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di Tecnica & Medicina

 

                    

Tecnica & Medicina Subacquea

 

10. Perché mi immergo?  LA PSICOLOGIA DELL'IMMERSIONE

Ci siamo mai chiesti PERCHÉ ci immergiamo? Qual è la vera motivazione che ci spinge ad immergerci? Che cosa cerchiamo nel fondo del mare o del lago? Che cosa ci spinge, a volte, ad andare più profondo?

Sembrano tutte delle domande banali, ma non lo sono affatto e la risposta può non essere banale, perché al di là delle spinte motivazionali apparenti o superficiali di ciascun individuo, possono anche esservene delle altre... più “profonde”, appunto. Si tratta di riuscire a... farle emergere ed in questo è utile la PSICOLOGIA DELLE ATTIVITA' SUBACQUEE, un campo di applicazioni e di ricerca ancora piuttosto giovane.

Cerchiamo allora di capire queste "MOTIVAZIONI". Ad esempio, a me piace anche gironzolare con calma in pochi metri d'acqua (in fondo, è tale e tanto il mio "bisogno di immergermi" che... mi basta semplicemente andare in acqua... ovunque); ma quello che mi attira davvero, più dei relitti o delle grotte, che pure amo moltissimo, è la PROFONDITA'.

Sono tanti anni che mi interrogo sul PERCHÉ di questo mio bisogno di "profondo" e, nel frattempo, sposto sempre un metro più avanti il mio limite. Oltretutto, sono stato per molti anni un convinto sostenitore dell'immersione ad aria profonda, pur conoscendone la pericolosità dovuta alla tossicità dell’ossigeno respirato in profondità, e questo mi ha limitato parecchio nel mio "BISOGNO DI PROFONDO". Solo recentemente ho iniziato ad usare miscele Trimix e questo ha risvegliato il mio desiderio di "profondo" e ha spostato la mia asticella un po' più giù...

Ma allora? Che cosa cerco veramente  immergendomi laggiù nel profondo? Forse dovrei parlare seriamente della questione con uno psicologo. O forse dovrei semplicemente smetterla di domandarmi il perché e "lasciarmi immergere"...

Al riguardo la dottoressa Maria Luisa Gargiulo - una psicologa che lavora anche con il DAN - ha scritto cose molto interessanti sul tema "Profondofilia e profondofobia". Riporto qui di seguito uno stralcio di un suo intervento, tratto dall'articolo "Conflitti e contenuti nelle attività e nel vissuto dei subacquei" che forse ci chiarisce qualcosa e che può a ciascuno di noi sub degli spunti per alcune riflessioni.

 

Profondofilia e profondofobia (di M. Luisa Gargiulo)

Il rapporto con la profondità è un tema quasi ovvio dato l'argomento, ma le sue implicazioni sono a volte ambivalenti, potendosi individuare forse un conflitto multidimensionale. C'è da dire in primo luogo che ultimamente si assiste all'aumento della richiesta di praticare l'attività subacquea proprio da parte di quelle persone che ne hanno timore o che in qualche modo, condensano attorno ad essa alcuni loro problemi o la usano più o meno consapevolmente quale elemento di "cura", mettendo in atto forme di formazione reattiva o, se non si vuole usare una terminologia ed una matrice psicodinamica, una sorta di tentativo di desensibilizzazione sistematica. Emerge infatti, come riferito da molti professionisti della didattica, l'ambivalenza di molti neofiti che chiedono corsi, tra la paura e la voglia di andare sott'acqua, la necessità per alcune persone di esorcizzare le proprie paure attraverso meccanismi di difesa che inducono ad affrontare ciò che si teme, nella speranza di indurre un cambiamento profondo.

Ciò contrasta nettamente con la tipologia dell'allievo che fino a dieci anni fa rappresentava quasi la regola, ossia la persona la quale frequentava una formazione, allora mediamente più lunga e frustrante, a valle di una esperienza amatoriale già consolidata. Quasi tutti quelli che volevano conseguire un brevetto, erano stati sommozzatori autodidatti, o comunque vicini al mare ed alle sue regole, avevano già una ottima acquaticità e conoscevano abbastanza approfonditamente ciò che stavano per apprendere. Per contro oggi, con un tempo relativamente breve, una persona mediamente allenata dal punto di vista fisico, può conseguire un brevetto di primo livello e subito immergersi a profondità relative (se questo è ciò che desidera) ottenendo così il risultato di entrare a far parte facilmente di quella categoria di persone che possono farsi chiamare "sommozzatore" e praticare la subacquea non tanto come uno sport, quanto come una attività ricreativa con tutte le implicazioni sociali, di tempo libero, di appartenenza e di individuazione che si possono immaginare.

La quantità di persone le quali praticano la subacquea a bassa profondità con un training breve, rappresenta il target di clienti più numeroso del mercato attuale, quello dato da persone discontinue nella loro attività, stagionalmente condizionate, con un turn over molto grosso ed un facile decadimento dell'interesse. Per queste persone la profondità ha proprio il significato di un facile piacevole traguardo.

Un altro tema legato alla profondità, è costituito dal bisogno di andare sotto per sfidarsi, per sentirsi capaci, (quindi legato all'autostima e prima ancora all'autopercezione ed all'autodefinizione), per arrivare a stare da soli con se stessi, sentirsi e percepire il proprio essere isolandolo in questa differente dimensione.

n significato intimamente legato al continuum profondofilia/profondofobia ed alla paura, è connesso alla consapevolezza/inconsapevolezza che il mare non sia in realtà l'elemento ordinario della vita biologica dell'uomo, ma un "elemento altro", da visitare come un viaggiatore innamorato ma pur sempre straniero, o da vivere con uno strano senso di affinità ed appartenenza.

Un'altra valenza importante che si sta affermando in questi ultimi anni, è per alcuni versi, il ritorno alla subacquea del profondismo, la quale, vissuta nella generazione precedente come uno stile di vivere il mare legato alla pesca, alla performance lontana dalla tecnologia, adesso è invece la diretta conseguenza della tecnologia più spinta. Si parla infatti di "subacquea tecnica" quando ci si riferisce ad immersioni (amatoriali, ma svolte a profondità maggiori di quelle ricreative ) le quali sono possibili anche per il proliferare di attrezzature sempre più sofisticate e complesse. Così il bisogno/voglia di andare in profondità è soddisfabile grazie a speciali corsi e all'uso nella stessa immersione, di differenti miscele da respirare, le quali devono essere gestite dal subacqueo che per tutto il tempo deve mantenere uno stato di controllo molto alto, deve avere precedentemente programmato nei minimi dettagli e preparato i gas individuandone le differenti profondità di utilizzo, deve avere conseguito una preparazione tecnica e fisica tale da permettergli di affrontare immersioni spinte sino a profondità notevoli. Sembra quasi, per certi versi, che la profondofilia del sommozzatore corallaro di un tempo, si sia trasformata nella subacquea tecnica di oggi, con non poche differenze ovviamente.

C'è nel racconto di questi nuovi profondisti in alcuni casi, proprio la ricerca di uno stato psicofisico di esaltazione/concentrazione lucida, determinata in parte da fattori ambientali quali la profondità, in parte dalla loro stessa aspettativa. Il dato oggettivo che l'uomo ha necessità di respirare aria per vivere, sottolinea inequivocabilmente il passaggio alla dimensione subacquea, come ad uno stato straordinario, nel senso di extra ordinario, sia quando viene vissuto come un ritorno nell'elemento naturale e ad uno stato intimo di confort psicofisico, che quando invece rievoca la paura dell'impossibilità di sopravvivere, di rimanere senz'aria, del tradimento del mare.”

 

Bene, direi che ciascuno di noi può cercare di riconoscersi nei vari punti di questa trattazione e, tentando di tirare le somme può cercare di rispondere alla domanda iniziale: "perché mi immergo?". L'importante, però, è non barare mai con se stessi...!

Se poi qualcuno volesse approfondire ulteriormente l’argomento, può leggere qui sotto altri interessanti interventi della dottoressa M. Luisa Gargiulo tratti dal sito www.psychomedia.it


Tratto da: http://www.psychomedia.it/pm/grpind/sport/gargiulo.htm

 

Dinamiche motivazionali nell’immersione subacquea

 

di Maria Luisa Gargiulo

 

Alcune premesse teoriche (breve storia delle teorie della motivazione)

La motivazione e le emozioni che ad esse si correlano sono alla base dell’impulso ad agire di ogni individuo. Quando si parla di attività sportive (sebbene la pratica delle immersioni sia da molti oggigiorno considerata una attività di socializzazione più che uno sport in senso stretto), le parole cui comunemente siamo abituati sono bisogno, forza di volontà, concentrazione, autocontrollo, competizione. Una teoria motivazionale ha lo scopo di spiegare ed in parte prevedere i comportamenti umani, compreso quello del sommozzatore.
La teoria pulsionale di Freud fece del concetto di motivazione un elemento fondamentale dello sviluppo e del funzionamento psichico. Una pulsione è un costituente psichico geneticamente determinato che opera producendo uno stato di eccitazione, di tensione che spinge l'individuo all'attività. Il concetto di pulsione va differenziato da quello di istinto. Un istinto è la capacità o la necessità innata di reagire ad un determinato insieme di stimoli in maniera stereotipata o costante attraverso un comportamento notevolmente più complesso di quello che viene definito riflesso. Come un semplice riflesso, tuttavia, un istinto è messo in relazione ad un determinato stimolo ed è costituito da una eccitazione centrale alla quale segue una risposta motoria avente un corso determinato. Nella sua ultima formulazione Freud ha considerato l'esistenza di due pulsioni, la sessuale e l'aggressiva le quali si trovano in certa misura combinate in ogni manifestazione istintuale.
Successivamente questa visione è stata etichettata da alcuni come riduzionistica e autori, come Adler, hanno introdotto altre categorie pulsionali ritenendole preminenti (per esempio la pulsione di dominio e la sua traduzione comportamentale come ricerca del controllo o del potere) oppure hanno integrato nella dimensione inconscia non solo le pulsioni primarie ma anche modelli archetipici di orientamento nella persona, come nella teoria proposta dalla psicologia analitica di Jung. Altri ancora hanno ridimensionato la componente inconscia dello psichismo, trovando la spiegazione delle diverse condotte individuali prevalentemente a livello dell'Io. Tali modelli, ed in particolare quello della psicologia dell'Io, postulano quindi che la motivazione sia ampiamente determinata non tanto dalle pulsioni primarie quanto da elaborazioni consapevoli e razionali.
Secondo la psicologia umanistica, anche il processo dell'esperienza è governato dalla tendenza intrinseca del “sistema organismo” verso l'autoattualizzazione; tale tendenza consiste nell'orientamento del sistema stesso verso la sua conservazione e il suo arricchimento. La capacità dell'organismo di simbolizzare le esperienze è sottoposta perciò a questa tendenza costante.
La tendenza verso la conservazione implica necessariamente la capacità dell’organismo di reagire a quegli stati carenziali che mettono a repentaglio la sua sopravvivenza. Ciò, a sua volta, rimanda al concetto di bisogni ed alla loro individuazione da parte dell'organismo che tende alla loro soddisfazione [1].
Maslow infatti distingue due fattori determinanti del comportamento: quelli motivazionali, che sono legati ai bisogni, e quelli della realtà, che si possono individuare nelle forze favorevoli o sfavorevoli esercitate dall’ambiente. Rientrano nel “campo esperienziale” dell’individuo sia la percezione delle caratteristiche oggettive della situazione, sia gli elementi che riguardano il “sé percepito” [2]. La salute mentale è direttamente correlata con la capacità di acquisire elementi da questi due aspetti (interni ed esterni) della realtà.
Secondo Maslow, la motivazione è la spinta prima di ogni azione umana. Ogni individuo si attiva per soddisfare i bisogni fondamentali che sono illustrati con la sua famosa Piramide gerarchica.
La tendenza all’attualizzazione dei bisogni si articola secondo un ordine di priorità che privilegia la conservazione di uno stato compatibile con la sopravvivenza e, quando questa condizione è soddisfatta, l’individuo percepisce le spinte motivazionali di ordine “superiore” che sono finalizzate a perseguire scopi non più tendenti verso la conservazione od il ripristino di uno stato di equilibrio, ma verso l’acquisizione di nuovi elementi e la ricerca di situazioni che aumentano la tensione (eustress).
Secondo questa teoria, che ha condizionato tutta la psicologia successiva, i bisogni umani sono suddivisi in cinque categorie e sono gerarchici: perché nasca il desiderio di soddisfare quelli del livello successivo, è necessario che i bisogni del livello precedente siano già stati soddisfatti almeno in parte .
La teoria gerarchica prevede che se il soddisfacimento di un bisogno inferiore viene frustrato o messo in crisi, ciò determina una modificazione temporanea degli obbiettivi e dei fini dell’organismo il quale cessa di investire nel soddisfacimento dei bisogni di grado superiore fino a che non è riuscito a ripristinare l’equilibrio soddisfacendo il bisogno di grado inferiore e pertanto gerarchicamente più importante.

 

La gerarchia dei bisogni

Alla base della piramide si trovano i bisogni fisiologici/organici, per esempio il bisogno di mangiare, bere, dormire, coprirsi. Della seconda categoria fanno parte i bisogni relativi alla sicurezza (safety) quali il bisogno di un rifugio, di tranquillità e di pace. Nella terza categoria troviamo i bisogni relativi all’appartenenza (belonginess) di cui fanno parte il bisogno di avere amicizie, di far parte di un gruppo, di amare ed essere amati. Nella quarta ci sono quelli relativi alla stima di sé (esteem) quali il bisogno di avere un’immagine positiva di se stessi e in generale di apprezzarsi e di essere apprezzati dagli altri. Nella quinta e ultima categoria, troviamo i bisogni relativi alla realizzazione di se stessi (self actualisation) tra cui rientrano desideri quali l’aspirazione a mettere in opera le proprie facoltà, esprimere la propria creatività, oltrepassare i propri limiti
Determinanti per la conservazione dell’equilibrio del sistema sono quindi i bisogni legati ai primi quattro livelli della gerarchia maslowiana, in quanto essi riguardano la riduzione di uno stato di carenza e possono essere ricondotti ai meccanismi tipici dell'omeostasi. Questi primi quattro livelli sono detti, infatti, anche “bisogni carenziali od omeostatici”.
I bisogni di autorealizzazione, invece, hanno la caratteristica di generare cambiamenti e stati di tensione.
La salute mentale è, pertanto, in parte correlata anche alla capacità della persona di percepire in modo non difensivo i propri bisogni ed attuare piani efficienti, realistici ed efficaci per realizzarli.
In questo ultimo aspetto ritroviamo un punto di contatto con la teoria dell’elaborazione umana dell’informazione (Human Information Processing) considerando come “informazione” anche la simbolizzazione e coscentizzazione più o meno chiara di un bisogno.
Nella psicologia umanistica, la natura umana è considerata fondamentalmente positiva, nel senso che le istanze e le motivazioni sono sempre finalizzate alla conservazione ed all’evoluzione della persona. Fin dal concetto di “tendenza attualizzante” teorizzato da C. Rogers, i comportamenti umani possono essere letti in una chiave “personocentrica”, perché essi vengono sempre spiegati e considerati attraverso una lettura che parte dal significato soggettivo che essi rivestono per la persona stessa. L'individuazione della “tendenza attualizzante”, come la capacità degli organismi (uomo compreso) di tutelare la propria sopravvivenza e promuovere il proprio sviluppo, presuppone una fiducia nella positività della natura umana.
Questa premessa, che attiene al quadro teorico di riferimento, ha esclusivamente lo scopo di chiarire la visione secondo la quale i comportamenti di un sommozzatore saranno considerati e commentati in questo scritto.
Secondo Maslow i bisogni di natura superiore sono fondamentali quanto quelli primari anche se non sono vitali. Ciascuno di noi può raccogliere la sfida del proprio sviluppo oppure rifiutarla. In questa visione, dietro ogni riuscita si trova una motivazione che ha prima ispirato, e poi alimentato, uno sforzo.
La teoria umana della motivazione si è poi evoluta acquisendo contributi della psicologia cognitiva, dinamica, interpersonale ed evoluzionistica dell’uomo.
Infatti, attualmente il concetto di “struttura del sé” é stato ampliato per comprendere anche l'organizzazione delle idee, dei concetti e dei costrutti che una persona ha verso se stessa.
Per individuare un punto conclusivo potremmo dire che le persone nascono con la capacità di tendere verso la conservazione della vita e verso lo sviluppo e l'evoluzione.
Per garantire l'attualizzazione di questa tendenza, i bisogni fondamentali si fanno strada, l'organismo si comporta tenendo in altissima considerazione la soddisfazione di questi bisogni, perché ciò gli garantisce di mantenersi in vita e di evolversi fino a diventare adulto.

 

Motivazione all’attività

L’attività sportiva in generale, come qualsiasi comportamento umano, può essere considerata come una soddisfazione di bisogni a vari livelli. A prima vista è certamente una attività che crea stati di tensione, e pertanto non potrebbe annoverarsi tra quelle che soddisfano bisogni carenziali (omeostatici) e in una visione semplificata si situa al livello 5 (autorealizzazione). Ma a guardar meglio, l’attività sportiva con i suoi connotati e significati affettivi e psicosociali, ci fa intravedere bisogni di stima ed autostima, nella misura in cui la persona percepisce come preponderanti gli aspetti agonistici e di competizione. Troviamo anche aspetti legati al livello dell’appartenenza, allorquando consideriamo ciò che ha a che fare con le dimensioni gruppali, di condivisione, di socialità, di identificazione con un leader od un modello. Più profondamente si debbono individuare anche aspetti legati (sia pura volte inconsciamente) alla sicurezza, in quanto alcune istanze possono essere legate ad una motivazione verso una ridefinizione del sè “efficiente” e quindi sano, “forte” e quindi rassicurante, con i connotati di individuazione ed autoindividuazione che ciascuno può immaginare.
Sebbene abbia subito numerosi tentativi di semplificazione, la teoria motivazionale di Maslow non tende ad assegnare a ciascun comportamento un bisogno che lo giustifichi, bensì deve essere vista come una cornice di riferimento per leggere uno specifico comportamento appartenente ad una determinata persona, secondo la valenza che quel comportamento ha in quel particolare sistema di personalità. Maslow non ha mai assegnato una classificazione rigida nell’una o nell’altra categoria di bisogni, dei vari comportamenti umani, i quali pertanto non sono “interpretabili “ ossia non sono spiegabili se non riferendosi al sistema personale dei significati. Ad esempio, l’attività sportiva potrebbe essere un tentativo di soddisfare bisogni di autostima, autorealizzazione, oppure sicurezza, e ciò può essere appurato solo con un approccio personocentrico.

 

Immersioni e quadro motivazionale

L’attività subacquea ha però alcune peculiarità che la rendono per certi versi un po’ particolare. Personalmente ritengo che essa concentri in sè buona parte delle caratteristiche delle attività sportive, come pure di quelle ricreative, e pertanto che possa essere considerata come attività legata, almeno sul piano conscio, a bisogni di tipo accrescitivo e di autorealizzazione. Ma se solo passiamo velocemente in rassegna il repertorio classico delle frasi o degli atteggiamenti dei sommozzatori, ci rendiamo presto conto che questo fenomeno ricreativo e sociale può essere letto anche come una attività che soddisfa bisogni di tipo carenziale, finalizzati perciò alla diminuzione dello stato di tensione più che al suo accrescimento.
In alcune persone, il silenzio, il controllo della respirazione, la mancanza di gravità, spesso creano (non troppo celatamente) uno stato di ” vuoto di significati” e stimoli sul piano razionale e creano una reazione di maggiore percezione di elementi provenienti dal mondo interno. A volte questo favorisce uno stato di rilassamento, calma, pace, concentrazione. Questo fenomeno può certamente dirsi come favorente una diminuzione dello stato di ansia e di paura e pertanto ha tutte le caratteristiche per potersi collocare come una soddisfazione di bisogni attinenti al livello della sicurezza. Non è raro sentire subacquei che riferiscono di raggiungere uno stato di calma solo andando sott’acqua, alcuni riferiscono che la mancanza di rumore, la necessità di concentrarsi su parametri fisiologici, quali il respiro, ecc., li induce in una sorta di stato di grazia, un senso di protezione e di mancanza di qualsiasi tensione e necessità.
L’aspetto sociale o per meglio dire, il livello dei bisogni di affetto ed appartenenza, deve essere considerato anche alla luce del fatto che i subacquei sono pressoché obbligati dalle varie didattiche ad osservare il “sistema di coppia” ossia una serie di regole tendenti alla mutua assistenza, ma anche alla costante comunicazione delle proprie condizioni, attraverso dei gesti codificati. Il compagno di immersione è un elemento che, pur avendo una funzione di aumento della sicurezza e diminuzione dei rischi (livello 2), è un elemento che presenta anche connotati di tipo relazionale: deve essere lo stesso per tutta la durata dell’immersione e viene assegnato dal capo gruppo (la guida o l’istruttore) durante il briefing.
L’aspetto gruppale sia nella attività di didattica che in quella meramente ricreativa, sta assumendo un valore molto preponderante soprattutto negli ultimi anni, ossia da quando l’attività subacquea si è trasformata da passione elitaria a attività collettiva e diffusa. Gli aspetti altamente aggreganti che caratterizzano le attività dei centri e delle scuole di immersione sono noti a tutti. Attività apparentemente poco significative e tecnicamente non troppo difficili, stanno avendo un successo sociale a volte maggiore di tutte quelle che un tempo erano tipiche del sommozzatore classico. La buona riuscita di questo genere di iniziative e il proliferare di momenti sociali e di condivisione, sta a significare che questa attività in alcune persone soddisfa anche bisogni di appartenenza quali, ad esempio, l’individuazione di un leader e di un gruppo in cui identificarsi. Tutti i simboli di affiliazione come stemmi, magliette, particolari procedure o prassi che aiutano la persona a sentirsi parte di un gruppo omogeneo differenziato dall’esterno, sono divenuti abbastanza di prassi e generalmente con un buon grado di successo in termini di capacità aggregante e di mantenimento della frequentazione delle persone nel lungo periodo.
La valenza aggregante dell’attività subacquea non deve però mettere in ombra anche l’aspetto legato alla competitività, e più precisamente a quello di soddisfazione dei bisogni di stima e autostima (livello 4) che riveste per alcune persone.
Infatti, la proliferazione dei brevetti, delle nuove specialità e differenziazioni di corsi di tutti i tipi, se da una parte risponde senz’altro ad esigenze di tipo commerciale che hanno a che fare con la diversificazione dei prodotti, dall’altra incontra il successo del pubblico anche perché per alcune persone può avere una funzione di riconoscimento di bravura e capacità. Il conseguimento di un brevetto oltre agli aspetti di miglioramento delle competenze tecniche dell’allievo, ha per lui a volte anche una funzione di gratificazione sociale, di valorizzazione delle proprie performance, di distinzione rispetto agli altri suoi pari, ecc. Il termine “carriera subacquea” sta proprio ad indicare la sequenza del conseguimento dei vari titoli, che oltre ad un aspetto di merito, acquistano anche una funzione di “ordinatori sociali”, nel senso che contribuiscono al formarsi dei livelli gerarchici nei gruppi di sommozzatori. A volte si possono incontrare aspetti legati alla competizione ed al bisogno di riconoscimento ed autostima, non solo nelle attività didattiche e nella frequentazione dei corsi, ma anche in quelle amatoriali e puramente ricreative.

 

La competitività nelle attività non agonistiche

A volte chi deve soddisfare esigenze di stima ed autostima cerca un modo per valutare o comunque per collocare il proprio comportamento all’interno di una scala il più possibile oggettiva, come chi intraprende una carriera di qualsiasi tipo, lo fa all’interno di una serie di “gradini” e livelli predefiniti. Quando l’attività sportiva è di tipo agonistico ciò può avvenire anche all’interno di una singola competizione; il vincitore, la classifica, il punteggio, il record personale ecc., sono tutti elementi oggettivi e senz’altro condivisi, il più delle volte basati su numeri e pertanto facilmente confrontabili e classificabili. Ma quando, come nelle immersioni ricreative, ci si trova di fronte ad attività non competitive, in alcune persone si sviluppano comportamenti sostitutivi rispetto a quelli classicamente agonistici. Tali comportamenti tendono ad una oggettivazione, meglio ancora in una quantificazione del comportamento in immersione, il quale viene, per così dire, “tradotto in numeri”. Si può assistere, pertanto, alla tendenza a raggiungere determinate profondità, ci si confronta con le quantità di atmosfere residue una volta in superficie, si contano, catalogano, confrontano la quantità delle immersioni, ecc.

Conclusioni

In uno scritto introduttivo come questo, è pressoché impossibile tentare di arrivare a delle conclusioni definitive, l’obbiettivo dell’articolo è più che altro quello di indicare alcuni spunti di riflessione ed insieme di iniziare a definire alcuni concetti basilari di psicologia del comportamento e del fenomeno “immersione” al fine di approfondirne successivamente alcuni aspetti.
I professionisti della formazione e della prevenzione e terapia in campo subacqueo sanno benissimo che di psicologia in questo ambito si accenna a piè sospinto, ma fino ad oggi si è dedicato poco spazio all’approfondimento e alla ricerca in questo settore. Questo articolo vuole pertanto essere anche un tentativo per iniziare ad introdurre un vocabolario ed una serie di concetti e temi che possano divenire per tutti questi professionisti un patrimonio comune.

 

Note:
[1] Il termine "bisogno" qui è usato col significato che Maslow intende, ossia come una sequenza tassonomica di necessità insature che orientano il rapporto dell’individuo con la realtà.

[2] Il concetto di “sé percepito”, utilizzato per la prima volta da Carl Rogers, comprende tutto ciò che la persona conosce di se stessa, tutto ciò che essa riconosce come appartenente a sé, il modo in cui si raffigura di essere, i sentimenti che sente di provare, le intenzioni che ha la consapevolezza di avere, i bisogni e le carenze che si accorge di nutrire. Tali elementi sono organizzati in un sistema più vasto, indicato successivamente come “struttura del sé”.

 

Bibliografia sul quadro teorico di riferimento

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Ceruti, M., (1989), La danza che crea, Evoluzione e cognizione nell'epistemologia genetica, Feltrinelli.

Magri, T., Mancini, F., (1991), Emozione e conoscenza, Editori Riuniti.

Rogers, C. R., (1965), Client Centered Therapy, Its curret practice, implications, and theory, Houghton Mifflin Company, Boston.

Rogers, C. R., Kinget, G. M., (1965-66), Psychotherapie et relations humaines, theorie et pratique de la therapie non directive, Editions Nauwelaerts, Lovanio; trad. it Psicoterapia e relazioni umane, Boringhieri, Torino, 1970.

Von Bertalanffy, L., (1966), Teoria generale del sistema e psichiatria, in Arieti, S., Manuale di psichiatria, Boringhieri.

 

Bibliografia sugli aspetti psicologici delle attività subacquee

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Baddeley, A.D., Godden, D., Moray, N.P., Ross, H.E. and Synodinos, N.E. (1978). Final report on training services agency contract - Selection of diving trainees. Department of Psychology, Stirling University and M.R.C. Applied Psychology Research Unit, Cambridge.

Bruce Delphia and Wendy Freed, M.D. Depression: Its Treatment and Concerns Regarding Scuba Diving. Alert Diver, March/April 1999.

Capodieci S, (2000), La psicologia dell’immersione subacquea - Relazione tenuta al convegno “La psicologia dell’immersione subacquea”, Mestre - 11 novembre 2000.

Capodieci S. (2001), Ansia e Panico nell’immersione subacquea. Area Sport e Psiche di Psychomedia (http://www.psychomedia.it/pm/grpind/sport/capox.htm).

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Hunt J., (2001). “Immersione in relitto: rischio e incidenti nello sport subacqueo” in Area Sport e Psiche di Psychomedia (http://www.psychomedia.it/pm/grpind/sport/sub1.htm), trad. S. Capodieci e M.L. Gargiulo; articolo originale: “Diving the Wreck: Risk and Injury in Sport Scuba Diving" Psychoanalytic Quarterly.LXV:591-622, l996.

Koltyn, K.F. & W.P. Morgan (1997). Influence of wet suit wear on anxiety responses to underwater exercise. Undersea and Hyperbaric Medicine, 24, 23-28.

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Tratto da: http://www.psychomedia.it/pm/grpind/sport/gargiulo1.htm

 

La dimensione extravisiva nell’immersione subacquea

di Maria Luisa Gargiulo  (Relazione presentata al Convegno "Psiche e immersioni" S. Vito Lo Capo 17-19 ottobre 2002)

 

Premessa 

Queste riflessioni sono un prodotto indiretto dei miei studi e del mio lavoro come formatore nel settore delle tecniche di gestione dell’immersione non basata sulla vista, in quanto ho studiato e lavorato nel settore della didattica della subacquea con persone non vedenti e con istruttori che volevano apprendere come accompagnare sott’acqua una persona che non vede o come insegnargli a diventare un sommozzatore.
In questi anni ho avuto molti riscontri, soprattutto da parte di allievi istruttori vedenti, nei quali mi si diceva che gli esercizi di percezione non visiva, in maggioranza svolti con l'ausilio della benda o della maschera oscurata, e quelli di assistenza ed accompagnamento subacqueo svolti senza benda ma in coppia con un sommozzatore cieco od ipovedente, avevano un potere di “risvegliare” oppure “svelare” una dimensione fenomenologica e un particolare stato d’animo che normalmente in condizione di normovisione non viene percepito.

Così ho pensato di approfondire questo aspetto, in primo luogo meramente casuale, di formazione e riscoperta delle percezioni extravisive nell’immersione subacquea, per analizzare da un punto di vista della psicologia della percezione, la situazione dell’immersione, del perché questa attività sia così potente nello scatenare e risvegliare alcune dinamiche interpersonali, ma soprattutto intrapsichiche. Essendovi già una buona letteratura sulla deprivazione sensoriale in ambiente terrestre e sui suoi effetti, ho pensato che valesse la pena di soffermarmi un po’ a riflettere sulla condizione percettiva del sommozzatore e su alcune reazioni che sono state intraviste da più parti nell’odierno dibattito psicologico.

In occasione di questo lavoro di formazione e didattica legata all’handicap visivo, ho avuto modo di approfondire quanti e quali aspetti non visivi vi siano anche nelle immersioni del normale sommozzatore vedente ed ho approfondito la fenomenologia di questi aspetti percettivi extravisivi.

 

Un’ipotesi di partenza

Tra gli psicologi e gli psichiatri in questo periodo sta nascendo una piccola comunità di persone che tentano di riflettere sui significati sociali e interiori dell’attività subacquea, su cosa significhi immergersi e su cosa questo possa scatenare nelle persone che lo fanno.

Sembra proprio, leggendo e riascoltando ciò che i miei colleghi ed io andiamo dicendo e scrivendo, che la condizione dell’immersione possa condurre a una dimensione psichica che facilita l’isolamento e così potenzialmente anche l’introspezione e l’autopercezione. Gli psicanalisti sanno bene quanti significati simbolici e quanti e quali miti nella nostra storia, nei nostri sogni ed incubi, nelle nostre forze profonde siano legati direttamente od indirettamente al fondo del mare ed ai suoi simboli.

Altri meglio di me possono descrivere quei meandri e occuparsi dell’immersione da un vertice psicodinamico.

Io qui invece cerco di analizzare la situazione da un punto di vista percettivo e di dare una lettura basata non tanto sui contenuti e sui significati, quanto sulla condizione fenomenologica e percettiva del sommozzatore, analizzando quali tipi di informazioni egli ha a disposizione durante un’immersione e cercando di sottolineare la differenza con il tipo di informazioni a noi disponibili sulla terraferma.

Infatti, quando si allude alla particolare condizione soggettiva del sommozzatore non si può prescindere dall’analizzare ciò che i suoi sensi catturano ed in che proporzione le afferenze sensoriali durante un’immersione sono sostanzialmente differenti da quelle della vita sulla terra.

Come indicavo nella premessa di questo articolo, per caso, inducendo un azzeramento delle afferenze visive per motivi di training formativo, ho potuto studiare meglio le altre afferenze sensoriali che esistono durante un’immersione.

Ritengo che la particolare condizione di chi va sott’acqua lo porti ad accentuare le altre percezioni e che questa condizione sia il motivo della particolare valenza psicologica dell’immersione subacquea.

 

La dominanza percettiva visiva e la deprivazione sensoriale.

In psicologia della percezione si è giunti alla determinazione di un principio noto come “dominanza visiva” che si può descrivere in questo modo - Le afferenze sensoriali uditive, tattili, cinestetiche, olfattive, termiche, propriocettive, termoigrometriche sono in gran parte escluse dall’elaborazione cosciente dell’informazione tranne quando ci si trova in situazioni di deprivazione sensoriale visiva forzata o determinata da cause naturali.

In tutti gli istanti della nostra vita i nostri organi e recettori sensoriali sono bombardati da una quantità incommensurabile di informazioni che provengono da più parti; per quanto riguarda i classici cinque sensi (vista, udito, olfatto, tatto e gusto) le informazioni afferenti sono riguardanti modificazioni di vario genere che attengono al mondo esterno al nostro corpo.

Sempre parlando di esterocezione (percezione di eventi collocati all’esterno di noi) possiamo aggiungere ai classici cinque sensi di buona memoria scolastica anche le informazioni termiche ed igrometriche, cioè derivanti da spostamenti dell’aria e della sua pressione sulla nostra persona.

Una galassia percettiva ulteriore è rappresentata dalla propiocezione ossia dalla percezione delle nostre modificazioni interne rispetto all’esterno; informazioni posturali, di equilibrio, di bilanciamento del baricentro, di rotazione del corpo rispetto ad uno dei suoi assi o rispetto alla gravità terrestre, di contatto o di peso o pressione di parti del corpo contro altri elementi esterni, o di questi ultimi verso di noi, informazioni tutte che si basano su una serie di sensazioni a volte di tipo misto che derivano dal comparto vestibolare, da quello cerebellare, da quello muscolare tendineo ecc.

Abbiamo poi, per completare il quadro delle percezioni, la dimensione interocettiva (interocezione) che riguarda modificazioni ed eventi interni al nostro corpo, derivanti dalla muscolatura liscia interna, e da recettori dislocati in particolari punti dei vari organi ed apparati.

Pur essendo bombardati continuamente da tutto questo complesso e multiforme insieme di dati, noi possiamo essere consapevoli coscientemente solo di una minima parte di essi e ciò sia a causa delle limitazioni quantitative della nostra attenzione (la quale come una torcia per illuminare la notte, può colpire con il suo fascio solo una piccola porzione e se cambia soggetto deve spostarsi lasciando al buio quello precedente).

In secondo luogo noi facciamo una selezione a monte rispetto alla percezione di una parte di questi stimoli perché alcuni di essi rivestono un valore adattivo e pertanto l’organismo li considera più “convenienti” di altri.

Alcune aree percettive sono perciò pressoché continuamente presidiate e tenute sotto controllo in modo vigile. Altre invece sono quasi sempre ignorate e, attraverso un sistema di controllo non cosciente, sono sottoposte alla nostra attenzione solo quando accadono modificazioni molto grosse o considerate pericolose per l’incolumità psicofisica.

Ad esempio, noi non notiamo il contatto dei nostri capelli sul collo o sulle orecchie fino a che un bel giorno non decidiamo di tagliarli, per qualche minuto subito dopo averlo fatto, possiamo notare, per differenza, la sensazione di fresco, di vuoto e di mancanza dei capelli appena tagliati.

Gli studi di psicologia della percezione ci dicono che le informazioni le quali non vengono elaborate coscientemente e che pertanto non sono oggetto della nostra attenzione, non vanno perse o per lo meno non tutte e non subito, esse a volte si fermano solo per pochi secondi in una anticamera chiamata Registro Sensoriale (RS) che ne conserva una traccia fedelissima per pochi millesimi di secondo e che corrisponde più o meno al tempo di permanenza nel nostro sistema nervoso centrale, della modificazione biochimica derivante dalla stimolazione di quel recettore

Altre informazioni non vengono affatto cancellate, soprattutto se sono piuttosto durature ma concorrono inconsapevolmente alla creazione dei significati soggettivi delle situazioni.

Ad esempio, potremmo non accorgerci che l’aria in un certo ambiente sia un po’ viziata ma, in ogni caso, quel posto potrebbe non piacerci o ci potremmo sentire genericamente a disagio.

Nell’individuo normovedente circa l'80% delle informazioni percettive che vengono elaborate sono derivanti dal canale visivo. La modalità visiva ha un ruolo dominante e spesso giunge ad assorbire l'attenzione distraendola da altri canali sensoriali. Ciò ha un valore filogeneticamente adattivo, in quanto la vista si è rivelata più efficace di altri sensi nel controllo dell'ambiente e pertanto, essendo fondamentale per la sopravvivenza, è divenuta quella predominante su tutte le altre.

Gli studi condotti in condizione di deprivazione sensoriale visiva hanno però portato alcune importanti informazioni sulla percezione normale in quanto hanno consentito di valutare quanto i vissuti extravisivi siano quantitativamente e qualitativamente pregnanti, anche quando non sono consapevolmente elaborati dalla persona (subcezione).

é abbastanza conosciuto il fenomeno per il quale, se si benda una persona e la si mette in condizione di porre attenzione a ciò che percepisce, essa riuscirà a notare alcuni stimoli percettivi extravisivi che sebbene fossero presenti nel suo campo fenomenico anche in precedenza, venivano per così dire “offuscati” e coperti dalle percezioni visive alle quali precedentemente prestava la sua attenzione.

Così può notare e analizzare suoni, temperature, pressioni, vibrazioni varie che prima soggettivamente non notava. In alcune discipline si usa addirittura bendare le persone per educarle ad affinare la propria capacità percettiva extravisiva, quando ciò è funzionale al raggiungimento di uno scopo ben preciso.

 

Percezioni extravisive ed ambiente subacqueo

Anche sott’acqua, oltre che sulla terraferma, noi siamo portati ad analizzare e prendere in considerazione elementi di tipo visivo in modo predominante rispetto alle altre percezioni, ma ciò non significa che queste ultime non ci siano.

li studi sulla psicologia e sui vissuti delle immersioni, offrono numerosi spunti di approfondimento in questo settore in quanto, pur essendo questa una attività basata sul controllo e sulla conoscenza visiva, l’immersione è una esperienza nella quale le afferenze extravisive sono molte e molto forti anche se a volte queste non sono vissute consapevolmente.

Anche sott’acqua, le percezioni extravisive concorrono a costituire gli aspetti “non razionali” dell’esperienza e del suo vissuto.

La valenza introspettiva dell’esperienza subacquea, deriva dal fatto che questa ultima è ricca di stimoli percettivi di tipo non visivo, che pur non essendo riconosciuti immediatamente dal sommozzatore, incidono profondamente su di lui, dandogli la possibilità di vivere in una dimensione psicologica particolarmente adatta per l’attuarsi di alcuni processi mentali. Questi sono facilitati perché la persona durante le immersioni vive esperienze alcune delle quali sono la amplificazione di qualcosa che si può trovare anche sulla terra, ma che nell’acqua è più accentuato, altre invece sono possibili soltanto nella dimensione subacquea concorrendo così alla creazione di un’opportunità davvero unica per l’estrinsecarsi di certi fenomeni.

 

Tridimensionalità dello spazio vissuto:

- la necessità di scaricare il nostro peso corporeo su di una superficie orizzontale che noi abbiamo in ambiente aereo, ci costringe a passare la nostra vita attaccati al suolo e a vivere la dimensione spaziale solo dal punto di vista bidimensionale. In altre parole tutti i momenti della nostra vita noi ci localizziamo e ci collochiamo nello spazio attraverso un criterio basato su due dimensioni. Anche se sappiamo che lo spazio ne ha tre ne occupiamo la terza solo limitatamente alla nostra altezza. La terza dimensione che si estende al di sopra del nostro capo può essere conosciuta attraverso i sensi distali della vista e dell’udito, non può però essere dominata né occupata fisicamente o vissuta realmente da noi in nessun caso. Ciò limita sia il nostro modo di percepire lo spazio che la quantità e qualità delle posture che possiamo assumere. In ambiente subacqueo questa limitazione non esiste perché ci è consentito di viverla concretamente, occupando tutta la terza dimensione. Anche la nostra collocazione ed il nostro orientamento all’interno di uno spazio viene ad essere completamente modificato in virtù del fatto che siamo costretti a tenere in considerazione contemporaneamente tre dimensioni alla volta per poterci collocare.

 

Individuazione costante del confine fisico tra il corpo ed il suo esterno:

- in ambiente aereo la densità e la pressione dell’aria che ci circonda non sono sufficienti per consentirci di percepirne la presenza. Ci muoviamo, infatti, come se fossimo nel vuoto, anche se in realtà siamo immersi nell’aria. Anche la resistenza ai nostri movimenti che viene esercitata da questo elemento gassoso, non è sufficiente per poterci consentire la percezione del confine tra la nostra pelle e l’aria stessa, ossia tra l’interno e l’esterno di noi. In ambiente subacqueo invece è possibile, anzi è molto comune riferire l’esperienza della consapevolezza costante del confine dello spazio entro il quale siamo contenuti, in quanto possiamo facilmente percepire la presenza dell’acqua che ci circonda e che ci avvolge, riempiendo tutto lo spazio esterno a noi. Così soggettivamente non solo scopriamo che non siamo nel vuoto, ma percepiamo in modo contenitivo e presente il limite fisico dello spazio tridimensionale occupato da noi stessi, e costantemente il confine tra il sé e l’altro da sé.

 

Riscontro uditivo del ritmo respiratorio:

- la percezione dei ritmi biologici e dei parametri fisiologici è ormai usato in molte situazioni terapeutiche per aiutare le persone ad acquisire o ristabilire stati psicofisici positivi (biofeedback). Abbiamo sulla terraferma la necessità di sonorizzare o visualizzare alcuni di questi parametri direttamente legati al nostro sistema nervoso autonomo. La necessità di questa sonorizzazione o visualizzazione nasce dal fatto che questi parametri non sono direttamente accessibili al livello della coscienza (pressione arteriosa, conduttanza palmare ecc.) oppure perché essi sebbene direttamente percepibili, vengono come al solito sommersi da altri stimoli. In ambiente subacqueo si ha la possibilità di percepire direttamente una serie di parametri di cui il più importante è quello del ritmo respiratorio il quale finalmente emerge dal rumore di fondo degli altri rumori finalmente silenziati. Esso è uditivamente e propriocettivamente addirittura amplificato dall’attrezzatura necessaria a respirare (il secondo stadio) e così finalmente nel nostro campo percettivo si staglia il nostro respiro nitido, forte e chiaro, sempre costante. Nella massima parte dei casi il rumore procurato dalle bolle della nostra aria espirata, è assolutamente l’unico rumore per tutta l’immersione.

 

Consapevolezza propiocettiva dei passaggi posturali:

- come ho accennato parlando della riconquista della tridimensionalità spaziale, la maggiore densità del mezzo in cui il sommozzatore è immerso, rende necessaria una maggiore lentezza dei movimenti la quale è determinata per lo più dalla maggiore pressione e resistenza dell’acqua rispetto all’aria. Questa condizione rende più costante l’attenzione non tanto alle posizioni (il che si spiega con una maggiore consapevolezza del confine fisico tra l’interno e l’esterno) quanto ai passaggi posturali, anche perché il più delle volte si tratta di passaggi inconsueti in quanto la mancanza della gravità rende possibili movimenti e cambiamenti di posizione che in ambiente aereo non sarebbero possibili. I movimenti oltre che più lenti sono più consapevoli o per essere precisi sono più facilmente oggetto della nostra consapevolezza.

 

Consapevolezza propiocettiva della pressione differenziata e della resistenza tra il corpo e il suo esterno a partire da un punto di riferimento:

- quando il sommozzatore “trova l’assetto” in effetti svolge una complessa operazione di bilanciamento tra forze contrapposte. Fin qui niente di strano, tutti quelli che vanno sott’acqua hanno appreso nei loro corsi le leggi della fisica ed il perché di certe necessità tecniche. Il fatto è che per poter ottenere una galleggiabilità neutra occorre considerare informazioni che in alcuni casi non sono di tipo visivo bensì sono percezioni via via più raffinate che hanno a che vedere con la valutazione della spinta o della resistenza verso l’alto o verso il basso a partire da un punto di riferimento stabile fisso e solido. Molti esercizi di assetto si svolgono con un controllo totale visivo e perciò questo punto di riferimento viene osservato e tenuto d’occhio come punto 0. Ma esiste tutta una dimensione extravisiva di questo fenomeno che chi si immerge nel blu, di notte o in condizioni di scarsa visibilità conosce molto bene intuitivamente o, se non lo conosce, lo prende in considerazione subconsciamente. Tali aspetti attengono alla percezione relativa ed assoluta dell’attrezzatura lungo l’asse verticale: gli spallacci del GAV, la pressione sui timpani, la stabilità o fattorialità dei nostri movimenti ed i loro effetti sugli spostamenti sul piano verticale. Queste percezioni che sono talmente delicate e impalpabili da essere difficilmente descrivibili, divengono comunque elementi importanti che concorrono alla sensazione soggettiva di stare nell’acqua e gestire il proprio assetto. La capacità del sommozzatore di percepire e gestire attraverso queste informazioni la propria immersione è graduale e migliora con l’esperienza, ma si tratta pur sempre di una competenza e di un addestramento percettivo che in ambiente aereo egli non avrebbe avuto modo di acquisire.

Come si può vedere, i sensi “distali”, che cioè servono a percepire elementi posti distanti da chi osserva, come l’udito sono annullati oppure sono messi in condizione di non funzionare al massimo delle loro potenzialità, nell’acqua. I sensi “prossimali”, che riguardano la conoscenza dell’ambiente a contatto con la persona o di quello che si trova al suo interno (propiocezione) sono esaltati. Così nell’immersione per quanto attiene l’esterocezione sono più agevolate le percezioni prossimali, e sono poi esaltate tutte le informazioni di tipo propiocettivo ed interocettivo.

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Tratto da: http://www.psychomedia.it/pm/grpind/sport/gargiulo2.htm 

Negazione ed immersione subacquea

di Maria Luisa Gargiulo

Quanto e come i meccanismi di difesa possono influenzare la fenomenologia e il comportamento del sommozzatore in caso di problematiche relative o secondarie all'immersione subacquea.  

Abbiamo letto sulla rivista del DAN "Alert Diver" del settembre 2002 di una ricerca che illustra alcuni dati sulla scarsa capacità di alcuni subacquei di accorgersi di avere una malattia da decompressione attraverso l'autosservazione di alcuni sintomi soggettivi.

In questo articolo si prende spunto da quella ricerca per commentare alcuni processi psicologici che sono emersi e per parlare dei meccanismi di difesa che a volte noi mettiamo in atto e del perché lo facciamo.

Quella che alcuni redattori di quella rivista hanno chiamato "la sindrome del diniego", è in realtà un meccanismo di difesa (purtroppo non molto conveniente), che si è osservato in alcuni sommozzatori. Questo fenomeno, come altri processi psicologici, è alla base di alcune nostre "stranezze".

 

Un filtro per guardare la realtà

Quando osserviamo i nostri personali stati d'animo e le nostre condizioni fisiche prima e dopo un'immersione, quando valutiamo e cerchiamo di prevedere la difficoltà o lo sforzo necessario per compiere una performance, quando giudichiamo un allievo, in generale quando osserviamo e valutiamo la realtà e quello che ci succede, spesso poniamo un filtro molto personale a ciò che viviamo e questo dipende dal fatto che "ci difendiamo" da alcuni elementi che potrebbero essere per noi dannosi, mettendo una lente, una specie di schermo tra noi e la nostra esperienza. Sono questi i famosi "meccanismi di difesa" tanto ingombranti quanto a volte utili al mantenimento del nostro equilibrio. Ma cosa sono questi meccanismi di difesa? Perché avvengono e cosa difendono? Perché a volte essi sono l'origine di comportamenti inadeguati?

Continuando ad utilizzare la metafora della lente filtrante, possiamo dire che come per le lenti che usiamo normalmente, alcune sono solamente benefiche, o servono ad esempio soltanto a diminuire d'intensità un'esperienza troppo forte ma non ne deformano il significato, proprio come fanno gli occhiali da sole che ci riparano dalla luce troppo forte ma che non danneggiano la nostra capacità di vedere le cose. Un paio d'occhiali da sole non è altro che una difesa, qualcosa di positivo ed utile che ci rende più capaci di affrontare la realtà, ad esempio permettendoci di stare senza danni ne fastidi all'aperto in una bella giornata di sole; così una difesa psicologica adeguata, permette alla persona che l'allestisce di affrontare in modo più conveniente la situazione. Il costo psicologico ed energetico che la persona deve pagare per mettere in atto quella difesa, è senza dubbio più basso del vantaggio che essa ne ricava. Ci sono altre situazioni in cui le difese lavorano come lenti o specchi deformanti perché a volte sono capaci di cambiare o nascondere il contenuto della realtà od una parte di essa. Così ci capita di guardare noi e quello che ci circonda, come attraverso degli occhiali costruiti male, o fatti per un'altra persona.

I sommozzatori il cui comportamento viene analizzato nella ricerca guardavano i loro sintomi come attraverso un paio d'occhiali sbagliati e così sono andati a sbattere contro la loro malattia da decompressione perché non l'hanno saputa vedere.

 

Commento alla ricerca

La ricerca concerne le chiamate per emergenza subacquea pervenute alla centrale DAN Europe da tutte le parti del mondo per un totale di 233 chiamate con la seguente distribuzione geografica di provenienza:

35% italiani,
25% tedeschi,
10% inglesi,
10% del Benelux,
5% spagnoli,
5% svizzeri,
1% francesi,
1% polacchi,
1% cechi,
8% altri.

I dati sono raccolti dal personale medico e paramedico di guardia alla Centrale d'Allarme e si riferiscono a tutto l'arco dell'emergenza, dalla chiamata al completamento dell'intervento e della terapia ospedaliera. Le chiamate pertanto, sono solo l'inizio di un rapporto consulenziale che il DAN ha intrapreso con le persone che avevano chiamato e, oltre a ciò sono da indicare come ulteriore elemento, gli apporti terapeutici e riabilitativi con i quali hanno concorso i centri iperbarici più prossimi al luogo in cui si è svolto l'incidente o in cui risiede la persona oggetto dell'intervento.

I chiamanti sono stati divisi in tre categorie: principianti, esperti, istruttori/guide. Il fenomeno che emerge dall'osservazione dei dati è che in genere tra i sub principianti ci sono una maggiore percentuale di "falsi positivi", ossia di chiamate di emergenza per supposta malattia da decompressione la quale non è poi stata confermata dagli accertamenti successivi condotti dai clinici.

Questo dato, osservabile nella tabella seguente, a prima vista potrebbe essere interpretato in differenti modi ma tra questi ve ne sono alcuni più ed alcuni meno verosimili.

Categoria

n. chiamate

% chiamate

n. conferme

% conferme

Principianti

43

18.5

11

14,5

Esperti

156

67

76

48,7

Istruttori

34

14,5

24

70,6

Totali

233

100

111

 

 

Come si può osservare nell'ultima colonna si passa dal 14 al 70% di conferme di MDD e la maggiore percentuale se da una parte fa pensare ad una maggiore capacità dell'istruttore ad autodiagnosticarsi la malattia da decompressione (cosa in verità assai poco credibile vista la difficoltà degli stessi medici iperbarici a farlo) dall'altra lascia intravedere una tendenza, tutta da studiare e verificare, degli istruttori e delle guide a segnalare i casi di supposta malattia con una estrema difficoltà, solo in caso di assoluta palese concorrenza di differenti ed inequivocabili sintomi. Un commento a tale dato potrebbe essere pertanto il seguente: "più cresce l'esperienza e la dimestichezza con l'attività subacquea e più è difficile per le persone supporre o temere di avere una malattia da decompressione".

Un'altra visione della situazione potrebbe essere ingenuamente credere che i subacquei neofiti, avendo fatto un corso da poco tempo, hanno nella loro mente, più freschi e più presenti i sintomi e la possibilità, nello svolgimento delle attività di un sommozzatore, di incorrere in un incidente iperbarico. In realtà però anche gli istruttori, proprio per la loro maggiore anzianità nell'ambiente subacqueo sono ben consci che l' MDD è una realtà possibile e, specialmente quelli che insegnano ad andare sott'acqua, hanno ben presenti queste informazioni e queste nozioni giacché le insegnano ai loro allievi.

Non è pertanto un problema di scarsa informazione o conoscenza che differenzia i gruppi, anzi chi dovrebbe saperne di più, sono proprio i più esperti. Si tratta forse di un problema di origine psicologica? Sembra, infatti, che le persone facciano fatica ad accettare l'idea od ammettere la probabilità di avere una MDD, proprio quando la loro esperienza è maggiore.

Anche se questi dati vanno approfonditi con altri studi ed ulteriori riflessioni da parte di tutta la comunità scientifica, sembra infatti che si instauri un meccanismo di negazione di questa eventualità, non in senso generale ma riferita alla propria persona. E' come se l'istruttore dicesse, "ma non è possibile che proprio io che sono così bravo abbia un problema del genere".

Se tutto ciò fosse vero, la cosa personalmente non mi sembrerebbe affatto strana, visto che è ancora abbastanza diffusa la convinzione che stare male durante o dopo una immersione è cosa da cattivi subacquei e che se si sta male, vuol dire necessariamente che si è sbagliato qualcosa. Sicché un sub esperto, prima di prendere in considerazione una tale ipotesi, deve vincere tutte quelle difese psicologiche legate alla propria integrità ed alla propria autostima, che ne rendono un po' più difficile e lento l'affiorarsi alla coscienza.

Qualcosa di molto simile, sembra che accada per gli attacchi di panico in immersione, essi infatti, stando a quanto sta emergendo dalle ricerche, sono una delle più grosse cause di incidente subacqueo ma quasi nessuno ha mai il coraggio di ammettere di averne avuto uno, ma di questo avremo modo di occuparci in futuro.

 

Cosa significa negazione?

La negazione è un meccanismo di difesa fondamentale tramite il quale determinati aspetti della realtà, come viene percepita dal soggetto, sono trattati come se non esistessero; tale processo viene spesso diretto contro angosce legate alla propria incolumità fisica o di una persona cara.

Un altro meccanismo di difesa con cui la negazione può essere confuso è la rimozione.La rimozione indica il tentativo di dimenticare qualcosa di cui l'individuo è consapevole a livello inconscio; con la negazione viene cancellata dalla mente l'esistenza stessa di quell'episodio, quell'emozione o quel pensiero e, soprattutto, si vuole assolutamente negare la possibilità di quello che è avvenuto. In altre parole con la rimozione si sa che è avvenuto qualcosa e perciò si cerca di non ricordarlo perché sgradevole; nella negazione l'elemento non e mai esistito e spesso al suo posto la persona è convinta di qualcosa d'altro.

 

Panoramica dei meccanismi di difesa

Il grande merito della psicoanalisi è stato quello di aver fatto comprendere alla comunità scientifica come l'uomo sia dotato di una parte cosciente, e di una non cosciente, in cui hanno luogo moltissimi meccanismi in grado di influenzare radicalmente il nostro comportamento. Alcuni di essi sono chiamati "meccanismi di difesa" , sono inconsci per cui sono messi in atto "automaticamente" dalla psiche. Essi non sono necessariamente patologie, ossia non si riscontrano solo nei disturbi mentali ma sono modi caratteristici di ogni individuo di far fronte alle difficoltà della vita.
Un Meccanismo di Difesa è un processo mobilitato in risposta ad un segnale di pericolo, cioè l'ansia, che è un segnale di autoprotezione da minacce interne ed esterne.

Da molti autori sono state descritte e variamente denominate le varie categorie di meccanismi di difesa. Qui di seguito le elenchiamo e successivamente le descriveremo in modo che il lettore possa più agevolmente riconoscerle nel proprio comportamento quotidiano od in quello di altre persone. In ogni caso spessissimo è difficile riconoscerle a prima vista a causa del fatto che le difese, proprio perché funzionano bene, "reggono" ossia sono il più delle volte davvero efficienti nel celare alla coscienza ciò che hanno la funzione di difendere.

Nella maggior parte dei casi, questi meccanismi esistono proprio perché la persona non può o non deve accorgersi di qualcosa, come spiegheremo meglio nel paragrafo "cosa difendono i meccanismi di difesa?"  Essi sono: Rimozione -  Formazione reattiva - Annullamento - Negazione - Proiezione - Rivolgimento contro il Sé - Regressione - Isolamento - Somatizzazione - Sublimazione.

 

I meccanismi di difesa, anche se sono caratteristica di tutti gli individui, assumono una predominanza e spesso compaiono in base ad un certo ordine evolutivo. Ciò vuol dire che esistono meccanismi più arcaici, tipici delle prime fasi dello sviluppo e altri che sono più maturi e più tipici dell'individuo adulto i quali tendono ad essere perciò meglio differenziati e meglio organizzati rispetto ai primi. Alcuni studiosi hanno notato anche una componente culturale ed etnica nella predominanza di un meccanismo di difesa rispetto agli altri e ciò vale anche in base ai differenti periodi storici.

 

La rimozione è un processo che ha come risultato la cancellazione dalla conoscenza di un impulso indesiderato, o qualsiasi suo derivato: ricordi, emozioni, desideri o fantasie di realizzazione di desideri. E' il più efficace dei meccanismi di difesa, in quanto la sua forza d'azione è radicale e definitiva , ed è anche il più pericoloso. Questo meccanismo ha una parte importante nella formazione di sintomi di tutte le specie. La rimozione fu il primo meccanismo scoperto e descritto da Freud. Essa, se ben riuscita, porta all'oblio, o all'amnesia, è un meccanismo di difesa che certamente protegge molto bene l'individuo e che a piccole dosi funziona normalmente in ogni essere umano; se è troppo pronunciata ed invade tutta la personalità, si ha a che fare con comportamenti patologici. E' interessante notare che l'intero processo di rimozione si compie inconsciamente. Non è inconscio solamente il materiale rimosso, ma sono del tutto inconsce anche le attività che costituiscono il processo di rimozione. Lapsus, amnesie o angoscia apparentemente immotivata possono essere segnali di una avvenuta rimozione.

 

Formazione reattiva: al termine di questo processo si ha una inversione di alcuni impulsi o sentimenti nel loro contrario: ad esempio l'odio appare sostituito dall'amore, oppure l'aggressività dalla mitezza, perché l'elemento celato, che persiste inconsciamente, è qualche cosa che l'Io teme come pericoloso e da cui si difende. Si tratta di un meccanismo secondario, destinato essenzialmente ad impedire il ritorno del rimosso alla coscienza. La rimozione gli è dunque preesistente, tanto che la formazione reattiva può essere considerata una sorta di sostegno a cui si fa appello per rafforzare la rimozione allorché questa perde di efficacia.

 

L'annullamento consiste in un'azione che contraddice o annulla il danno che l'individuo immagina che possa venire causato dai propri desideri aggressivi, ad es.: prima colpisce l'oggetto della sua ira; e poi lo bacia; la seconda azione annulla la prima. L'annullamento è un atto difensivo a due fasi: Nella prima un impulso proibito viene espresso o nell'azione oppure nel pensiero, nella seconda fase viene eseguito un altro atto per "cancellare" l'impulso espresso nella prima fase.
Sindromi cliniche di facile osservazione che illustrano alcune forme di annullamento, possono essere: - la coazione a lavarsi le mani - toccare - contare - pulire e controllare.

 

Negazione: consiste nel diniego di una parte spiacevole o indesiderata della realtà esterna, sia mediante una fantasia con la quale si esaudisce il desiderio, sia mediante il comportamento. Ad esempio la negazione della paura con un comportamento spavaldo.

 

La proiezione è un'operazione con cui il soggetto espelle da sé e localizza nell'altro, persona o cosa, delle qualità, dei sentimenti, dei desideri che egli non riconosce o rifiuta ma che in realtà gli appartengono. La proiezione è un meccanismo di difesa che di norma recita la sua parte più grande nei primi tempi di vita infantile. Come la negazione, anche la proiezione è uno dei meccanismi di difesa più primitivi. La proiezione viene usata spesso da persone normali per diminuire le tensioni ordinarie di ostilità interpersonale, ma a volte la si trova in persone nelle quali la vita affettiva-relazionale non è molto soddisfacente.  Perciò esso appare spesso evidente nei conflitti coniugali, in certi tipi di dipendenza da sostanze e in alcuni sistemi patologici. Rivolgimento contro il sé: avviene quando la persona indirizza verso se stessa emozioni, sentimenti, impulsi o pensieri che in realtà essa prova nei riguardi di un altro elemento ma che non saprebbe gestire oppure accettare.

 

Regressione: è un meccanismo di difesa che svolge un ruolo importante nelle situazioni di grave minaccia della propria integrità. La regressione si caratterizza con il ritorno a modi di espressione e di comportamento tipici di un livello di sviluppo inferiore o di una fase già superata La regressione implica un ritorno a comportamenti e a modi di funzionamento psichici che sono caratteristici di stadi più antichi, in special modo degli anni infantili. Il ritorno simbolico agli anni dell'infanzia consente alla persona di evitare l'avversità presente e di trattarla come se non fosse ancora accaduta attraverso un "ritorno al passato". La regressione, secondo alcuni autori, viene allestita in modo caratteristico ogni qualvolta una persona soffre di una disillusione, e si può notare perché la persona tende verso periodi e stili di comportamento precedenti della sua vita, che gli offrirono esperienze più piacevoli, e verso tipi antichi di soddisfazione che furono più completi.

 

Isolamento: si tratta della separazione di due o più elementi che in origine erano collegati ad esempio un episodio accaduto viene ricordato ma viene rimossa l'emozione od il sentimento ad esso collegato. I sentimenti vengono sperimentati come dissociati dall'elemento che li ha originati e vengono esperiti come immotivati od attribuiti a qualche altra causa. Gli impulsi altre volte vengono sperimentati soltanto come idee estranee; sembra che non appartengano realmente alla persona, e quest'ultima non li sente come reali. Ad esempio pur discutendo di fatti particolarmente significativi da un punto di vista emotivo, il soggetto rimane calmo, emozionandosi invece, in modo incomprensibile, per fatti banali, senza rendersi conto di aver spostato l'emozione.

 

Somatizzazione: consiste nello spostare sul piano fisiologico il disagio provocato da conflitti non gestibili consapevolmente. Ad esempio l'emozione e la perturbazione affettiva che dovrebbero comparire a causa di un conflitto, non sono vissute nella sfera psichica ed elaborate da questa, ma deviate sul corpo, concorrendo all'insorgenza di disturbi funzionali. La comparsa di un danno o di un malfunzionamento fisiologico può essere considerato come un meccanismo di difesa che evita la sofferenza psicologica ed il conflitto. La somatizzazione è di facile osservazione, oltre che in campo di medicina psicosomatica, anche in campo sportivo, poiché l'investimento sul corpo e sul suo funzionamento sono molto forti in questo settore ed i "linguaggi" del corpo sono oggetto di una attenzione e di un significato particolari, essendo legati al concetto di performance, di salute, di "forma", ecc..

 

La sublimazione indica lo spostamento di un impulso o di un istinto nella direzione di un comportamento che gode dell'accettabilità e dell'approvazione sociale o del sistema di valori del soggetto stesso. La sublimazione può essere tanto un meccanismo di difesa quanto una funzione dell'Io. Gran parte del comportamento socialmente valido è basato sulla sublimazione, e in certa misura lo sono anche comportamenti complessi e raffinati, oltre che alcune attività motorie e sportive.

 

Cosa difendono i meccanismi di difesa?

Difendono il soggetto dall'ansia. Quando in un soggetto l'ansietà esperita supera determinati livelli, egli mette in opera dei meccanismi di difesa che funzionano a livello inconscio, e tendono a ridurre la tensione del soggetto e quindi a preservare il suo equilibrio emotivo. Essi esistono per difendere i propri confini e per difendersi dalla possibilità che gli stimoli esterni siano troppo forti e non colpiscano l'individuo su punti di vulnerabilità. Da un punto di vista cognitivo, si può dire che un meccanismo di difesa difende l'Io, cioè un organismo capace di rappresentazioni e di regolazione cognitiva. Lo difende dalla sofferenza psichica, cioè dalla sofferenza dovuta a rappresentazioni, il cui punto fondamentale è l'assunzione di compromissione di uno o più scopi. I meccanismi di difesa operano sia sugli scopi sia sulle assunzioni che causano sofferenza, modificandone vuoi il contesto vuoi il contenuto. Perché venga applicata una difesa, va tenuto conto sia di alcuni vincoli generali di plausibilità cognitiva, sia di possibili differenze individuali.

 

Concludendo

In altre parole la persona si difende dalla realtà in base al significato soggettivo che essa riveste. Spesso una difesa viene allestita quando due credenze o due scopi appaiono dissonanti tra loro, oppure quando ciò che la persona esperisce è dissonante con uno di essi. Ad esempio quando due presupposti ad un ragionamento o ad una credenza sono così importanti per l'equilibrio della persona, che se essa si rende conto che qualcosa potrebbe mettere in dubbio uno più di questi presupposti, quest'ultima viene negata.

 

Nel caso di specie osserveremmo i seguenti presupposti :

- io sono un bravo sub;

- gli incidenti subacquei capitano a chi non sa andare sott'acqua.

La difesa che viene allestita è la "negazione dei sintomi", che ha esattamente lo scopo di conservare la veridicità dei due presupposti elencati sopra, i quali, differentemente, sarebbero messi in discussione. Infatti l'unico compromesso possibile in questa situazione è proprio quello di negare i sintomi di una malattia da decompressione per conservare l'equilibrio attraverso una distorsione cognitiva della realtà.

Le distorsioni cognitive sono errori sistematici di ragionamento che si rendono evidenti nella sofferenza psicologica. Comprendono: inferenza arbitraria, astrazione selettiva, eccesso di generalizzazione, esagerazione e minimizzazione, personalizzazione, pensiero dicotomico.

 

Perciò uno dei modi per risolvere il problema è:

- io non sto vivendo un incidente subacqueo;

che corrisponde pari pari a quella "sindrome del diniego" di cui si faceva cenno all'inizio di questo articolo. La ricaduta in termini sociali e di medicina dell'emergenza appare ovvia: chi soccorre o chi assiste anche casualmente ad un incidente avente come soggetto una persona che tende a negare, avrà maggiore difficoltà a comprendere la situazione perché ci saranno elementi soggettivi che emergeranno con ritardo, racconti fatti a mezza bocca, sintomi vergognosamente celati.

Ovviamente la negazione se si può osservare nel momento successivo all'incidente, a maggior ragione esiste prima di esso: sappiamo bene che ci sono alcuni piccoli indizi della possibile presenza di un problema fisico o della pericolosità di un certo comportamento, i quali potrebbero essere utilizzati dal sommozzatore prima dell'effettivo insorgere del problema stesso. Tali informazioni possono essere utilizzate per fare delle scelte, prendere decisioni, modificare il proprio comportamento. Ebbene, a mio avviso, la pericolosità del meccanismo della negazione raggiunge il suo massimo danno proprio quando il sommozzatore non esercita la propria capacità di prevenzione dei rischi perché nega a se stesso l'esistenza di segnali o sintomi specifici annullandoli, oppure razionalizza o interpreta, attribuendo loro un significato non realistico e distorto dalla difesa.

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Tratto da: http://www.psychomedia.it/pm/grpind/sport/gargiulo3.htm

Conflitti e contenuti nelle attività e nel vissuto dei subacquei

di Maria Luisa Gargiulo

Il titolo di questo scritto vuole essere una anticipazione del taglio che desidero dare a questo lavoro, ossia eminentemente evocativo. Nell'ambito dello studio e della ricerca applicativa della psicologia delle attività subacquee e del sommozzatore, emergono alcuni motivi ricorrenti che si possono intravedere sia dai racconti spontanei sia nella raccolta dei dati a vario titolo ed a vari livelli di approfondimento. Nell'accostarsi al mondo del mare e della subacquea è utile tenere presente quali e quante modificazioni psicosociologiche ci siano state e quali tracce abbiano lasciato nella nostra situazione attuale, come pure quante e quali valenze possano esserci dietro comportamenti e significati condivisi. Sotto questo ultimo aspetto ho ritenuto opportuno indicare alcune dimensioni significative interpolate tra due posizioni opposte ed antitetiche che indicano gli estremi di un continuum, per individuare conflitti o temi problematici a mio avviso caratteristici delle attività subacquee.
Nell'intento di verificarne la presenza effettiva e nell'ottica di approfondirne sempre maggiormente la conoscenza, sto provando a riconoscere nell'analisi dei contenuti dei racconti oppure nel materiale strutturato in mio possesso, la presenza di questi temi i quali, per necessità descrittiva sono stati organizzati attorno a nuclei quali:
- solitudine e gruppalità
- profondofilia e profondofobia
- vestizione e transizione
- ossessione e trasgressione
è però necessario anteporre all'analisi descrittiva di questi elementi, una premessa di inquadramento psicosociologico, in quanto una attenzione al contesto del fenomeno "subacquea" a mio avviso è necessaria per una migliore comprensione dei significati soggettivi.


La dimensione sociale, modelli solitudine e gruppalità

Negli ultimi dieci anni si sono coagulate alcune modificazioni di ordine psicosociologico riguardanti la subacquea; esse per certi versi sono il frutto di processi di trasformazione che erano in atto da anni, per altri corrispondono allo spostamento del significato e della tipologia delle persone che praticano questa attività, della modificazione del loro numero e, perché no, del passaggio generazionale.
In questo scritto cercherò di esaminare questi passaggi e questi cambiamenti per poter analizzare anche da un vertice psicologico, il fenomeno sociale delle attività subacquee, i suoi significati profondi e almeno tracciare delle ipotesi rispetto a tutto ciò.

 
Abbiamo assistito all'aumentare del numero di persone che praticano questa attività e lo spostamento su una tipologia di attività di carattere amatoriale, in quanto un maggior numero di sommozzatori dilettanti si sono aggiunti a quelle persone che praticano l'attività per lavoro.
L'aspetto sociale e la connotazione di attività di massa sta rendendo necessario un cambiamento di prospettiva, dovuto essenzialmente dal fatto che la fotografia del sommozzatore di venti anni fa corrisponde ben poco a quello attuale. In questa ottica, chi è chiamato ad insegnare la subacquea, come pure chi deve occuparsi di medicina della prevenzione e di quella delle emergenze, è a contatto con problematiche che precedentemente non lo toccavano neppure, le quali derivano dall'aumentata varietà delle tipologie delle persone e della diversificazione delle motivazioni che spingono oggi giorno a voler svolgere tale attività.
 

La subacquea era praticata nella generazione precedente di sommozzatori, da persone che, anche in virtù della particolare conformazione dei fondali mediterranei, erano aduse ad immergersi in alte profondità, senza l'ausilio di particolari attrezzature tecnologiche atte a diminuire il loro sforzo fisico oppure a metterli in condizioni di sicurezza. questi personaggi erano vissuti come degli eroi o quasi, coloro i quali osavano sfidare le profondità del mare con il loro coraggio, il loro sangue freddo, la loro temerarietà. Queste attribuzioni di ruolo in realtà non erano così immotivate; se pensiamo che i subacquei di una volta non utilizzavano ad esempio alcun giubbotto equilibratore e compensavano la tendenza ad essere portati verso il basso o verso l'alto esclusivamente aumentando o diminuendo il volume della massa toracica con appositi movimenti legati alla respirazione, comprendiamo perché la componente fisica era molto importante.
Molti di loro ignoravano o al massimo conoscevano empiricamente i parametri oggettivi riguardanti la loro immersione (profondità attuale e profondità massima raggiunta, tempo e quantità di gas respirabile a disposizione, velocità di risalita, temperatura dell'acqua, ...) Erano addestrati a controllare la situazione in modo indiretto, attraverso alcuni fenomeni oggettivi e soggettivi e conoscevano l'incidente subacqueo senza neppure sapere scientificamente come poterlo evitare.
Possedevano un autocontrollo molto alto e la capacità di gestire da soli la situazione. La loro propensione ed il loro addestramento alla solitudine, erano anche derivati dalla necessità di non essere disturbati da un altro sommozzatore nelle attività di caccia e da quella di non svelare i luoghi sconosciuti e segreti in cui alcuni di loro prelevavano il corallo rosso, prezioso, raro, ricercato dalle donne.


Di contro lo sforzo respiratorio quasi annullato dai nuovi sistemi di erogazione, l’aiuto in termini di sicurezza e confort che deriva dalle nuove strumentazioni computerizzate, hanno richiamato più recentemente una differente tipologia di praticanti questa attività. Anche il reclutamento e la formazione di atleti si sono d'altra parte trasformati in qualcosa che assomiglia di più al marketing per la vendita del prodotto "corso" o del prodotto "muta/gav/computer/viaggio".
 

Abbiamo ad esempio assistito a fenomeni di affiliazione alla subacquea, di gruppi o di persone le quali vivendo in città o nazioni lontane dal mare, non possono annoverare al loro attivo una tradizione, una simbologia, una mitologia legata al mare ed alle sue profondità.
In questa nuova prospettiva, la subacquea da attività eminentemente praticata in solitudine si è trasformata ed è stata didatticamente codificata con accezioni fortemente interpersonali. Un esempio tra tutti è rappresentato dal "sistema di coppia", il quale consta di "una serie di comportamenti e regole di gestione dell'immersione che si basano sul reciproco controllo, confronto e soccorso".
 

Estendendo alle attività che si praticano prima e dopo l'immersione il nostro ragionamento, troviamo che esiste attualmente anche una forte preponderanza della dimensione gruppale se si considerano gli spostamenti, i preparativi, i viaggi, le attività corsuali e formative, quelle ricreative promosse dai circoli e dai negozi specializzati.
A partire dall'analisi e dal confronto dei contenuti e dei significati psicologici che sto facendo in questo periodo, ad esempio anche da una disamina dei risultati emersi dal gruppo di ricerca psicologica dell'ultimo meeting di San Vito lo Capo "Psiche ed immersioni - ottobre 2003", emergono alcuni conflitti e contenuti che forse vale la pena di portare all'attenzione dei colleghi e perché no, anche dei non addetti ai lavori.

 

Profondofilia e profondofobia


Il rapporto con la profondità è un tema quasi ovvio dato l'argomento, ma le sue implicazioni sono a volte ambivalenti, potendosi individuare forse un conflitto multidimensionale. C'è da dire in primo luogo che ultimamente si assiste all'aumento della richiesta di praticare l'attività subacquea proprio da parte di quelle persone che ne hanno timore o che in qualche modo, condensano attorno ad essa alcuni loro problemi o la usano più o meno consapevolmente quale elemento di "cura" , mettendo in atto forme di formazione reattiva o, se non si vuole usare una terminologia ed una matrice psicodinamica, una sorta di tentativo di desensibilizzazione sistematica.
Emerge infatti come riferito da molti professionisti della didattica, l'ambivalenza di molti neofiti che chiedono corsi, tra la paura e la voglia di andare sott'acqua, la necessità per alcune persone di esorcizzare le proprie paure attraverso meccanismi di difesa che inducono ad affrontare ciò che si teme, nella speranza di indurre un cambiamento profondo.
Ciò contrasta nettamente con la tipologia dell'allievo che fino a dieci anni fa rappresentava quasi la regola, ossia la persona la quale frequentava una formazione, allora mediamente più lunga e frustrante, a valle di una esperienza amatoriale già consolidata., Quasi tutti quelli che volevano conseguire un brevetto, erano stati sommozzatori autodidatti, o comunque vicini al mare ed alle sue regole, avevano già una ottima acquaticità e conoscevano abbastanza approfonditamente ciò che stavano per apprendere. Per contro oggi con un tempo relativamente breve, una persona mediamente allenata dal punto di vista fisico, può conseguire un brevetto di primo livello e subito immergersi a profondità relative (se questo è ciò che desidera) ottenendo così il risultato di entrare a far parte facilmente di quella categoria di persone che possono farsi chiamare "sommozzatore" e praticare la subacquea non tanto come uno sport quanto come una attività ricreativa con tutte le implicazioni sociali, di tempo libero, di appartenenza e di individuazione che si possono immaginare. La quantità di persone le quali praticano la subacquea a bassa profondità con un training breve, rappresenta il target di clienti più numeroso del mercato attuale, quello dato da persone discontinue nella loro attività, stagionalmente condizionate, con un turn over molto grosso ed un facile decadimento dell'interesse. Per queste persone la profondità ha proprio il significato di un facile piacevole traguardo.
Un altro tema legato alla profondità, è costituito dal bisogno di andare sotto per sfidarsi, per sentirsi capaci, (quindi legato all'autostima e prima ancora all'autopercezione ed all'autodefinizione), per arrivare a stare da soli con se stessi, sentirsi e percepire il proprio essere isolandolo in questa differente dimensione.
Un significato intimamente legato al continuum profondofilia/profondofobia ed alla paura, è connesso alla consapevolezza /inconsapevolezza che il mare non sia in realtà l'elemento ordinario della vita biologica dell'uomo ma un "elemento altro", da visitare come un viaggiatore innamorato ma pur sempre straniero, o da vivere con uno strano senso di affinità ed appartenenza.
Un'altra valenza importante che si sta affermando in questi ultimi anni, è per alcuni versi, il ritorno alla subacquea del profondismo, la quale, vissuta nella generazione precedente come uno stile di vivere il mare legato alla pesca, alla performance lontana dalla tecnologia, adesso è invece la diretta conseguenza della tecnologia più spinta. Si parla infatti di "subacquea tecnica" quando ci si riferisce ad immersioni (amatoriali, ma svolte a profondità maggiori di quelle ricreative ) le quali sono possibili anche per il proliferare di attrezzature sempre più sofisticate e complesse. Così il bisogno/voglia di andare in profondità è soddisfabile grazie a speciali corsi e all'uso nella stessa immersione, di differenti miscele da respirare le quali devono essere gestite dal subacqueo che per tutto il tempo deve mantenere uno stato di controllo molto alto, deve avere precedentemente programmato nei minimi dettagli e preparato i gas individuandone le differenti profondità di utilizzo, deve avere conseguito una preparazione tecnica e fisica tale da permettergli di affrontare immersioni spinte sino a profondità notevoli. Sembra quasi, per certi versi, che la profondofilia del sommozzatore corallaro di un tempo, si sia trasformata nella subacquea tecnica di oggi, con non poche differenze ovviamente. C'è nel racconto di questi nuovi profondisti in alcuni casi, proprio la ricerca di uno stato psicofisico di esaltazione/concentrazione lucida determinata in parte da fattori ambientali quali la profondità, in parte dalla loro stessa aspettativa.
Il dato oggettivo che l'uomo ha necessità di respirare aria per vivere, sottolinea inequivocabilmente il passaggio alla dimensione subacquea, come ad uno stato straordinario, nel senso di extra ordinario, sia quando viene vissuto come un ritorno nell'elemento naturale e, ad uno stato intimo di confort psicofisico, che quando invece rievoca la paura dell'impossibilità di sopravvivere, di rimanere senz'aria, del tradimento del mare.

 

Vestizione e transizione


Questo momento di passaggio tra la dimensione terrestre e quella subacquea sembra individuabile nelle operazioni preparatorie e più di tutte nella vestizione, l'atto nel quale, ancora immersi nell’aria, ci si predispone con la muta, le bombole, dopo avere controllato le strumentazioni, per poter effettuare il passaggio alla dimensione della verticalità.
L’atteggiamento mentale degli ultimi minuti della dimensione terrestre, sembrano caratterizzati in quasi tutti i casi da una forte valenza gruppale, in quanto il rito della vestizione è compiuto nel gruppo e col gruppo, pressoché costantemente confrontando reciprocamente gli elementi ed i valori degli strumenti, e comunicando verbalmente e non verbalmente in modo massiccio. Sempre nella stessa fase si può poi vedere in atto al suo massimo la componente ossessiva, di controllo delle attrezzature, di precisione, ansia del pericolo e necessità di tranquillizzazione attraverso le procedure atte a garantire la sicurezza.
Vi sono anche non rari momenti di sdrammatizzazione, quasi di esorcizzazione reciproca di un non meglio individuato pericolo.
La dimensione di presa di contatto con il mondo della tridimensionalità senza peso, con il mondo del silenzio, della solitudine, sembra caratterizzata dal sogno, dalla scoperta e dall'avventura. La vestizione oltre ad essere un rito di iniziazione ed appartenenza (si pensi alla somiglianza con l'indossare una divisa ed una serie di oggetti di esclusivo uso e possesso), è dunque anche il segno del passaggio, della metamorfosi. Questo a volte è esperito come problematico e faticoso, come è d'altra parte vissuto come "pesante " quanto ci si mette indosso, almeno fino a che la persona non si è tuffata nell'acqua. Avere indossato nell'aria l'attrezzatura che sarà necessaria sotto il mare, segna un momento scomodo e difficile nel quale non si è più terrestri, ma non si è ancora subacquei. Tenendo presente che certe dinamiche di angoscia si addensano proprio in questo momento, la vestizione, appare come una transizione psicologica necessaria ma a volte critica.

 

Ossessione e trasgressione


Un altro conflitto, o meglio altri due estremi di una dimensione, sono rappresentati dalla dicotomia ossessione/trasgressione. Per esemplificare, un estremo del continuum è rappresentato dal tema della necessità di un rinforzo della parte metodica e rassicurante oltre che rassicurabile del sommozzatore, il quale, nella didattica della subacquea amatoriale moderna, viene sollecitato nelle proprie paure affinché esse possano spingerlo a massimizzare i comportamenti di prevenzione del pericolo. L'altra dimensione è quella della trasgressione, della parte di stupore, di scoperta, di curiosità, di infantile e semplice gioia nell'atto di porsi in una dimensione di "ascolto", la quale riconduce ad un aspetto di pensiero divergente, di abbandono della razionalità, di riappropriazione della propria parte infantile.
La gestione della quantità e della qualità del controllo mentale nella subacquea moderna riveste una certa importanza sociale. Tutte le nuove didattiche basano il loro modello di apprendimento su di una informazione riguardante i pericoli la quale poi diviene la motivazione per la ripetizione degli esercizi standard necessari per la gestione delle varie emergenze. Quanto maggiore è il controllo acquisito dall'allievo rispetto alla situazione, tanto maggiormente egli sarà capace di far fronte ai pericoli e a gestire l'ansia. In realtà questo passaggio è stato reso più rapido dalle didattiche moderne rispetto a quelle di una volta , in quanto la durata dei corsi è diminuita sia come quantità di tempo di apprendimento durante gli esercizi e le lezioni, sia come tempo di sedimentazione ed appropriazione personale dei vissuti, perché è diminuito in senso assoluto il "periodo di corso " passando da molti mesi a poche settimane ed in qualche caso, a pochissimi giorni.
Dopo una fase di marketing e reclutamento dei nuovi allievi la quale è attualmente basata sulla predisposizione di esperienze piacevoli, alla portata di chiunque, facili, rassicuranti ed allettanti, si assiste pertanto all'addestramento con l'allievo in uno stato di ipercontrollo in quanto il sommozzatore, se non rispettasse alla lettera le varie procedure, non sarebbe ancora in grado di gestire le situazioni che gli si potrebbero prospettare.
Al termine della fase ufficialmente di apprendimento, il subacqueo deve ancora in realtà abituarsi a dosare il proprio livello di controllo abbassandolo via via con l'esperienza post corso. In realtà non si è rivelato molto utile brevettare persone troppo presto rispetto ai loro tempi di sedimentazione ed appropriazione degli apprendimenti, esse infatti, riescono a comportarsi nel modo più adeguato solo perché esse ripetono ossessivamente certe procedure appena apprese, con il terrore che potrebbero mettere a repentaglio la loro incolumità fisica o quella del compagno della coppia. In questa fase esse ancora sono in uno stato di equilibrio fortemente instabile. Più utile sarebbe, accompagnare la persona a imparare lentamente a modulare il proprio livello di controllo. Questo obbiettivo formativo è maggiormente perseguito nelle situazione di gruppi, organizzazioni e circoli che per loro natura tendono a prolungare il tempo di permanenza del sommozzatore nella compagine associativa. Assolutamente impossibile da ottenere è invece nella situazione di apprendimento "turistico" ossia di situazione corsuale lontano dalla propria residenza abituale, in cui il tempo necessario affinché la persona possa assestarsi efficacemente nella posizione del continuum ossessione/trasgressione non c'è.

 

La raccolta dei dati


Abbiamo brevemente illustrato alcune dimensioni di temi e conflitti specificamente legati alle attività subacquee, temi i quali profondamente esistono nel vissuto delle persone ma che qualche volta non sono in grado di emergere da soli. Se si vuole offrire qualità nell'insegnamento, nel soccorso, nella prevenzione non si può prescindere dalla analisi di questi contenuti o, per lo meno, non si può pensare all'attività subacquea come qualcosa di scisso dalle persone che la praticano
La conoscenza delle tematiche riguardanti le attività subacquee è attualmente un problema scientifico derivante eminentemente dal fatto che la psicologia delle attività subacquee è un campo di applicazioni e di ricerca alquanto giovane. Sin dai primi studi sull'iperbarismo la medicina ha potuto approfondire ciò che riguarda le modificazioni fisiologiche e patologiche partendo dalle reazioni dei palombari alle differenti condizioni e i dati, via via, sono stati poi raccolti con sempre maggiore coerenza scientifica e statistica.

Le tabelle US NAVY, come il termine suggerisce sono state il frutto della ricerca applicata ad una certa categoria di sommozzatori degli Stati Uniti d'America. Senza addentrarci nell'intricatissimo mondo dei modelli teorici alla base delle differenti tabelle applicative, possiamo però dire che via via si sta assistendo ad una sempre maggiore verifica sperimentale delle ipotesi di lavoro in medicina subacquea, fino ad arrivare a ricerche basate sulla raccolta dati di un campione molto vasto, quali la recentissima ricerca in corso da parte di DAN Europe, che ammonta attualmente a circa 18.000 immersioni.

Non così in psicologia. I nostri canali attuali di osservazione dei fenomeni sono molteplici ma piuttosto disomogenei e vanno dalla raccolta spontanea dei racconti che possiamo ottenere nei centri o nelle scuole , dalle richieste di consulenza le quali di norma avvengono in concomitanza di un trauma per un pericolo occorso o scampato, dalle attività di supervisione ai formatori della subacquea, attività invero non ancora entrate nella routine delle differenti didattiche, bensì ancora legate ad episodi lodevoli ma ancora rari, dalla lettura e dalla disamina della letteratura di racconti autobiografie e materiale vario, dalla analisi delle prime iniziative di monitoraggio psicologico di alcuni fenomeni attraverso questionari e somministrazione di test.

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