarso, o comunque meno dell’atteso, della ventilazione polmonare, con un aumento dell’end-tidal della PCO2 nelle fasi della sperimentazione dove era superiore la pressione parziale di ossigeno.

b. Sulla valutazione delle performance, fu segnalato un effetto negativo sugli skills aritmetici nelle miscele a maggior pressione parziale di ossigeno, ma solo nelle immersioni con un incremento di end-tidal PCO2, l’inabilità coinvolse anche le performance motorie.

Tenendo presente le inevitabili differenze interindividuali dovute ad ansia, temperatura ambiente, adattamento, ed abitudine a svolgere determinate mansioni in determinate condizioni (di iperbarismo), emerse il ruolo fondamentale dell’anidride carbonica sulla narcosi.

Hashimoto ed altri, nel 1981, condussero una serie di sperimentazioni su 19 subacquei che, nella loro passata attività avevano manifestato una predisposizione a sintomi correlati ad accumulo di CO2. Le conclusioni di questo gruppo di studiosi, del tutto ipotetiche, suggerivano che: “l’identificazione di ritentori di CO2 richiede l’esecuzione di test di esercizio fisico, ed in questo contesto sembrerebbe particolarmente adeguato un test di nuoto pinnato” (Physiology and Medicine of Diving, 1982).

Studi sull’effetto narcotico di vari gas hanno dimostrato che il potere narcotico e anestetico della CO2 risulta approssimativamente 4 volte superiore a quello del gas narcotico N2O (McAleavy, Way, Altstatt, Guadagni e Severinghaus 1961), e che il N2O ha un potere narcotico anestetico 30 volte superiore al N2 (Miller, Paton, Smith 1973; Lambertsen, Gelfand, Peterson, Strauss, Wright, Dickson, Puglia, Hamilton 1977). Da questo si può dedurre un potere narcotico della CO2 ben 120 volte superiore rispetto all’azoto. E questa deduzione sembra ampiamente confermata dallo studio sopra descritto.

Una ipotesi fisiologica proposta, di questo meccanismo, è stata che l’azione narcotica della CO2 sia correlata alla concentrazione di ioni H+, ed al loro effetto biochimico. A sostegno di questa teoria, ancora da dimostrare, accenniamo ad uno studio di Eisle, Eger e Muallem (1967) i quali dimostrarono che in cani anestetizzati con CO2, l’effetto anestetico si correlava bene con il pH del fluido extracellulare cerebrale, meglio di quanto non si correlasse con la PCO2 arteriosa.

Anche Case, Haldane eBennet descrissero gli effetti correlati alla narcosi indotta dall’incremento di anidride carbonica, in subacquei professionisti in condizioni di reali immersioni. Un sommozzatore, che stava posizionando un impianto di tubature intorno ai 60 metri, utilizzando aria, non accusava alcuna compromissione delle proprie facoltà per un periodo di 10 giorni. Successivamente, allorché fu necessario il trasporto manuale di carichi pesanti fino a 30 Kg, con all’interno della componentistica necessaria al cantiere, lo stesso sommozzatore fu sopraffatto da uno stato di appannamento complessivo, tale da fargli interrompere l’immersione. Alla riemersione non fu in grado di ricordare le fasi finali dell’immersione, dal momento in cui fu colpito dalla narcosi. Il suo compagno di immersione, non sottoposto al maggior carico di lavoro, non riportò alcuno dei problemi presentati dal primo sommozzatore.

Lo stesso Lanphier, nel 1963, scoprì su se stesso gli effetti della narcosi indotta da CO2, nel corso di una sperimentazione condotta assieme ad uno studente sugli sforzi fisici in ambiente iperbarico. Egli stesso descrive così le proprie sensazioni: “io sono l’esatto opposto di un ritentore di CO2, ma ho scoperto di non essere immune dai gravi effetti che questo gas può provocare. Insieme ad uno studente stavamo provando una bicicletta a 7,7 ata, all’interno della camera iperbarica asciutta del mio laboratorio di Buffalo. Ad aria, a quella pressione, la narcosi è comunque molto evidente, ma noi stavamo piuttosto bene, fino a quando non cominciammo a respirare nel circuito di misurazione. Questo, scoprimmo poi, ci forniva approssimativamente metà dell’aria di cui necessitavamo al ritmo di lavoro che avevamo impostato sulla bicicletta. Herb provò per primo la bicicletta. Dopo circa tre minuti si fermò, freddo e con gli occhi rivolti all’indietro. Lo spostai e saltai sulla bicicletta. Sapevo che non mi stava arrivando aria a sufficienza, ma ero troppo narcotizzato per pensare lucidamente e volevo terminare i 5 minuti previsti per il test, ad ogni costo. Pedalai dritto dritto nell’oblio, per rinvenire lentamente dopo un po’, con una terribile sensazione di soffocamento, fu la più brutta esperienza della mia vita. Saremmo sicuramente annegati tutti e due se una cosa del genere si fosse verificata in immersione” (Acqua CORPS, 1992).

Spieghiamo adesso, molto rapidamente, cosa succede durante l’attività fisica intensa: il sangue, dopo un passaggio attraverso il circolo polmonare, rimane comunque in parte carico di CO2 e relativamente povero di ossigeno. Questo incremento dell’anidride carbonica viene percepito dai chemocettori a livello ipotalamo-ipofisario inducendo a questo livello un aumento della sintesi di beta-endorfine (oppiacei endogeni), correlate alla sensazione di benessere iniziale che si avverte ad esempio in caso di ipercapnia (usata anche in determinate tecniche yoga, che tendono a far ridurre all’estremo la ventilazione) e di ormone adrenocorticotropo (ACTH).

Abbiamo già accennato come fin dal 1878 Paul Bert dimostrò l’intossicazione da CO2 in animali mantenuti in ambienti iperossigenati, e le stesse evidenze furono descritte dai ricercatori della marina militare statunitense.

Il trasporto dell’anidride carbonica nel sangue avviene secondo le seguenti modalità:

a) Fisicamente disciolta nel plasma o,o6 ml/100 ml di sangue per mmHg (5-7%): sangue arterioso pCO2 = 40 mmHg corrispondenti a 2,4 ml/100 ml; sangue venoso pCO2 = 46 mmHg corrispondenti a 2,7 ml/100 ml

b) Legata alle proteine (emoglobina) con legami carbaminici (20%)

c) Sotto forma di acido carbonico HCO3 (70%): CO2 + H2O > H+ + HCO3

A livello tissutale, viene prodotta circa 40 ml/l di anidride carbonica, circa 1/10 di quella presente nel plasma (per la maggior parte come HCO3); l’emoglobina deossigenata lega meglio la CO2 formando legami arboamminici, e favorendone l’eliminazione attraverso il circolo polmonare. Questo fenomeno, detto effetto Haldane è responsabile di circa la metà della CO2 che viene scambiata a livello dei tessuti.

Appare così evidente che, qualora l’emoglobina sia satura di ossigeno (come nel caso di respirazione ad elevate pressioni parziali di O2, ad esempio usando miscele iperossigenate, e magari sotto sforzo), viene meno l’effetto Haldane, ed la conseguente eliminazione di CO2, che, magari anche incrementata dallo sforzo fisico, e non eliminata per la mancata risposta ventilatoria che ha normalmente in ambiente normobarico, determina un incremento di questo gas con gli effetti che abbiamo descritti: narcosi ed una spina irritativa sull’endotelio che potrebbe giustificare un incremento di rischio degli effetti flogistici legati alla mdd.

Per questo, ad esempio in ambito di Commercial Diving in Basso Fondale, riteniamo opportuno mantenere una pressione parziale di Ossigeno tra 1 ata e 1,2 ata massimi (ben al di sotto del limite di 1,6), ed utilizzare poi miscele arricchite di ossigeno in fase decompressiva per ridurre i tempi di decompressione o semplicemente, anche seguendo il profilo ad aria, per incrementare la sicurezza dell’operatore. A questo proposito ricordiamo che studi del 2010 hanno evidenziato che per pressioni parziali di O2 di 1,4 ata, sono state riscontrate alterazioni strutturali del glomo carotideo consistenti in edema intracellulare e per ossidazione dei lipidi con deviazione del flusso ematico intraglomico, il che provoca una ulteriore minor ventilazione e una ulteriore minor eliminazione di anidride carbonica.

Riportiamo di seguito una tabella che correla le percentuali di CO2 con gli effetti presentati sul paziente, sottolineando però la differenza intra ed inter-individuale già descritta.

 

PERCENTUALE DI CO2

EFFETTO

0 – 4%

Nessun effetto sul SNC

4 – 6%

Dispnea, ansietà

6 – 10%

Capacità mentali limitate

10 – 15%

Grave alterazioni delle funzioni mentali

15 – 20%

Perdita di coscienza

> 20%

Tremori scoordinati alla muscolatura e convulsione

 

Bibliografia

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